Una politica per i migranti
La manifestazione nazionale del 3 dicembre 2005 ha confermato la crescita del movimento dei migranti nel segno del protagonismo politico e dell’organizzazione autonoma. Il 3 dicembre il Tavolo Migranti ha mostrato una capacità di mobilitazione e di iniziativa politica che portano con sé la visibilità e l’esperienza accumulate da Genova 2001 in avanti. Dopo il 3 dicembre riteniamo necessario ripensare e arricchire questa esperienza alla luce di un’esigenza sempre più forte di autonomia in termini di discorso e di pratica politica. Sono stati questi i presupposti condivisi dai diversi coordinamenti, centri antirazzisti e gruppi che hanno partecipato all’assemblea del Tavolo Migranti dello scorso 5 febbraio a Brescia.
Una valutazione della fase politica è il primo passo verso la definizione dei percorsi futuri. Il decreto flussi condiziona pesantemente la vita dei migranti in questo paese, confermando la logica che li riduce a mera forza lavoro e vuole governarne i movimenti a seconda delle esigenze del mercato. Ne è prova la grande apertura destinata dalle quote al lavoro di cura, che implica anche lo spostamento quasi coatto dei movimenti di lavoratori e lavoratrici migranti dall’area Mediterranea a quella dell’Est Europeo e una crescente rilevanza delle donne migranti all’interno del mercato del lavoro.
Si tratta di una logica che il centro-sinistra ha fatto propria nei documenti programmatici usciti sino a questo momento. Mentre sembrano essere recepite, almeno a parole, alcune delle rivendicazioni portate avanti in questi anni dal movimento dei migranti, il ruolo destinato alle quote e la figura del permesso di soggiorno per ricerca lavoro lasciano immutata la logica fondante della legge Bossi-Fini e della precedente Turco-Napolitano. Dietro alle parole “umanizzazione” e “superamento”, i CPT rimarranno un ingranaggio fondamentale delle politiche di sfruttamento e clandestinizzazione politica dei lavoratori e delle lavoratrici migranti.
Se le mobilitazioni territoriali e nazionali di questi anni sono state in grado di produrre dei miglioramenti nella gestione quotidiana della Bossi-Fini da parte delle Questure e Prefetture locali, oggi è proprio nella direzione di una ridefinizione dei meccanismi amministrativi che si muove lo stesso Ministero degli Interni, che progetta di demandare la gestione delle pratiche a patronati sindacali e uffici postali. Ma nessun reale cambiamento si darà fino a che non sarà messo in discussione a partire dai luoghi di lavoro il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro.
La mobilitazione degli ultimi mesi dei richiedenti asilo segnala con forza una questione ulteriore, quella di una legge organica in materia di asilo, che rischia per l’ennesima volta di ottenere come risposta, dal lato delle istituzioni, il più clamoroso silenzio.
È sempre più chiaro che non sarà un’eventuale alternanza politica al governo a dare risposte alle istanze portate avanti dal movimento dei migranti in questi anni. È sempre più chiaro che una reale possibilità di cambiamento dipende dalla capacità di partire dalle proprie forze coinvolgendo altri soggetti, di mettere a valore politicamente la mobilitazione che il movimento dei migranti ha espresso in questi anni all’interno di un percorso di organizzazione autonoma intorno a parole d’ordine non contrattabili. Autonomia non come chiusura, ma come capacità di costruire percorsi di movimento, come apertura alla possibilità di mettere in rete esperienze, organizzazione e lotta a partire dalla costruzione e dalla condivisione di un discorso politico.
Quel nodo che nessun governo è disposto a sciogliere, il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, deve costituire in modo ancora più forte e determinato il centro dell’iniziativa sociale e politica. La partecipazione di lavoratori e lavoratrici migranti all’assemblea dello scorso 5 febbraio è un segnale positivo, ma è solo il primo passo verso un allargamento e una moltiplicazione delle esperienze di organizzazione autonoma a partire da un discorso politico chiaro e costruito collettivamente.
Di fronte alle condizioni di ricattabilità e sfruttamento cui i migranti sono sottoposti, si rivela profondamente arretrata la soluzione “sindacale” di fare dei migranti una “categoria” tra le altre, rinunciando alla valenza politica centrale e strategica che il lavoro migrante esprime rispetto al lavoro nel suo complesso, e riducendo i migranti a “precari” alla stregua di tutti i lavoratori, senza tenere conto delle specificità delle condizioni assai diverse in alcuni aspetti non trascurabili della vita materiale e formale, tra italiani e migranti; questi ultimi, infatti, sono soggetti alla possibilità di detenzione ed espulsione e bersagli di un razzismo sempre più aggressivo. Il silenzio politico dei sindacati confederali si sta trasformando in complicità, dal momento che sempre più si offrono come “strutture di servizio” per la gestione delle leggi sull’immigrazione ed evitano una presa di posizione politica chiara, come sta avvenendo nel caso delle quote di ingresso. Per questo, assumendo la valenza politicamente strategica del lavoro migrante, dobbiamo farci carico delle fratture e della frammentazione che lo attraversano. Comprendere la specificità della composizione del lavoro nei diversi territori, e costruire le basi di una comunicazione politica tra lavoratori e lavoratrici migranti e italiani a partire dalla necessità, per tutti i lavoratori, di rivendicare con forza la rottura tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, e valorizzando la reale autonomia da ogni istanza partitica e sindacale che il Tavolo Migranti ha espresso in questi anni.
