IMMIGRATI E RISORSE TERRITORIALI: dall'accesso all'inclusione
Premessa:
Vorremmo sottolineare, innanzitutto, che non si tratta tanto di inventare nuove regole, quanto piuttosto di ripensare l'implementazione di ciò che è stato ampiamente e ben regolato, alla luce anche di una riduzione delle risorse disponibili.
Riduzione non imputabile all'allargamento dell'inclusione, ma piuttosto alla
scarsa razionalizzazione del sistema stesso.
Il ripensare le regole, il rileggere le regole alla luce della presenza di nuovisoggetti sociali può diventare dunque l'occasione per un riordinamento del sistema dei servizi che tenga conto dell'esigenza della popolazione nel suo complesso.
Proprio perché le discriminazione, costruite nel tempo più o meno deliberatamente, non possono essere superate con garanzie formali di diritti di uguaglianza, per vie normative ma richiedono discriminazioni positive, strategie, azioni positive volte a recuperare lo svantaggio.
La situazione di paura, di miopia, ha fatto sì che venisse assegnato scarso
peso agli effetti positivi della migrazione (culturali, economici, contribuendo alla produzione del reddito sociale), ed al migrante come cittadino, a cui devono essere garantiti diritti e doveri.
Solo assegnando il giusto peso alla dimensione positiva della migrazione possiamo, ancora una volta, interrogarci su quali regole sono necessarie in
una società multietnica e multiculturale, sottolineare che la presenza dei
migranti costituisce un'occasione per ripensare e rivedere i limiti persistenti del welfare italiano, delle politiche sociali, in particolare di quelle socio-assistenziali.
L'esigenza di un più alto universalismo nel sistema di accesso ai servizi e
alle prestazioni, sia in termini conoscitivi, di una RETE PIU' FITTA E PIU'
INTEGRATA DI SERVIZI E DI PRESTAZIONI, di una relazione più calda e meno
alienante fra l'operatore e l'utente, sono esigenze portanti non solo per i
cittadini immigrati e le fasce deboli della popolazione, ma per tutti gli utenti.
Nella nostra analisi non possiamo però sottovalutare che i cittadini immigrati
beneficiano di un grado di inclusione nel sistema della cittadinanza più basso
di quello degli italiani, in quanto essi non possono beneficiare dei meccanismi tipici di riequilibrio dei quali godono gli autoctoni: il sostegno del nucleo familiare, l'appartenenza ad un tessuto sociale consolidato, l'accesso ai servizi sociali.
E' proprio pensando al sistema dei servizi si rende prioritaria la necessità
di un ripensamento dei meccanismi che governano l'accesso: occorre procedere
ad un'analisi puntuale dei processi di inclusione per meglio individuare gli
eventuali punti opachi che si verificano nell'interazione cittadini immigrati-servizi.
Il passaggio dall'accesso all'inclusione non è un operazione formale (specialmente in presenza di servizi uguali per utenti che, pur presentando gli stessi problemi di altri, uguali non sono), ma sostanziali e strutturali, in quanto si richiede una risposta efficace ad una domanda complessa.
Non possiamo non sottolineare che siamo di fronte a un rischio reale di "nuove
forme diverse di cronicità", in quanto le condizioni di emarginazione del cittadino immigrato sono tali da rendere impossibile la rimozione delle condizioni sociali che determinano l'insorgenza dei bisogni, costringendo il
soggetto a perseguire una strategia finalizzata alla rimozione dei soli sintomi.
Offerta e domanda debbano trovare qualche punto d'incontro, qualche forma di
contatto; è ampiamente condiviso che nell'operare dei servizi la relazione fra
operatori e utenti risulta essere uno dei nodi più problematici, specialmente
se l'interazione avviene seguendo codici di comportamento e linguistici differenti.
