Indymedia si prepara a rispondere al "rapimento" dei suoi server

A quasi cinque mesi dal sequestro dei server Ahimsa I e II, Indymedia organizza le sue contromosse. In particolare molti attivisti britannici supportano l’idea di intraprendere mosse legali contro il provvedimento e contro il service provider Rackspace presso cui le macchine erano depositate, ma finora è impossibile perché non si è potuto visionare l’ordine di sequestro.
26 febbraio 2005
Chiara Rancati
Fonte: Indymedia UK (http://www.indymedia.org.uk)

“Finchè la sentenza del tribunale americano che ha deciso il provvedimento rimane segreta – spiega un post su Indymedia UK – non sappiamo neanche di cosa siamo accusati, su quali basi e di chi sarebbe la colpa. Quindi non possiamo muoverci in campo legale, perché una denuncia necessita un reclamante e un’accusa”. Ciononostante il dibattito prosegue, in quanto gli Indiani non vogliono che la vicenda passi sotto silenzio o venga dimenticata “Vogliamo creare un movimento pubblico e politico che sfidi l’Impero sulla base della comunicazione – si legge sempre nello stesso post – e far capire alla gente perché dovrebbe preoccuparsi del sequestro di alcuni server di informazione grassroot. L’Impero cerca di rendere legale sequestrare server senza dare informazioni sui motivi, senza sentenze dei paesi in cui le macchine si trovano, senza prendere in considerazione la libertà di parola e il diritto di comunicare. Questa crescente legittimazione di atti discutibili da parte degli Stati ci spaventa.”
A rendere la vicenda ancora più rilevante è il fatto che essa sia senza precedenti per almeno tre aspetti. Ahimsa I e II sono stati i primi server bloccati da un’operazione legale che ha coinvolto tre paesi, l’Italia (che ha richiesto l’accesso ai dati), gli Stati Uniti (dove Rackspace ha la sua sede legale) e la Gran Bretagna (dove è avvenuto il sequestro vero e proprio). Inoltre per la prima volta dei contenuti sono stati messi offline grazie al Trattato di Mutua Assistenza Legale (MLAT), che consente di mantenere segreto l’ordine del tribunale. Infine, è la prima volta che un caso del genere viene discusso a livello internazionale su media elettronici e non. “Questa vicenda va ben oltre Indymedia. – prosegue il post – Riguarda i diritti degli Internet Service Provider, che sono già obbligati a conservare dati sui loro clienti (i cosiddetti log files) e a renderli disponibili per le agenzie governative e in questo modo diventano intermediari tra i produttori di contenuti e la legge. Ciò significa che il diritto di accesso al web di chiunque gestisca un sito dipende dalla politica di comportamento del suo ISP: se qualcuno gli notifica una denuncia è lui a scegliere cosa fare. Spiegare le accuse, informarti in proposito e darti la possibilità di reagire, oppure semplicemente chiudere il sito.” Questo procedimento era stato finora usato per rimuovere siti pornografici, ma la dimostrazione della sua applicabilità a pagine politiche non può che preoccupare.

Note: Per saperne di più sulla vicenda: http://www.indymedia.org/fbi

Per esprimere solidarietà ad Indymedia: http://solidarity.indymedia.org.uk

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