Manuale per la propaganda di guerra

Ho provato a calarmi nei panni di un esperto militare per riassumere in alcuni punti chiave le strategie mediatiche utilizzate negli ultimi anni dalle nostre Forze Armate e dall'Alleanza Atlantica per legittimare i conflitti armati che hanno avuto come protagonista anche l'Italia. Il risultato e' un "manuale per la Propaganda di Guerra" che comprende un elenco impressionante di strategie e tecniche di manipolazione dell'informazione e delle coscienze, a cui il movimento per la Pace dovra' rispondere con altrettanta lucidita' ed efficacia per evitare di essere schiacciato dall'"informazione a senso unico" che e' gia' entrata in azione ben prima dei pacifisti, come dimostra l'editoriale di Lucio Caracciolo su "Repubblica" del 26 settembre, un articolo che ho letto solamente dopo aver realizzato questo scritto, ritrovando le tecniche da me descritte applicate con sapiente maestria.
27 settembre 2001

"La prima battaglia e' quella che si vince sul teleschermo"
(Anonimo)

Il punto fondamentale da cui partire e' la ricerca della "Giusta Causa", un fatto reale ampiamente condannabile dal punto di vista etico e politico, a partire dal quale compiere azioni che di etico hanno ben poco. (Esempi di "Giuste Cause": Invasione del Kuwait, repressione della popolazione albanese del Kossovo, azioni terroristiche)

Si passera' in seguito all'individuazione, personalizzazione e demonizzazione del "Nemico". Negare o nascondere ogni legame passato o presente, economico o politico con il nemico. Togliere ogni visibilita' mediatica alle domande scomode: Chi ha venduto le armi a Saddam ? Chi ha fatto affari con Milosevic e Bin Laden prima che si trasformassero nel "nuovo Hitler" e nel capo del nuovo "Impero del Male" ? Far sfogare sul nemico personalizzato l'odio e la rabbia creata ad arte nell'opinione pubblica dimenticandosi che fino a ieri il "nemico" era anche nostro partner di affari e che continua a gestire i suoi soldi tramite le nostre banche. Affrontare la questione del segreto bancario con molta delicatezza. Anche se l'eliminazione dei paradisi fiscali e del segreto bancario sulle transazioni internazionali sarebbero decisive per "ostacolare" il "nemico", il terrorismo, il narcotraffico e il commercio delle armi, queste soluzioni non vanno assolutamente menzionate.

Bisognera' poi prestare particolare attenzione alla ricerca di un eufemismo per non impiegare mai l'uso della parola "guerra" (Operazione di Polizia Internazionale, Missione Umanitaria, Operazione antiterrorismo)

Ricordarsi di presentare all'opinione pubblica una sola verita' al giorno. In ogni conferenza stampa Nato o nelle dichiarazioni pubbliche dei capi di Governo dei paesi in guerra va presentata una sola idea chiave che sara' il titolo dei giornali del giorno successivo. Questo ha il compito di semplificare il lavoro dei portavoce che devono gestire una situazione molto complessa, piu' facile da descrivere se trasformata in una affermazione monodimensionale.

In seguito alle prime reazioni si adottera' come risposta l'ostracismo e accuse di collaborazionismo con il nemico verso i giornalisti colpevoli di aver dato voce alle vittime dell'azione militare. Il teorema e': chi non e' mio amico e' necessariamente amico del mio nemico. Quando i giornalisti presenti "sul campo" manifestano opinioni critiche o non allineate, precisare che nei paesi dove vengono realizzate queste trasmissioni vige una strettissima censura militare che rende quelle testimonianze prive di valore.

Davanti ai crimini di guerra documentati, agli "effetti collaterali" e alle responsabilita' dell'"Alleanza" negare l'evidenza. E' una tecnica efficacissima perche' ormai l'opinione pubblica e' abituata ad affermazioni anche grossolanamente inesatte da parte delle autorita' militari e politiche e perche' comunque i giornali danno piu' risalto alle menzogne "amiche" che alle affermazioni del "nemico" indipendentemente dal fatto che siano vere o meno. Quello che sembra solamente faccia tosta e sfrontatezza nella menzogna e' in realta' una spietata strategia di comunicazione ampiamente collaudata.

