«L’Africa ha bisogno di nuove politiche. Dateci la parola e smetteremo di scappare»
Lasciare che finalmente gli africani dicano la loro, che il malato, l’Africa, possa raccontare dove ha male. E’ la filosofia di Aminata Traoré, sociologa, scrittrice, militante ed ex ministro della Cultura del governo del Mali. Quando la raggiungiamo telefonicamente a Parigi è in marcia ad una manifestazione di sans papiers per celebrare dieci anni dallo sgombero della chiesa di Sant Bernard e per chiedere una politica di regolarizzazione. «Sarei dovuta tornare a Bamako oggi - dice Traoré - ma ho spostato il viaggio perché pensavo fosse giusto essere qui».
Dove si colloca l’Africa nei processi attuali di globalizzazione?
Da nessuna parte, o meglio, nessuno la colloca da qualche parte. l’Africa non ha alcun diritto di esprimersi all’interno delle politiche neoliberiste che la stanno distruggendo.
Lei ha organizzato programmi per aiutare i giovani maliani a non fuggire dall’Africa. Può parlarcene?
Coloro che decidono di abbandonare il proprio paese alla volta dell’Europa, in particolare verso Lampedusa, sono spesso giovani. La prima cosa che ti rispondono quando chiedi loro perché lo fanno è che loro non vorrebbero, ma sono costretti. Non possiamo stare qui a vedere i nostri cari morire di fame, non possiamo stare qui con le mani in mano, dicono. Allora nel centro che gestisco a Bamako abbiamo pensato di dare loro una possibilità. Ci sono programmi di artigianato di qualità o nell’ambito delle costruzioni. Si creano sistemi di produzione e questo negli ultimi otto mesi ha permesso a diverse decine di persone di non lasciare la loro casa. Non è molto, ma è qualcosa.
Cosa direbbe invece agli uomini e donne che decidono di partire per l’Occidente?
Di ricordarsi che l’intensificazione dei flussi migratori è la conseguenza della distruzione del tessuto economico e sociale creata dalla logica neoliberista occidentale.
E ai noi occidentali?
L’Europa ha molti problemi sociali interni, che per molti versi non sono diversi dai nostri. Disoccupazione, forti differenze economiche, alle quali si cercano delle soluzioni che invece si vietano all’Africa. Sono cinquant’anni che si aiuta l’Africa, e il risultato è che l’Africa è sempre più povera. C’è qualcosa che non funziona, non si permette a noi africani, a questi giovani che si sentono costretti a lasciare casa, di parlare e di poter dire la loro.
Cosa direbbero?
Che non è una questione di soldi, non serve che si diano i soldi alle élite governative scelte dall’Occidente. E’ una questione di cooperazione e di sviluppo di politiche adeguate da organizzare sul terreno. E’ una questione legata all’apertura incontrollata delle nostre frontiere alle idee e ai prodotti dei paesi ricchi, apertura che uccide la nostra occupazione, l’ industria, le tradizioni. E l’immigrazione non è altro che la conseguenza di queste politiche sbagliate. Ma l’Occidente non solo non vuole cambiare strategia, ma neanche intende addossarsi i costi che tali politiche producono in termini di spostamento di uomini. Gli uomini e le donne che decidono di partire sono persone coraggiose, che sanno di rischiare e accettano il rischio con la speranza di migliorare la loro vita, mentre in Europa vengono trattati senza alcun rispetto della loro dignità. Sarebbe onesto ammettere ciò. L’Africa ha bisogno di verità piuttosto che di soldi.
Alla fine di settembre a Bamako ci sarà un forum sull’immigrazione. Di cosa si tratta?
Dal 29 settembre per una settimana daremo voce proprio a questi ragazzi che vorrebbero partire o che hanno cercato di partire. Finalmente potranno dire la loro opinione sull’Africa e le loro idee per cambiare la condizione in cui vivono. E poi una serie di personalità di cultura, spettacolo o del mondo economico cercheranno di organizzare analisi sulle motivazioni dell’attuale situazione. In più, una delle iniziative a cui tengo maggiormente, sarà la giornata di veglia per i “viaggiatori morti”. Donne e uomini che hanno tentato di migliorare la loro vita ma sono morti senza riuscirci. Spesso i loro corpi sono risucchiati dal mare e di loro le famiglie non hanno più notizia, neanche una salma sulla quale piangere. Per tutte quelle famiglie e per quei morti abbiamo organizzato una veglia, in modo da restituire la dignità rubata.
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