Blog, fluido vitale dell'Iran

Una sociologa di Tehran ci spiega il boom di Internet e dei blog. «La personalità multipla è diventata naturale per gli iraniani. È la strategia della `dissimulazione e invisibilità'. Per conformarsi ai diversi modelli di comportamento necessari, in privato o in pubblico, a scuola o al bazar»
28 dicembre 2004
Marina Forti (Tehran)
Fonte: Il Manifesto

La persecuzione dei «cyber-giornalisti» iraniani continua. Un'ondata di oltre 20 arresti tra settembre e ottobre, la detenzione in luoghi sconosciuti senza contatto con avvocati difensori, poi i primi rilasci su cauzione alla fine di novembre. Gli arrestati sono persone che scrivono su siti web di notizie o su web-log, oppure tecnici informatici responsabili del funzionamento di siti internet. Le accuse sono: attentato alla sicurezza nazionale, diffusione di notizie che turbano l'ordine pubblico, insulto alle autorità della repubblica islamica. Nessun processo, per ora: ma qualche giorno fa quattro giornalisti - tre appena rilasciati e uno ancora in carcere - sono stati portati in tribunale e costretti a testimoniare contro Ali Mazroui, presidente dell'Associazione dei giornalisti iraniani ed ex deputato riformista (oltre che padre di uno dei cyber-giornalisti arrestati), il quale è sotto processo per aver scritto al presidente Mohammad Khatami a proposito dei maltrattamenti subiti in carcere da suo figlio e dagli altri (a quale reato ammonti quella lettera non è stato precisato). Reporter sans frontières ha protestato contro le deposizioni forzate. Pare che i giovani giornalisti arrestati siano stati costretti a firmare una lettera, pubblicata il 4 dicembre sui giornali, in cui ammettono «relazioni con i controrivoluzionari» e dicono che «elementi radicali gli hanno lavato il cervello». Gli iraniani si sono abituati a mostrare diverse facce di sé, commenta una sociologa urbana dell'Università di Tehran. Siamo al caffé della Casa degli artisti, uno spazio gradevole nel centro di Tehran affacciato su un giardino pubblico («È piacevole, vero? Qualche anno fa non saremmo state a nostro agio all'aperto»). Masserat Amir-Ebrahimi studia da tempo le trasformazioni dello spazio pubblico nella società iraniana: e non deve sorprendere che oggetto di studio, da un paio d'anni, siano proprio i web log, o blog, i siti personali veicolati da internet in cui milioni di persone, nel mondo, condividono opinioni, racconti personali, notizie, diari.

In Iran, 70 milioni di abitanti, il web log è sempre più importante. Gli utenti di internet sono tra 5 e 7 milioni. Il primo weblog iraniano è comparso nel settembre 2001, due mesi dopo erano più di un centinaio, oggi si contano sul web oltre centomila blog iraniani di cui circa 70 mila in lingua farsi, la quarta lingua al mondo più parlata nei blog. Difficile trovare dati più precisi (questi sono di www.blogcensus.com), ma basta per dire che internet è diventata un mezzo di comunicazione importante in Iran, e i motivi non sono difficili da intuire: da un lato il controllo di regime sui mass media, che ha spinto molti giornalisti e attivisti a ripiegare sul giornalismo on-line, dall'altro il controllo sociale sulla vita pubblica e sui comportamenti individuali. È una questione di codici di comportamento, spiega Amir-Ebrahimi: «Nella vita quotidiana reale devi attenerti a dei modelli di comportamento codificati». Questo è un po' vero ovunque: ma lei sta parlando dell'Iran dopo la rivoluzione, dove le norme di comportamento sono fondate sull'abbigliamento islamico e la deferenza al sistema - una «società morale», la chiama.

Negli anni '80 le palandrane scure o il chador per le donne e gli abiti grigi maschili hanno avuto la funzione sia di imporre i valori islamici, sia di cancellare ogni indicazione di differenze socio-culturali o economiche: c'è stata una grande, apparente parificazione di classe nell'uniforme islamica (anche se non ha impedito a una nuova leva di accumulare ricchezze, e di ricreare grandi differenze sociali ed economiche). I cambiamenti sono arrivati negli anni '90, con lentezza. Finita la guerra con l'Iraq ('88) e scomparso l'ayatollah Khomeini ('89) i rigori rivoluzionari si sono stemperati. Frequentare corsi di lingue straniere o di musica, andare a cena fuori, frequentare caffé o mostre d'arte o concerti - già «pratiche borghesi» - è diventato normale. I colori sono ricomparsi negli abiti femminili. Le tv captate con le antenne satellitari e i café internet fanno ormai parte della vita di tutti, nelle grandi città ma non solo. Nella vita pubblica si sono riaperti spazi - timidi, poi dopo l'avvento del presidente riformista Khatami ('96) più evidenti.