Un altro punto chiave e' la spettacolarizzazione e trasfigurazione della guerra. Anni e anni di "lavoro culturale" realizzato a testa bassa dai vari Stallone e Shwarzenegger hanno dato i loro frutti trasformando ogni azione militare in un pulito videogame. Inquadrare preferibilmente aerei, carri armati, alta tecnologia, soldati "amici" puliti e contenti e far vedere il meno possibile il volto del "nemico", che non va considerato nella sua umanita', evitare il piu' possibile riferimenti o inquadrature sulla popolazione civile.

Sara' opportuno utilizzare come al solito un "pool" di giornalisti amici, i soli ad essere abilitati ai "briefing" Nato, per dare l'impressione di un controllo democratico da parte della stampa dietro il quale si nasconde una censura e una selezione preventiva dei soggetti abilitati a fare domande. Ad essi va affiancato il lavoro certosino degli "intellettuali" allineati e degli editorialisti compiacenti, con particolare riguardo per Ernesto, Angelo, Lucio, Gianni, Paolo, Vittorio e altri che si sono gia' distinti in passato per i servigi resi con le loro penne a beneficio della "Giusta Causa".

Cercare a tutti i costi la polarizzazione delle posizioni senza lasciare spazio alle sfumature. E' molto piu' efficace ridurre la dialettica a un semplice "guerra si' - guerra no" per includere nel "guerra si'" anche le posizioni "guerra si' ma come intervento militare dei Caschi Blu ONU", "guerra si' ma senza impiego di armi radioattive", "guerra si' ma non dal cielo con bombardamenti a tappeto", "guerra si' ma senza violare le convenzioni di Ginevra scegliendo obiettivi civili come ponti o palazzi della televisione", "guerra si' ma non con bombe a grappolo che violano i trattati per la messa al bando delle mine". Ovviamente una volta cooptate queste posizioni nel semplice "Guerra si'", il fronte del "guerra no" sara' messo forzatamente in minoranza.

Se le reazioni dovessero persistere bisognera'adoperarsi per la ridicolizzazione e la banalizzazione delle posizioni espresse del movimento pacifista. Utilizzare la tecnica "hai ragione ma e' meglio fare come dico io", ovvero "quello che dici e' un'utopia molto bella e auspicabile, che io condivido, ma ora c'e' un'emergenza e va gestita con realismo e con i piedi per terra". Nei dibattiti pubblici selezionare figure "deboli", con una scarsa preparazione teorica e politica, e mediaticamente poco efficaci per dare l'impressione di una totale assenza di proposte concrete da parte di chi critica l'intervento armato. Altre categorie utili in cui inquadrare i pacifisti sono le seguenti: figli dei fiori, "quelli del G8", Black Bloc, popolo di Seattle, ex-sessantottini, preti idealisti affetti da "buonismo" cronico, ex-comunisti o veterocomunisti, ragazzini che non hanno ancora capito la dura realta' della vita. Evitare assolutamente personaggi legati al mondo accademico, ai centri di ricerca sulla Pace, alle reti di formazione per la nonviolenza o a qualunque realta' in grado di contrapporre una solida base teorica alla teoria dell'intervento armato. Utilizzare la tecnica del "dov'erano": "dov'erano i pacifisti quando tizio faceva questo?", utilissima per dimostrare ad arte che il pacifismo e' una cosa che si rispolvera solo in caso di guerra e che non ha nessuna valenza nel campo della prevenzione e della risoluzione pacifica dei conflitti.

Cercare per quanto possibile di utilizzare immagini con un forte impatto emotivo, in grado di far scattare i meccanismi mentali che regolano l'istinto, la rabbia e l'aggressivita', in modo da rendere cieca l'opinione pubblica ad ogni discorso razionale, negato nei cuori e nelle coscienze da una emotivita' esasperata artificialmente attraverso il video. Anche se non e' di nessuna utilita' dal punto di vista informativo, si consiglia di riproporre piu' volte al giorno sugli schermi televisivi la sequenza dell'aereo che si schianta sulle torri gemelle per mantenere vivo lo shock emotivo che puo' mantenere l'opinione pubblica saldamente dalla nostra parte.

