Un milione di euro per costruire un muro
A seguito dello sgombero dello stabile di via Lecco 9 (ormai chiuso
da un muro), ordinato da Comune e Prefettura il 27 dicembre in una
Milano gelida, sentiamo il bisogno di riportare al centro
dell'attenzione il dramma nel quale si sono trovati i rifugiati
politici, dopo 45 giorni di occupazione.
Non vogliamo analizzare l'operato di tutte le forze sociali che
hanno contribuito disinteressatamente, ciascuno a suo modo, a dare
visibilità alla lotta di queste donne, uomini e bambini, abbandonati
da tutti per così tanto tempo.
Crediamo che il lavoro per la difesa dei diritti degli esclusi, che
ci vede collaborare insieme alle realtà sociali, sia l'argine che
impedisca alla destra xenofoba e razzista, che governa questa città,
di agire indisturbata nella quotidiana applicazione di politiche di
emarginazione.
Sin dall'inizio abbiamo cercato e promosso forme di dialogo con
tutti, soprattutto con i rappresentanti dell'Amministrazione
Comunale. Come unica risposta il Comune di Milano, nella persona
dell'Assessore ai Servizi Sociali Tiziana Maiolo, ha dichiarato che
sui rifugiati di Via Lecco il Comune aveva già fatto la sua parte.
Ma in quei giorni ad interloquire con i rifugiati e le Istituzioni
eravamo da soli.
Come eravamo da soli quando ai primi di novembre abbiamo incontrato
i 266 rifugiati, sudanesi, etiopi e eritrei, molti dei quali
ammalati, nella Caserma abbandonata di Viale Forlanini, in mezzo a
rifiuti e topi, rintanati come animali nelle grotte. Insieme abbiamo
dato inizio ad un percorso di rivendicazione dei diritti.
Siamo entrati in Via Lecco nella notte tra il 15 e il 16 Novembre
scorso, con l'intenzione di dare a Milano un'alba diversa e di far
fermare questa città a riflettere sul fatto che, in prossimità della
sbornia consumistica di Natale, 266 rifugiati umanitari e politici,
uomini, donne e bambini, erano stati dimenticati da tutti.
Con loro abbiamo parlato e abbiamo conosciuto le loro storie di
sofferenza e di disperazione. Ci siamo riscaldati intorno allo stesso
fuoco, nell'indifferenza totale di questa città.
Con loro abbiamo occupato uno stabile nel centro di Milano,
abbandonato da 19 anni e oggetto di una speculazione edilizia,
riappropriandoci di un diritto negato, il diritto alla casa.
Con loro abbiamo occupato perché questo era l'unico modo per rendere
visibile lo scandalo di 266 persone, con regolare permesso di
soggiorno, abbandonate dallo stato italiano.
Nei giorni successivi abbiamo lavorato per aprire l'occupazione alla
città. Insieme alle realtà sociali milanesi abbiamo cercato di
costruire un Tavolo di Rappresentanza, al quale gli occupanti
partecipassero come un soggetto autonomo.
Insieme abbiamo presentato all'Amministrazione alcune proposte
concrete di sistemazione alternativa all'occupazione, che sono state
rifiutate. Proposte articolate in punti che dovevano rispettare la
volontà dei rifugiati di restare tutti insieme, di uscire da una
logica di emergenza freddo e di avere una gestione autonoma e
dignitosa della loro vita.
Ma sappiamo tutti come sta andando la trattativa con le Istituzioni.
Ancora una volta il governo di questa città ha risposto nell'unica
maniera che conosce, con ottusità e totale chiusura nei confronti di
chi dimostra determinazione nella rivendicazione dei propri diritti.
Nessuna delle loro richieste di base è stata accolta.
Un'amministrazione civile sicuramente saprebbe risolvere il dramma
dei rifugiati di Via Lecco dignitosamente, avendo a disposizione un
milione di euro stanziati dal governo.
Come sempre facciamo, noi continueremo a lottare al fianco dei
rifugiati, come di tutti gli esclusi che nei nostri territori vedono
i loro diritti negati.
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