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Conclusa l'inchiesta per i pestaggi al cpt di San Foca. Pesanti accuse a don Cesare Lodeserto.

«Picchiati per razzismo»

Ornella Bellucci
Fonte: il manifesto - 25 luglio 2003

Regina Pacis 26.07.03  Galleria Fotografica a cura di:www.triburibelli.org «Ci hanno sputato in faccia dicendoci: qui non vi salvate». La testimonianza di Montassar Suiden, insieme alle altre, è nel fascicolo d'inchiesta aperto dalla procura di Lecce per far luce sui fatti consumati all'interno del cpt di San Foca: «Don Cesare mi ha preso la testa, mi ha sbattuto contro un muro e mi ha colpito più volte con un manganello. Mi ha anche costretto ad ingoiare carne di maiale durante il Ramadan». Le indagini preliminari sono praticamente terminate e le conclusioni del pm Carolina Elia propendono per la richiesta di rinvio a giudizio degli indagati, tra i quali il gestore del centro don Cesare Lodeserto.

Richiesta che dovrebbe essere sottoposta al vaglio del Gip all'inizio dell'autunno.

Sono 17 i maghrebini che hanno denunciato di essere stati pestati dai gestori del centro di detenzione per immigrati dopo aver cercato di evadere lo scorso 22 novembre. Il tentativo di evasione, andato a vuoto, aveva coinvolto 40 nordafricani e si era ufficialmente concluso con sette feriti e un arresto. Poi erano arrivate le denunce di violenze da parte di diversi fuggiaschi. Puniti, si legge nel fascicolo d'inchiesta, «per un tentativo di fuga», oltraggiati «in spregio alle loro convinzioni religiose». Lesioni personali, violenza privata, abuso dei mezzi di correzione e ingiurie: questi i reati contestati dal pm Carolina Elia a don Cesare Lodeserto, direttore del Regina Pacis, a cinque membri del suo staff e ad undici carabinieri in servizio al centro. Sul registro degli indagati figurano anche i nomi di due medici dell'infermeria interna, che avrebbero prodotto referti falsi sulle condizioni dei trattenuti. Per loro l'accusa è di falso ideologico.

Pesanti le conclusioni delle indagini, sia per la formulazione dell'accusa che per il tipo di violenza accertata. Gli imputati, a partire dal 15 settembre, avranno 20 giorni per depositare memorie, per chiedere di essere interrogati e per presentare ulteriori richieste di prova, insomma per produrre quanto possa essere utile alla loro difesa. «Un termine solo formale», spiega Marcello Petrelli, legale di 12 dei 17 denuncianti. «Non ci sono elementi per l'archiviazione, ora attendiamo il rinvio a giudizio».

Ma uno dei reati contestati dalla pubblica accusa - l'eccesso dei mezzi di correzione - sembra debole. Un assunto che si evince dal bilancio complessivo dell'inchiesta. «Si tratta di un reato - aggiunge Petrelli - che presupporrebbe una situazione in cui è previsto l'uso di mezzi di correzione. Ma il Regina Pacis non è una famiglia né un collegio. Dalla descrizione della condotta degli imputati resa dal pm si capisce che il reato da applicare dev'essere un altro: quello di violenza esercitata per motivi religiosi, etnici e razziali». La legge Mancino, insomma. «Macchinazioni calcolate», è la dichiarazione che dispensa Lodeserto. «Ora più che mai - insiste - occorre fare silenzio». Che «la verità verrà a galla» glielo lasciano dire tutti i giorni i media vicini alla potente curia leccese.

Intanto i 17 denuncianti sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, almeno sino a settembre. Sul caso Regina Pacis il deputato verde Mauro Bulgarelli ha firmato ben quattro interrogazioni parlamentari. «Le conclusioni dell'inchiesta - dichiara il parlamentare - confermano quanto abbiamo visto in quel centro subito dopo il tentativo di fuga: vidi persone con ecchimosi in varie parti del corpo, decisamente provate da quello che è risultato poi essere, anche nell'indagine, un vero e proprio pestaggio che viola tutti i diritti e la dignità delle persone, anche se sottoposte a temporanea privazione della libertà individuale». Un fatto di routine nei centri di detenzione per migranti. «Insieme a quello di Bologna - continua Bulgarelli - il caso Regina Pacis ci permette di riaprire in sede istituzionale la questione cpt. Veri e propri lager, nonostante ciò che pensa il sottosegretario agli interni Alfredo Mantovano».

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