Un'altra tecnica efficace e' la negazione e l'occultamento delle alternative grazie ad un falso senso di informazione. Dare la maggior quantita' di informazione possibile, anche nel caso in cui non si tratti di dati rilevanti, purche' favorevoli alla nostra posizione e all'intervento armato. Far perdere la visione d'insieme con una cronaca dettagliatissima di aspetti marginali. In questo modo e' possibile soffocare le proposte alternative alla guerra in un mare di informazioni, impossibili da gestire se non con una necessaria semplificazione che va a nostro vantaggio, in quanto la maggior quantita' di informazioni in circolazione spinge in direzione della guerra. In quest'ottica sara' favorita la produzione a ritmo serrato di una grande quantita' di notizie brevi, evitando il piu' possibile l'approfondimento, i dossier, le retrospettive storiche e il coinvolgimento di persone direttamente coinvolte nei problemi trattati, ai quali vanno preferiti gli "pseudo-esperti" che dall'alto della loro notorieta' o in virtu' di un titolo prestigioso sono pronti a riempire i palinsesti dei nostri programmi televisivi.

Curare la gestione "umanitaria" dei profughi. L'inevitabile flusso di profughi generato da ogni azione militare va gestito con molta attenzione dal punto di vista mediatico, trasformando una massa umana costretta alla fuga da un attacco militare in una popolazione sottratta a un regime repressivo e finalmente approdata nella civilta' dove potra' ricevere tutte le cure e le attenzioni necessarie, ovviamente fino allo spegnimento delle telecamere.

Successivamente andra' curata l'enfatizzazione della vittoria e la gestione della "mancata deposizione" del leader nemico. Saddam e' ancora li', e Milosevic e' stato cacciato dalle elezioni, non certo dalle nostre bombe. Poiche' probabilmente anche Bin Laden rimarra' in piedi sui cadaveri dei suoi seguaci e delle vittime civili della guerra, al termine dell'azione armata, enfatizzare il raggiungimento di altri obiettivi (che andranno individuati al momento) e affermare in ogni caso l'idea che "abbiamo vinto", "il nemico si e' arreso", "sono state accettate incondizionatamente tutte le nostre condizioni".

Non stancare e non impaurire l'opinione pubblica. Gestire in maniera efficace il rientro alla normalita' e la "chiusura della ferita". L'azione militare va chiusa nel piu' breve tempo possibile. Nel caso cio' non avvenga dare sempre meno rilevanza alle informazioni sugli sviluppi della guerra, relegandole in coda ai telegiornali o nelle ultime pagine dei quotidiani, in modo da non "tirare troppo la corda" rischiando il malcontento dell'opinione pubblica e l'adesione alle idee contrarie alla guerra. In nessun caso la popolazione dei nostri paesi deve sentirsi minacciata o avere l'impressione di trovarsi in uno stato di guerra o di forte militarizzazione, cosi' come non vanno messi assolutamente in discussione i nostri privilegi, il nostro benessere o il nostro stile di vita. La guerra deve essere sempre vissuta come una parentesi, anziche' come il normale svolgersi di eventi intercalati da periodi piu' o meno lunghi di "pacificazione" militare forzata. Questa tecnica e' gia' stata sperimentata con successo durante la guerra contro la Jugoslavia, quando a bombardamenti ancora in corso siamo riusciti a far dare come notizia di apertura dei telegiornali la vittoria dello scudetto da parte del Milan. Al termine dell'intervento armato chiudere rapidamente ogni strascico relativo agli eventi in corso, senza approfondire le conseguenze dell'azione militare sulle condizioni della popolazione civile e dei profughi, sull'equilibrio ambientale e sulla situazione politica internazionale.

Tutte queste direttive vanno seguite scrupolosamente affinche' anche questa guerra si trasformi in un eccezionale evento mediatico e in una grande prova di forza per la nostra civilta' e la nostra democrazia. Tutti gli operatori dell'informazione che proveranno a sottrarsi a questo progetto, attraverso la produzione di informazioni non allineate o l'utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione, verranno inesorabilmente marginalizzati e penalizzati nella loro attivita' lavorativa grazie al controllo capillare delle forze politiche, responsabili dell'intervento militare, sui grandi gruppi dell'informazione, un controllo che in Italia e' favorito anche dall'altissimo livello di concentrazione della proprieta' nel settore dell'editoria, delle telecomunicazioni e del multimedia.

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