Le avanguardie digitali
È possibile fare informazione indipendente in un Paese come l'Italia in cui esiste un forte accentramento della proprietà dei media? È possibile realizzare un'alternativa sociale e politica dove le attività di controinformazione e sperimentazione sono per lo più «marginalizzate» negli ambienti underground? Alla prima domanda si può rispondere senza dubbio di sì, prova ne sono i network telematici antagonisti, le radio indipendenti e le telestreet. Più difficile dire quale sia il ruolo che l'informazione libera ha in Italia, e qual è lo stato della sperimentazione artistica attuale. Sono questi alcuni degli interrogativi a cui hack.it.art, mostra-evento berlinese sull'attivismo informatico, artistico e dei media, vuole tentare una risposta (www.ecn.org/aha).
Per sei settimane, infatti, da ieri al 27 febbraio al Kunstraum Kreuzberg/Bethanien di Berlino si terranno workshop e eventi sul tema dell'hacktivism (hacking + activism), quel filone dell'attivismo politico che usa i media come strumento di sperimentazione e di conflitto. L'iniziativa, curata da Alexandra Weltz e Tatiana Bazzichelli e presentata da Aha: Activism-hacking-artivism - mailing list, sito, mostra itinerante sull'attivismo digitale - con la cooperazione fra gli altri dell'Istituto Italiano di Cultura di Berlino, il quotidiano Taz, il Media art festival «transmediale.05», parte da buone premesse. All'evento partecipano nomi noti del panorama hacktivist italiano e europeo e fra questi sono da citare Candida Tv, il Freaknet Media Lab, il Chaos Computer Club, l'Old Boys Network e artisti come Federico Bucalossi, Tommaso Tozzi e Giacomo Verde, veterani della via italiana al digitale.
Parte dello spazio espositivo della mostra diverrà un medialab nel quale avranno luogo laboratori e dibattiti. Ed è qui probabilmente che si misurerà la capacità della scena attivista di confrontarsi con le questioni relative ai temi dell'accesso alla conoscenza, l'arte del networking, le tecnologie del corpo, le mutazioni antropologiche della società dell'informazione. L'obiettivo? Trarne indicazioni utili a diffondere e moltiplicare pratiche di comunicazione alternativa, infiltrare e capovolgere la cultura mainstream, agire come un virus nell'immaginario cloroformizzato dai Murdoch e dai Berlusconi secondo un modello che come dicono gli organizzatori, vede la rete come «uno spazio aperto, in cui fioriscono attività decentralizzate, autonome e gestite dal basso» e dove «l'accesso all'informazione senza barriere, l'uso consapevole, non commerciale e libero della tecnologia, i concetti base dell'etica hacker, sono presentati quali forme di azione politica».
Un evento importante quindi, perché, a parte il neonato Transhackmeeting, (il meeting internazionale degli haker tenutosi in Croazia) non sono molte le occasioni di incontro fra le culture critiche della rete a livello europeo (che pure ci sono però, come il Next Five Minutes di Amsterdam, la Transmediale di Berlino, l'Ars Electronica Festival di Linz) e pochissime quelle in Italia (gli hackmeeting sono annuali, www.hackmeeting.it) anche per la diffidenza che gli italiani hanno sempre manifestato nei confronti di eventi «istituzionali» e non autogestiti.
Utile quindi che le culture critiche si confrontino fra di loro all'interno di un'iniziativa realizzata in collaborazione con delle istituzioni, forse più per scelta tattica che per convinzione, in modo da riflettere insieme in un contesto che seppure non pretende di rappresentare per intero la net-culture del belpaese, può servire a sintetizzare le parole di una scena italiana, che è assai ricca, e creare contatti, più solidi e continuativi, con realtà gemelle europee che non siano affidate solo all'iniziativa dei singoli. Utile anche perché la scena italiana che va in trasferta suscita sempre un forte interesse, vuoi per l'attenzione tributata all'anomalia italiana fatta di monopoli e conflitti d'interesse, vuoi per la capacità dimostrata dagli hacker nostrani di produrre anticorpi all'attuale regime mediatico. Una capacità che non di rado ha scontato un vizio d'origine nel fatto di diffondere pratiche e idee in una lingua che non è la lingua franca di Internet, cioè l'inglese, che invece è d'obbligo negli incontri europei face to face.
Gli italiani possono infatti dire molto ai colleghi d'oltralpe anche perché negli ultimi anni c'è stato tutto un fiorire di iniziative di comunicazione sui temi delle controculture, con libri originali pubblicati da case editrici indipendenti: Hacktivism di ManifestoLibri, Media Activism di Derive Approdi, Net Art della Shake Decoder, e altre che invece procedono secondo i modelli dell'azione diretta (l'activism) che punta all'occupazione di spazi fisici per il dibattito e l'autoformazione, l'iniziativa politica dal basso, come il Reload di Milano, o come Esc a Roma, luoghi immateriali come TheThing, www.amatrix.it e altri, che hanno prodotto incursioni intellettuali per il movimento, dentro il movimento, con l'aspirazione a forgiare strumenti concettuali da applicare alla realtà quotidiana, come dimostra la mappa interattiva dell'hacktivism sul sito di Aha, che è «il plagio di un plagio di un plagio» della mappa sviluppata su un'intuizione di jodi.org e inizialmente comparsa su thething.it.
È per questo che, nonostante in Italia il dibattito sia più che mai aperto e temi come il mediattivismo e il software libero facciano capolino anche nei corsi universitari e nei dibattiti sul monopolio televisivo, non si omette mai di citare Indymedia Italia, l'influenza di questo immaginario rimane spesso limitata alle soggettività più sensibili all'innovazione dei paradigmi della comunicazione.
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