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Samuel Ayotunde Kalejaiye: un italo-nigeriano con molte mamme ma, per ora, un solo libro.

Dialogo con lo scrittore Samuel Ayotunde Kalejaiye.


22 marzo 2005
Daniele Barbieri
Fonte: www.migranews.it - 10 marzo 2003

Di mamma ce n’è una sola: tipico modo di dire italiano (e non solo) che oscilla fra l’ovvietà, il rispetto, l’affetto e magari qualche sospetto di «mammismo». Vai a vedere se poi, nell’Italia di oggi, a tante lodi per quella «mamma sola» davvero corrisponde una sostanza o rimane soprattutto retorica. Anche per queste ragioni avrebbe dovuto suscitare una certa curiosità “La mia prima mamma” del nigeriano (ormai italo-nigeriano) Samuel Ayotunde Kalejaiye che è uscito nel 2003 da Fara. Il libro invece è passato abbastanza inosservato ed è un peccato per il tema e per i possibili confronti fra due culture ma anche rispetto a un autore che ha l’innegabile gusto del raccontare anche se forse ha bisogno di esercitare un più completo controllo sulla scrittura come è già capace di fare nell’oralità.
Ascoltare infatti Ayotunde – il suo nome significa “la felicità è ritornata” – è un vero piacere. Bene ha fatto dunque «Città meticcia» di Ravenna a presentare il suo libro all’interno del ciclo “ParolErranti”. Una cinquantina di persone – quasi equamente divisi fra nativi e migranti - hanno così goduto della conversazione con Samuel Ayotunde Kalejaiye, introdotto e interrogato dallo scrittore algerino Tahar Lamri, con i piedi ad accompagnare gli straordinari gospel del gruppo Le Rocher e per i golosi il classico dulcis in fundo che era in realtà un’agro-dolce perché agli zuccheri della colomba pasquale si univano sapori africani più piccantini.
Se la Nigeria è un gigante con tanti popoli, etnie e linguaggi anche il non certo minuto Samuel Ayotunde Kalejaiye ha molti e diversi volti. E’ un re che ha voluto abdicare (come racconta nel libro); è un poeta e scrittore che per campare fa l’agente di commercio (e persino il sommelier); è un privilegiato perché ha potuto studiare. E’ un fortunato perché è grazie ai soldi vinti al quiz Superflash – neanche a dirlo con Mike Bongiorno – se in Italia ha potuto completare l’università ma è anche uno sfortunato perché ha perso il suo miglior lavoro (direttore di una discoteca dove aveva iniziato da cameriere) per una insofferenza agli occhi che si aggravava con fumo e luci psichedeliche. E’ stato un immigrato molto arrabbiato con l’Italia che, dopo 14 anni di permanenza non gli concedeva la nazionalità: “pago più tasse io di certi albergatori della Riviera” ha puntualizzato nel ´93 in Ebano & avorio (primo libro a raccontare il nuovo fenomeno delle cosiddette «coppie miste»). E poco dopo è diventato cittadino italiano.
Samuel Kalejaiye non è stato vittima di quel razzismo aggressivo che purtroppo esiste ma ha spesso incrociato quella intolleranza meno vistosa che pure ferisce e offende. “Voglio raccontare un episodio. Ero in una selezione con 27 italiani, il mio colloquio fu l’ultimo. «Porca miseria», continuava a ripetere l’esaminatore: «lei è il migliore, è proprio quello che cerchiamo; ma io come faccio a farla passare davanti a 27 italiani?» mi ha chiesto, con un’aria davvero dispiaciuta. E che dovevo dirgli io?”. E’ in quei momenti che si sente rifiutato. Un’eco di quello stato d’animo si avverte anche nella poesia «Non ho scelta», con cui nel ’97 vince il premio Eks&Tra; i versi finali urlano: “Non ho scelta devo andare / andare in tutte le piazze gridando giustizia / sperando che qualcuno mi ascolti. / Non ho scelta devo tornare / tornare nel mio paese d’origine / in questo posto non sono un ospite gradito”. (Chi desiderasse leggere il testo completo può trovarlo nell’antologia «Memorie in valigia», Fara editore.)