Comunicazione che origina effetti perversi nel comportamento degli operatori,
i quali tendono a nascondersi dietro un tecnicismo esasperato o ad etichettare
i comportamenti della persona immigrata, la quale a sua volta tende alla fuga,
o a perseguire una risposta immediata, o a rivolgersi sempre a quell'operatore
con il quale ha stabilito una comunicazione calda, indipendentemente dal bisogno.
Si originano così nuove forme di esclusione dal sistema dei servizi, il cui superamento non può che passare attraverso l'azione integrata dei servizi, nonché attraverso azioni formative volte a motivare l'operatore e a fornire dispositivi di supporto allo straniero.
Ricordiamo che la mancanza o l'inadeguatezza delle informazioni e insieme la
complessità dei percorsi burocratici costituiscono le cause principali di non
accesso ai servizi, sia in riferimento ai cittadini immigrati che agli autoctoni.
L'allargamento dei diritti, la garanzia dell'accesso richiedono dunque un intervento attivo sulle politiche informative, ampiamente previste sia dalla
normativa nazionale e dalla Comunità Europea a favore dei cittadini immigrati,
sia dalla legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale a favore degli
autoctoni. Ma non solo. Il ricorso a strumenti informativi caldi, al mediatore
culturale, rappresentano una dei nodi per sviluppare un progetto attivo di inclusione sia dei cittadini immigrati che delle fasce deboli dell'utenza.
Il punto da mettere in evidenza è che siamo dentro un sistema che definisce e
privilegia un modello relativamente omogeneo, un tipo medio di italianità
(cittadino, lavoratore, cattolico, secolarizzato, bianco), e che tuttora
funziona nel senso di ridurre quanto più possibile gli scostamenti che questo
tipo medio. Soltanto oggi in Italia diventano visibili e destinati ad insediarsi nel sistema monoculturale, genti e costumi che si erano abituati ad accettare come comunque esterni al sistema e che non interferivano con esso.
Di conseguenza, i riferimenti su cui si fondano le pratiche pubbliche, le procedure e le pratiche delle istituzioni sono, nelle società europee, assolutamente monoculturali.
Questo complesso di elementi che si definisce monoculturalismo opera non soltanto sul piano culturale ma grazie a istituzioni che lo impersonano e lo
propongono.
A questo punto, offriamo un ulteriore stimolo di riflessione.
E' vero che ogni società tende ad essere monoculturale e che ogni individuo,
in quanto costruisce la sua identità nella cultura che lo ha partorito, tende
ad assumerla come la cultura assoluta. Ma l'uomo "edito" - si chiama così
l'uomo in quanto ritaglia la propria identità in una cultura data - non realizza che una parte delle possibilità che costituiscono il suo nucleo ontologico e che premono su di lui come esigenze di trascendimento.
L'uomo depasse l'uomo, nel senso che c'è nell'uomo molto di più di quanto non
ci sia nella sua identità culturale. Collocato nello slancio evolutivo che è
il suo vero "luogo", ogni individuo è il punto terminale dell'evoluzione, ma anche il punto d'appoggio della tensione genetica che mira alla totalità.
L'uomo inedito è il futuro possibile la cui codice programmatico precede la
coscienza e la sorpassa come esigenza proiettata in avanti. E' da qui che traggono origini le utopie che illuminano il cielo dell'umanità anticipandone
le conquiste.
Ecco perché due uomini di culture diverse se visti nella loro rispettiva identità sono l'uno all'altro incomunicabili. Ma le culture non sono delle
essenze immutabili. Sono delle conformazioni provvisorie immerse in una corrente che dopo averle formate tende a dissolverle per dare luogo a formazioni più sintesi, le forme determinate della fase precedente.
Ecco perché nessun uomo è totalmente altro in rapporto ad un altro uomo:
l'alterità è innescata in una memoria genetica comune che costruisce e sgretola le diversità come momenti di un progetto comune. Per questo è possibile
"perforare" i diaframmi di separazione, stabilire un rapporto di comunicazione
che ha la meglio sulle diversità.
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