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Un musical in Vespa coi suoni del mondo

Esce oggi «L'Orchestra di Piazza Vittorio», la storia del gruppo ormai molto famoso, raccontata in forma di diario da Agostino Ferrente. Una scommessa di realtà e di cinema che parla di immigrazione, della Bossi-Fini, dell'Italia oggi smantellando i luoghi comuni di ogni «integralismo»
15 settembre 2006
Cristina Piccino
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Esce oggi, per ora solo a Roma (dal 22 nel resto d'Italia) L'orchestra di Piazza Vittorio, un film che non si deve perdere anzi andate in tanti, diffondete la voce, fate circolare con entusiasmo. Intanto perché è un bel film, commuove, diverte, appassiona, fa pensare, e rivela una realtà romana, italiana, del mondo con la profondità mai ecumenica permessa solo a chi vi si accosta a distanza ravvicinata. Poi perché è una scommessa come l'orchestra, come l'associazione Apollo 11 che dell'orchestra è il «motore», un gruppo di persone diverse, scrittori, registi, operatori culturali, musicisti uniti dalla stessa voglia di inventare la realtà e di sconvolgerne gli stereotipi acquisiti come «il Vero». Tra loro c'è Mario Tronco, tastierista degli Avion Travel, testardo e appassionato, è difficile immaginare qualcun altro con il suo stesso accanimento nel mettere insieme questa orchestra senza mai perdere (o quasi) il sorriso e la battuta dello slang napoletano. Agostino Ferrente che dell' Orchestra di Piazza Vittorioè il regista, anche lui anima infaticabile di Apollo 11, la nascita dell'Orchestra la segue dall'inizio, nel 2002, anzi si può dire che il film e l'orchestra sono in sovrimpressione: la ricerca dei musicisti è la stessa ricerca delle immagini, come filmare, cosa cercare in quanto accade, come avvicinare le persone nell' intimità, anche se è appena un accenno. Conflitti, complicità, umorismo, le storie dei musicisti, il loro quotidiano e quello di Tronco, del regista, di tutti gli altri. Le prove, le battaglie per soldi, spazi ... Cinque anni con le immagini e le vite che sono fare cinema, non realismo ma realtà in una partitura dove la musica araba si mescola alle sonorità indiane, violini e chitarre si incontrano e lo sdegnato Houcine Ataa, canta la canzone senza parole di Carlos Paz («ma che canzone è?») , musicista urbano ecuadoregno che ha lasciato il suo paese perché al governo non piaceva che diffondesse conoscenza musicale, dunque germi di immaginario, tra i ragazzini poveri. Racconta Ferrente: «La scelta del diario come forma narrativa era inevitabile. Ero coinvolto nella crescita dell'Orchestra, e anche per questo sin dall'inizio ho pensato a una 'sceneggiatura'. C'era l'Orchestra ma anche la storia di Apollo 11, dei musicisti, il lavoro sulla musica ... Tutti però mi dicevano che rischiavo di fare solo un'insalatona. Il tempo mi è servito per capire cosa era l'Orchestra e cosa volevo mettere a fuoco. Pian piano ho guadagnato la fiducia dei musicisti che era importante anche se il loro quotidiano è appena sfiorato». Lezione rosselliniana ben chiara con Vespa a gusto di Moretti, Ferrente gira insieme a Tronco per cercare i musicisti. L'invito a presentarsi non lo ha raccolto nessuno: dove abbiamo sbagliato si chiedono. Tutto inizia nel 2002, quando un gruppo di abitanti dell'Esquilino, quartiere d'immigrazione romano, comincia la sua resistenza contro la trasformazione dell'Apollo 11, una sala cinematografica liberty chiusa in bingo o in uffici. É in quell'occasione che su un camioncino c'è il primo concerto improvvisato. Perché allora non creare un'orchestra? E' infatti anche una storia d'immigrazione L'Orchestra di Piazza Vittorio: Ferrente foggiano (Cerignola), Tronco casertano, indiani, brasiliani, americani come John Maida che suona il violino e la mattina lo trovi al parco col suo bellissimo labrador biondo. Omar Loper Valle, cubano, famiglia di trombettisti da Cuba parte quando compone la sua prima canzone: ha sedici anni e dice Vagabundo Soy, poteva suonare come un incitamento alla fuga. Così Omar arriva a Roma e lo troviamo in un ristorante. Houcine Attaa è divertente e un po' macho. Alla compagna gelosa che gli rimprovera il cellulare che squilla a tutte le ore dice: «un artista ga bisogno di in rapporto col suo pubblico». Dina Capozio che è pugliese anche lei, e non si ferma davanti a nessun ostacolo. «Al governo chiediamo una nuova legge il prima possibile. Abbiamo perso i musicisti indiani a causa della Bossi/FIni, ogni tre mesi dovevano tornare a Dehli per rinnovare il visto. L'Orchestra ha oggi un'economia che permette di stipendiare i musicisti. Viviamo coi concerti, le vendite dei cd, la realtà ha superato le nostre aspettative. Per questo vorremmo una maggiore attenzione da parte delle istituzioni. La nostra idea è che diventi un punto di riferimento per i musicisti che arrivano a Roma. Oggi l'organico è di sedici persone, non possiamo permetterci di più, e non vorremmo che questo diventasse un limite. L'atteggiamento verso gli immigrati non deve essere di assistenzialismo. Si deve credere nelle possibilità imprenditoriali di questo incontro. L'esperienza dell'Orchestra lo dimostra ».
Il fatto è che Apollo 11, l'associazione, non ha ancora la sua sede: nel sogno c'è il cinema Apollo (rimasto chiuso nonostante le promesse dell'assessore del comune di Roma Borgna), nella realtà la piccola sala prove nell'Istituto Galilei dove hanno studiato Mastroianni e Lucio Battisti. Ma forse lo spirito culturale da Festa del cinema mal si lega con il lavoro sulla continuità di associazioni come Apollo 11. Eppure è solo qui che il cinema è vitale, configge integralismi e ignoranza. L'Orchestra di Piazza Vittorione è un magnifico esempio.

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