Le relative libertà di comportamento restano fragili però, e rimane il peso dei modelli di comportamento imposti - soprattutto per giovani e donne, obiettivo privilegiato del controllo sociale. «Per i giovani a esempio l'incontro resta difficile», fa notare Masserat Amir-Ebrahimi. «Ormai, la personalità multipla è diventata naturale per gli iraniani», dice: la chiama «strategia della dissimulazione e invisibilità». Gli iraniani «hanno imparato a conformarsi ai diversi modelli di comportamento necessari: in privato, in pubblico, a scuola, in un ambiente «moderno», nel bazar, quando interagisci con le autorità: è un modo per negoziare il tuo posto nella società, ne dipende la tua integrazione sociale».

È questa la grande fortuna di internet, in Iran: «Nello spazio reale, in città, devi sottostare alla pressione di una cultura restrittiva. Nel web log puoi mostrarti come ti pensi, o come vorresti essere», spiega Amir-Ebrahimi. Per i giovani delle classi medie («ma non solo»), è diventato «un luogo chiave per partecipare a un nuovo mondo virtuale e allo stesso tempo riscoprire i propri desideri e identità, parlare di cose che bisogna censurare, costruire relazioni che di solito non è possibile costruire apertamente nello spazio reale». Per lei, da sociologa, osservare i blog è un modo per studiare forme sociali e culturali che nella vita quotidiana non possono emergere, ma si rivelano nel mondo virtuale.

«Il web è diventato, almeno in Iran, un nuovo spazio pubblico», dice. Ma chi sono i blogger iraniani? Uno immagina che siano giovani della classe media. «Giovani, senza dubbio: ma non solo. Da come si dichiarano ci sono anche molte persone di mezz'età. Sono uomini e donne. Di solito i blog ospitano commenti e così si creano audiences, ce ne sono di più o meno seguiti. Ci sono donne che si definiscono femministe - anzi, un'intera corrente, si chiama "weblog feministe-e-Iran"». Ci sono siti di notizie o giornali telematici; non sono blog in senso stretto, ma sono uno spazio di confronto importante: come il Farzaneh Journal, giornale femminista di cui è responsabile una ministra del governo Khatami, Massoumeh Ebtekar (questo non ha impedito che la caporedattrice Mahboubeh Abbas-Gholizadeh fosse arrestata in ottobre).

Poi ci sono persone che hanno semplicemente cominciato a scrivere quello che gli succede nella vita. Come Nooshi: il suo blog è diventato molto noto, Nooshi o Joojehash («Nooshi e i suoi pulcini»): «Nooshi è una donna divorziata con due bambini. La legge impone che in caso di divorzio i figli restino con la madre fino ai 4 anni e poi siano affidati al padre. Lei, in piena battaglia legale, ha cominciato a scrivere il blog per raccontare la vita dei suoi figli, "per conservarne la memoria" e anche per contestare quella norma: "non sono una cattiva madre, perché me li tolgono?". Decine di donne hanno cominciato a risponderle, raccontando le proprie storie o i propri commenti».

Alcuni weblog sono molto noti e gli autori sono dichiarati: quello dell'ex presidente della repubblica Ali Abtahi ha un pubblico di almeno tremila partecipanti. Poi c'è una gran massa di web log personali, il cui autore/autrice si definisce di solito con uno pseudonimo, è raggiungibile per posta elettronica ma non rivela identità e tantomeno telefono: non sarebbe più quello spazio virtuale libero in cui rivelare il proprio volto nascosto. Così, all'inizio del suo lavoro Amir-Ebrahimi ha inviato 700 messaggi in posta elettronica ad altrettanti blogger chiedendo loro di mettersi in contatto con lei: «Davo il mio numero di telefono promettendo di conservare l'anonimato, e molti hanno risposto». Una notte ha chiamato anche Nooshi: «Era mezzanotte e siamo rimaste al telefono fino alle 3 del mattino».