Di fronte all’affermazione sempre più stringente di una logica che non solo in Italia ma in tutta Europa vuole i migranti forza lavoro da “importare” ed espellere a seconda delle esigenze del mercato, a cui si aggiunge la destabilizzazione del lavoro attraverso la legge 30 che riguarda tutti i lavoratori, è necessario affermare la libertà di muoversi come pure la possibilità di restare in Europa, la libertà di costruire un progetto di vita. Una nuova generazione nata e cresciuta in Italia vede già il proprio futuro imbrigliato nella gabbia della Bossi-Fini. Non solo i giovani migranti che arrivano per studiare, ma anche i figli e le figlie di coloro che hanno costruito qui un loro progetto di vita, saranno costretti una volta finite le scuole o l’università a “convertirsi” in lavoratori minacciabili di espulsione.
Pur con la specificità che l’esperienza dei richiedenti asilo esprime, i permessi per motivi umanitari definiscono lo status di migliaia di lavoratori migranti in Italia, stretti nelle maglie di un meccanismo burocratico e politico che stabilisce in base a logiche improbabili e formali quale paese di provenienza sia realmente in guerra, quale “pacificato d’ufficio”. Le rivendicazioni messe in campo in questi anni per regolarizzare la posizione di questi migranti, superando gli approcci di tipo paternalistico o vittimizzante, devono proseguire valorizzando il protagonismo che i richiedenti asilo hanno espresso in esperienze come quella di Milano. Non è comunque tollerabile che una eventuale nuova legge cali come una mannaia sull’esistenza di chi da anni ormai si vede negato un diritto elementare come quello d’asilo.
La capacità di spendere politicamente questo discorso è la sfida che ci troviamo davanti, insieme a quella di dare visibilità a percorsi di lotta che, come il 3 dicembre ha dimostrato, non sono ancora riusciti a occupare il centro della scena politica nonostante la grandissima capacità di mobilitazione. È nella prospettiva della messa in campo di un’azione plausibile, capace di andare al di là della contingenza ed esprimersi con autonomia, e di un’organizzazione delle esperienze realmente coordinata, non riducibile alle semplici attestazioni di solidarietà, che riteniamo necessaria una scadenza, dopo le elezioni, che sia in grado di darsi come “biglietto da visita” di un discorso indisponibile ai compromessi, qualunque sia il colore del prossimo governo. Un’iniziativa capace di valorizzare la dimensione territoriale delle realtà che attraversano il Tavolo Migranti mostrando la propria forza unitaria a partire da parole d’ordine chiare:
- ABROGAZIONE SENZA CONDIZIONI DELLA LEGGE BOSSI-FINI E DELLA LEGGE 30
- NO AL LEGAME TRA PERMESSO DI SOGGIORNO E CONTRATTO DI LAVORO
- PER LA CHIUSURA SENZA SE E SENZA MA DEI CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA E DEI CENTRI DI IDENTIFICAZIONE
- PER UNA REGOLARIZZAZIONE PERMANENTE SLEGATA DAL LAVORO capace di contrastare quei processi di clandestinizzazione che la legge Bossi-Fini e la precedente Turco-Napolitano, così come ogni ipotetica futura legge che ne persegua la logica, hanno determinato. Una regolarizzazione che non significhi solo acquisizione del permesso di soggiorno e del DIRITTO DI MUOVERSI, ma a un insieme di garanzie che diano senso al DIRITTO DI RESTARE. Dalla sanità alla scuola, dagli asili all’effettivo godimento delle pensioni e alla disponibilità dei contributi versati.
- PER UNA LEGGE ORGANICA IN MATERIA D’ASILO E PER UNA SANATORIA PER TUTTI I RICHIEDENTI che finalmente regolarizzi e stabilizzi la loro posizione in attesa che la legge organica possa tutelarla.
Perché la definizione di questo percorso si dia realmente all’interno di una continuità della discussione, come passaggio necessario dell’organizzazione delle iniziative, e perché queste rivendicazioni possano essere ulteriormente riempite di contenuti ed estese a tutti coloro che le condividono, il Tavolo Migranti aggiorna il proprio incontro al prossimo 12 marzo a La Spezia, come seconda tappa del percorso aperto lo scorso 5 febbraio a Brescia. Con questi contenuti saremo anche presenti a Roma il prossimo 25 febbraio per discutere e confrontarci sul percorso che ha condotto alla manifestazione nazionale dello scorso 3 dicembre.
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