«Vogliono i giornalisti»
Georges Malbrunot, giornalista francese de Le Figaro, è stato liberato il 21 dicembre scorso, dopo 4 mesi di sequestro. Era stato rapito, assieme al collega Christian Chesnot di Radio France Internationale il 20 agosto scorso. Il rapimento era stato rivendicato dall'Esercito islamico in Iraq, un'organizzazione radicale. Oggi, mentre è nelle mani di altri rapitori in Iraq la collega di Libération, Florence Aubenas, Malbrunot è impegnato a testimoniare e ad esprimere solidarietà a chi condivide la sua sorte.
La mobilitazione è importante? Può svolgere, secondo lei, un ruolo decisivo, nel senso che i rapitori sono in qualche modo permeabili agli appelli alla liberazione ?
La mobilitazione è importante, soprattutto all'inizio di un caso di rapimento. E' difatti nei primi giorni o nelle prime settimane che viene giocata la sorte del rapito. E' una regola constatata da tempo: i rapitori inviano un messaggio alle autorità del paese del rapito, delle rivendicazioni, delle minacce, un ultimatum, perché queste autorità reagiscano. In questo momento la mobilitazione è importante, per far reagire le autorità del paese implicato. Per esempio, nel caso della Gran Bretagna, le cui autorità non accettano di negoziare, una forte mobilitazione avrebbe potuto avere un ruolo, per spingerle ad intraprendere una trattativa con lo scopo di salvare la vita al rapito. La nostra storia ne è la prova. L'Esercito islamico in Iraq aveva una lettura politica della situazione: ci hanno per esempio detto abbastanza chiaramente che avevano una griglia di lettura, che la Francia non era membro della coalizzione, che non eravamo considerati come nemici, che non facevamo parte di nessuna delle categorie di nemici. Per noi è stata fondamentale la mobilitazione della comunità islamica.
La mobilitazione deve quindi essere ben organizzata, con degli obiettivi precisi e non solo un movimento di solidarietà generoso ?
Certo, la mobilitazione deve essere indirizzata. Le manifestazioni della comunità islamica francese sono state ben fatte, i rapitori ci hanno detto questo, che erano i musulmani francesi, parte della umma, i fratelli islamici che chiedevano la nostra liberazione. In altri termini, non bastano le mobilitazioni di carattere culturale. Ci vuole una mobilitazione ben indirizzata e che si faccia ascoltare dai rapitori: deve essere ripresa dalle radio e dalle tv arabe, deve passare su Al-Jazeera e Al-Arabya. Non basta che si muova il piccolo cerchio degli intellettuali arabi.
I rapitori si tengono informati ?
I gruppi armati che rivendicano i rapimenti sono sempre più informati. I giornalisti sono diventati una preda importante, perché il rapimento di un giornalista assicura loro notorietà. Temo che per questo i giornalisti siano sorvegliati. Per un giornalista lavorare in Iraq, soprattutto se è cittadino di un paese membro della coalizione, è diventato estremamente pericoloso.
Ma se sono informati perché hanno rapito Giuliana, che lavora per un giornale che si è schierato contro la guerra ?
Siamo sicuri che la loro conoscenza vada così lontano? La cosa certa è che guardano la nazionalità e non il giornale. E' successo lo stesso con Enzo Baldoni. I nostri rapitori ci dicevano: i giornalisti riflettono la posizione del loro paese. La loro griglia di lettura è limitata. Per questo la mobilitazione deve insistere su questo punto: bisogna diffondere il messaggio che Giuliana lavorava per il manifesto, giornale contro la guerra.
Che cosa sta succedendo in queste prime ore a Giuliana ?
Prima fanno un controllo di identità, sottopongono il rapito a un interrogatorio per sapere chi è, da quando è in Iraq, se è un vero giornalista. Nel mio caso, sono stato interrogato da un ex agente dei servizi di Saddam Hussein, un professionista dello spionaggio. In seguito avremmo dovuto venire giudicati da un tribunale islamico. Per questo, anche, la mobilitazione deve essere rapida : per anticipare un'eventuale decisione.
Il fatto che sia una donna può avere un'influenza secondo lei ?
E' difficile stabilire delle regole. Non ci sono regole. Delle traduttrici indonesiane che lavoravano per gli americani sono state liberate dal nostro gruppo, mentre Margaret Hassan è stata uccisa.
Sono le autorità italiane che hanno le carte in mano adesso?
Agli occhi dei gruppi armati, l'Italia è un paese della coalizzione, e questa non è una buona cosa. Ma bisogna concervare la speranza. Per gli occidentali, sono i governi a negoziare. In questo caso, a differenza di quello che è successo per noi, anche il governo iracheno potrebbe svolgere un ruolo positivo.
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