La «costruzione di un'identità altrimenti repressa» attraverso il blog è un gioco di specchi assai complicato. Prima di tutto però nel blog c'è una grande urgenza di parlare, dare voce a ciò che in pubblico va taciuto. «Considera che quella iraniana è una società della comunicazione orale: per tradizione l'esperienza è raccontata, e il blog è un mezzo consono a questo». Il blog ormai comincia ad avere un impatto sulla società. Amir-Ebrahimi cita un caso di cronaca che ha fatto scalpore qualche tempo fa: una donna di appena 22 anni condannata all'impiccagione con l'accusa di essere una prostituta. «In realtà era trapelato che era stata violentata, più volte, da persone potenti che l'avevano usata. La cosa indignò molto, tutti i blog ne parlavano. Poco dopo altre due donne sono state condannate a morte per omicidio: in entrambi i casi, avevano ucciso l'uomo che le aveva violentate, o stava per farlo. In quel caso i blog si sono mobilitati e un sito legato a organizzazioni per i diritti umani ha cominciato a raccogliere firme su una petizione di protesta. Alla fine le condanne a morte sono state revocate».

Si capisce allora che lo stato tema il giornalismo internet e i blog, al punto da arrestarne gli scrittori: è un mezzo di comunicazione influente. «Certo che lo è. Ed è un media diffuso in tutto il paese, e in diversi strati della società». Penso ai blogger iraniani incontrati per caso nella pur limitata esperienza di giornalista straniera: dalla donna che racconta gli eventi culturali di Tehran al professionista che riversa sul web le sue riflessioni sul mondo che cambia al più improbabile: un giovane volontario islamico presso il cimitero dei martiri della rivoluzione, a sud della capitale iraniana, che confessa di cercare anime gemelle sulla rete.

È ovvio pensare che l'uso di internet sia un fenomeno soprattutto urbano, e del resto è difficile dire quanti blogger siano in grandi città o in piccoli centri: «È certo però che ci sono comunità di blogger in città piccolissime, e si dichiarano tali. Il blog va forte perfino tra i giovani religiosi a Qom o a Mashad», le due città sante nell'Iran: «In città simili sono rari i cinema, ma di café internet è pieno. Così hai dei giovani studenti di teologia che cominciano a guardare il mondo attraverso internet». In un documentario circolato tempo fa si vedevano giovani religiosi mettersi al computer, dopo aver fatto le abluzioni rituali, quasi lo schermo fosse il libro sacro. Cominciano da siti di studi coranici, poi passano alle notizie, la Bbc, le chatting room, «entrano in un universo che non ha più barriere». I web log di studenti di teologia sono numerosi. Ci sono i weblog dei giovani hezbollahi, i miliziani islamici (squadre di picchiatori mandate a intimidire gli studenti che manifestavano per le riforme democratiche): «Blog separati per i fratelli e le sorelle, si intende», ride: «Partono con tiritere di propaganda, ma poco a poco cominciano a parlare di sé. Quando le autorità chiudono i siti web, a ondate, ci incappano anche i loro: così, da oltranzisti del regime, si ritrovano dalla parte di chi protesta». Un paradosso? Neanche tanto: «Pensa: l'insegnamento in Iran è sempre stato fondato sull'imparare a memoria, nessuno sforzo per stimolare lo spirito creativo. D'improvviso, giovani a cui non è mai stato chiesto di esprimersi hanno il modo di farlo in anonimato: è l'occasione per ridefinirsi, reinventare la propria identità individuale cancellata da una società moralizzatrice». È questo il nuovo «spazio pubblico»: «Uno spazio culturale dove puoi costruire liberamente le relazioni che nella società reale sono limitate. Se ci pensi, è un'estensione dell'esperienza della modernità: vivi in uno spazio comune con persone che non sono fisicamente vicine».

Note: SENZA FILTRO
Come può un regime mantenere il controllo della vita pubblica e dei media, quando esiste uno «spazio pubblico» come il web? In Iran la magistratura, roccaforte dei tradizionalisti, ha chiuso i giornali legati alle forze riformiste: e questi hanno aperto dei notiziari internet. La magistratura allora ha bloccato i due siti web riformisti, tra cui quello ufficiale, Emrouz. Una blogger quindi ha proposto (sul web) di fare una protesta collettiva: tutti i weblog si sarebbero dati nome Emrouz. Gran parte dei bloggers erano scettici e tiepidi rispetto al sito riformista. Ma il giorno della protesta almeno 250 blog si erano ribattezzati e avevano rimesso in rete i testi di Emrouz, dichiarando: «Questa è una protesta contro il filtering del regime».

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