«Meglio ributtarci in mare»
Milano - «Bisogna che l'Italia si decida: non può dire che accoglie i rifugiati solo perché rilascia dei pezzi di carta se poi li lascia in mezzo alla strada. Se non li vuole, lo dica chiaro e se ne ha coraggio li ributti in mare quando arrivano». Sanno parlare eccome i profughi sgomberati il 27 dicembre dalla casa di via Lecco.
Sanno quali sono i loro diritti e per questo sono pronti a scendere di nuovo in strada, nonostante il freddo. Da qualche giorno vivono nei container e nei sottoscala offerti dal comune di Milano che scandalosamente li ha chiusi alla stampa. Nessuno li può vedere. I rifugiati si sono adattati perché credono che si tratti solo di una sistemazione provvisoria e che entro il 10 gennaio sarà trovata un'altra soluzione come promesso dal presidente della provincia Penati e dal prefetto Lombardi.
La provincia sta lavorando, per ora in silenzio. E allora sono loro a farsi avanti: hanno chiesto un incontro urgente con comune, provincia e prefetto e oggi riceveranno la visita dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite.
A palazzo Marino invece non ne vogliono più parlare. «La pazienza ha un limite - hanno risposto con la consueta arroganza gli assessori Manca e Maiolo - se i leaderini occupanti abusivi di via Lecco e i loro sostenitori politici non smettono di raccontare bugie e di pretendere un trattamento diverso, il dialogo sarà sempre più difficile».
Altro che leaderini, i rifugiati sono molto determinati e per niente sprovveduti, basta vederli e sentirli parlare per capire che non si fanno imboccare o dirigere da nessuno. Ieri hanno convocato la stampa all'Arci. C'erano le associazioni che li hanno seguiti in questi giorni, ad ascoltare come tutti.
Per cominciare, Siraji, eritreo, ha chiesto un minuto di silenzio per i profughi sudanesi massacrati in Egitto. Poi ha spiegato perché è dovuto scappare in Italia: «In Eritrea ci sono centinaia di persone detenute senza possibilità di avere un processo. Chiediamo l'applicazione della dichiarazione dei diritti umani nei nostri paesi e in Italia».
E' toccato a Hussein, etiope, raccontare come sono sopravvissuti per mesi in Italia: «Per strada, senza soldi, neppure per chiamare casa, senza un tetto e senza sapere dove andare. Siamo 23 persone con riconosciuto lo status di rifugiato, 32 richiedenti e 214 con permesso umanitario. L'Italia ci ha abbandonato. Questo non avviene in altri paesi europei».
Come mai il comune dice di avere altri dati? «Ci hanno censito tante volte, tutti sanno la nostra situazione, ma il comune fa riferimento all'ultimo controllo, quando ci hanno caricato all'alba dopo che avevamo dormito in mezzo alla strada in via Lecco. Quella volta hanno censitochi hanno trovato, non tutti».
«Le soluzioni del comune non vanno assolutamente bene, quelli non mantengono nessun impegno», ha ribadito Zacaria dal Sudan. 50 eritrei sono ammucchiati nelle docce del seminterrato di un dormitorio in via Anfossi.
Altri 50 sono in container chiusi in un sottoscala di via Pucci, «manca l'aria, e l'uscita di sicurezza». Gli etiopi sono chiusi in 22 container da tre o quattro posti letto in una spianata coperta di neve in via di Breme - «quando si accende il riscaldamento sembrano forni, se no sono dei frigo e non c'è uno spazio comune».
I più «fortunati» sono i 67 sudanesi alloggiati nel dormitorio di viale Ortles, ma anche qui le cose non funzionano. «Noi abbiamo regole diverse dagli altri ospiti e inevitabilmente scombussoliamo la vita di tutto il dormitorio».
Per l'assessore Maiolo invece sono tutti sistemati per le feste, tutt'al più dopo il 10 gennaio si sposteranno quelli di via Pucci in un'altra struttura in viale Fulvio Testi che però non è pronta, e qualche altro verrà spedito a Gallarate. «L'assessore Maiolo - hanno raccontato i rifugiati - è venuta anche a farci firmare una carta in cui dichiaravamo di accettare questa situazione e ci impegnavamo a pagare tre euro al giorno se fossimo rimasti oltre i sei mesi in questi posti». Loro invece se non si troverà una vera soluzione torneranno in mezzo alla strada e ricominciaranno la loro protesta civile, ma adesso stanno facendo tutto il possibile perché non sia necessario.
«Sappiamo cos'è la legalità e non abbiamo mai voluto agire illegalmente. Non vogliamo elemosina né case, vogliamo un centro appositamente attrezzato per i rifugiati, se la legge italiana dice che questo è un paese che accoglie i rifugiati é giusto che a Milano ci sia un luogo per i rifugiati». Difficile dargli torto. Ieri l'Unione, tutta, ha invitato il prefetto a convocare un tavolo per risolvere la situazione. Domani per l'epifania il cardinal Tettamanzi terrà una messa in Duomo per le comunità straniere di Milano, in molti si aspettano che ci metterà una buona parola.
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