“Spesso sento «voi africani che avete molte mogli», ma io ne ho una sola” spiega Samuel Kalejaiye; “oppure mi dicono che i nigeriani sono tutti islamici ma io invece sono cristiano”. Più somiglianze del previsto dunque ma in effetti qualche differenza esiste. La questione delle mamme per esempio. “Per molti africani, o forse dovrei essere anch’io più preciso e dire per molti nigeriani che conosco, le mamme sono molte” spiega: “così vengono chiamate le donne anziane a cui si è particolarmente affezionati”. Però la prima mamma – nel suo caso una donna minuta che si chiamava Florence Ajayi – è un po’ diversa. E il suo libro è un atto d’amore a questa “prima mamma” e inizia con un canto yoruba (è un’etnia della Nigeria): “Iya ni Wura Iyebiye….” che Kalejaiye traduce: “La mamma è un tesoro inestimabile che non si può comprare con i soldi, mi ha tenuto in grembo per 9 mesi e mi ha portato sulla schiena per tre anni; la mamma è un tesoro inestimabile che non si può comprare con i soldi”.
Altra differenza fra le tradizioni italiane e quelle nigeriane riguarda i funerali. «La morte di una persona giovane è un lutto per noi e purtroppo capita spesso; ma se muore un anziano o un’anziana per noi diventa un festa: crediamo che non sia la fine ma un nuovo inizio». Così un intero paese o, in certi casi, addirittura una città trasforma quella morte in un banchetto gioioso con canti e danze. “Come se fosse un matrimonio, manca solo la lista di nozze ma per il resto è identico” spiega Samuel Kalejaiye. Il racconto – quasi sconcertante per la cultura dominante in Italia - di questa festa/funerale è proprio il cuore narrativo di “La mia prima mamma”. Kalejaiye è come sdoppiato: in certi momenti si comporta da africano e in altri da italiano. Così risponde quando Tahar Lamri glielo fa notare: “Mi sono messo a filmare. E’ come se in quel momento fossi uscito dal mio corpo africano per entrare in un altro. Addirittura ho pensato che dovevo fotografare le lumache giganti per mostrare ai miei amici italiani che non raccontavo balle. C’era anche un piccolo alligatore che girava vicino alla nostra casa e io avevo quasi paura di incontrarlo; tornavo ad avere un atteggiamento africano quando lo consideravo un animale domestico. In altri momenti, per esempio quando in Italia mi metto a cucinare, mi riscopro invece completamente nigeriano: dopo 28 anni che sono qui d’improvviso ricordo tutte le ricette”.
Di molto altro vuol parlare Samuel Kalejaiye: di negritudine, del futuro del suo Paese, “della più grande maledizione dell’Africa, la sua ricchezza”, dei nigeriani immigrati e di quelli in esilio (il premio nobel Wole Soyinka), dell’assassinio di Ken Saro Wiwa, della Shell, del suo amore per Carla (che è in sala), della paura continua quando non riusciva ad avere il permesso di soggiorno, di una proposta fatta – senza risposta – alla Rai e della decina di libri che ha pronti, “quasi finiti” nel cassetto e di quello che pubblicherà prima dell’estate. Ma può solo accennarne, la festa-discussione volge al termine. C’è solo tempo per rispondere all’ultima domanda, “Scrivere in italiano che significa per te?”, di Lamri con un convinto: “Di solito non scrivo in italiano, traduco; penso in 5 lingue - tre sono africane e poi c’è l’inglese – ma per ognuna c’è la circostanza giusta, a volte neanch’io saprei spiegare in anticipo qual è”. Dopo aver raccontato un’esilarante storiella algerina, Lamri promette che, prima o poi, bisognerà organizzare un appuntamento anche sull’umorismo africano.

Il ciclo “ParolErranti” – parole, musiche, visioni, sapori, incontri con la letteratura nascente - prosegue il 2 aprile con l’albanese Ismail Bresku e si chiude il 30 aprile con Rosana Cripim Da Costa: alla Casa delle culture in piazza Medaglie d’oro 4, sempre alle ore 17. Non è l’unico ciclo di appuntamenti da queste parti: dall’11 marzo sino al 2 maggio infatti le biblioteche della Valle dell’Idice (Budrio, Castenaso, Loiano, Medicina, Molinella, Monghidoro, Monterenzio, Ozzano, Pianoro, Rastignano, San Lazzaro di Savena) organizzano «All’incrocio dei sentieri» ben 18 incontri con autori e autrici della letteratura migrante.

Samuel Ayotunde Kalejaiye
La mia prima mamma
Fara editore 2003
78 pagine , 7 euro

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