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Stranieri in patria, detenuti in casa

Vita vissuta di chi aspetta il permesso di soggiorno. Camilita e gli altri. L'impossibilità di una vita normale e dignitosa, condizionati dal «cedolino», assurda e vergognosa striscia di carta sgualcita da cui dipende tutto. Possibile che non ci sia rimedio?
15 settembre 2006
Maria de Lourdes Jesus
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Anche quest'anno la circolare che autorizza gli immigrati in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno a recarsi nei loro paesi di origine per le vacanze estive è arrivata all'ultimo momento. Decisamente troppo tardi, per alcuni.
Penso per esempio a Camilita, una donna capoverdiana che vive in Italia da più di vent'anni, coraggiosa e grande lavoratrice. Quando mi ha chiamata al telefono ho cominciato a sudare freddo, prima ancora di sapere di cosa si trattasse. Non mi chiama mai, e quando lo fa è perché si trova veramente nei guai. Ogni volta mette a dura prova il mio stato d'animo, le mie energie e tutte le mie capacità di individuare i canali e le persone giuste per risolvere i problemi sempre più difficili che la condizione d'immigrato c'impone oggi.
Camilita è sposata con tre figli, due minori nati a Roma e un maggiore arrivato da Capo Verde all'età di 10 anni, che gli ha già dato un nipote. L'ultima volta che mi ha telefonato si trattava di un problema che riguardava suo figlio maggiore, Luis, di 24 anni, in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno.
Luis aveva ricevuto l'invito al matrimonio del suo più caro amico d'infanzia, emigrato in Olanda. Pensando che all'interno dell'Unione europea si potesse circolare con il cedolino (la ricevuta che attesta che sei in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno) il ragazzo è partito tranquillamente e per risparmiare ha deciso di viaggiare in pullman. Arrivato alla frontiera con la Francia il bus viene fermato per il controllo documenti e il viaggio di Luis finisce in un centro di permanenza locale. Con l'aiuto di un avvocato, Luis, spaventato a morte, torna a Roma, ma le disgrazie non si fermano qui. Arrivato a Fiumicino viene trattenuto una notte, senza un vero motivo, e il giorno dopo viene accompagnato in Questura dove gentilmente gli consegnano il foglio di via che lo «invita» a lasciare l'Italia. Chiamiamo subito un avvocato abituato a trattare questi casi difficili (costo 1.500 euro, che Camilita sta ancora pagando a rate). L'avvocato inoltra subito la domanda al Tar per la revoca del foglio di via, ma da allora sono passati più di tre mesi e ancora il problema non si risolve.
Il ragazzo ha ripreso a lavorare, ma il datore di lavoro non lo vuole mettere in regola. Luis è anche un ragazzo-padre e deve mantenere anche il figlio, non può permettersi di rifiutare un lavoro solo perché è in nero... Spera di trovare prima o poi un impiego regolare, e in attesa svolge i lavori che trova.
Con Camilita ci conosciamo da sempre, siamo della stessa isola, S. Nicolau, dove siamo vicine di casa. La sua famiglia abita subito sopra di noi, a Vila da Ribeira Brava, e dalle nostre case dominiamo dall'alto tutta la valle che ospita il centro storico della città (almeno fino a quando un ingombrante albergo per turisti non ci ha oscurato completamente il panorama). Se ci serviva qualcosa siamo sempre state abituate a parlarci dalle nostre terrazze e anche qui manteniamo questo rapporto. Qui però ci tocca risolvere soprattutto problemi creati da una legge che non tiene in nessuna considerazione le esigenze più elementari delle persone e la loro dignità.
Così, quando ho sentito la voce di Camilita al telefono mi sono chiesta: oddio, che sarà successo stavolta? In realtà aveva ricevuto una brutta notizia: il padre stava morendo e la madre chiamava tutti i figli al suo capezzale. Camilita era disperata: doveva partire subito per Capo Verde, ma non aveva ancora ottenuto risposta alla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, inoltrata da più di un anno. Era andata dal commissariato, dove le avevano chiesto di farsi spedire un certificato medico che attestasse lo stato di salute del padre. Allora ha chiamato la madre, ma il medico era in visita fuori città. Camilita è sempre più angosciata dal terrore di non arrivare in tempo. Vuole vedere suo padre prima che muoia. Mi richiama disperata, per sapere se sono riuscita nel frattempo a trovare qualcuno che potesse sbloccare la situazione attaverso la Questura. Malgrado vari tentativi, non sono riuscita a parlare con nessuno. L'unica possibilità rimasta è quella di contattare qualche politico che possa intervenire direttamente, ma ci vorrebbe ancora un giorno. Camilita non ce la fa ad aspettare e parte con la figlia più piccola.
Ho telefonato il giorno dopo a casa di Camilita a Capo Verde, per sapere se era arrivata e come stava il padre. Non c'è stato bisogno di dire nulla, per capire cosa era successo. Come ho avuto la linea, ho sentito un pianto in coro che mi annunciava la morte di Gno João, il padre di Camilita. In famiglia la stavano attendendo per il funerale. Lei si trovava ancora all'isola di Sal, in attesa del volo che l'avrebbe portata a S. Nicolau, per l'ultimo saluto al padre.
Questo di Camilita è uno dei drammi umani che si consumano da anni, qui nella civilissima Italia, sotto gli occhi di tutti. Nessuno fa niente per cambiare questa umiliazione continua, degna di una vera schiavitù, che anche gli immigrati regolarmente residenti sono costretti a subire. La loro vita, la loro sicurezza, il loro progetto di vita è legato a questo «benedetto» permesso di soggiorno, che a sua volta dipende da un lavoro regolare in un mercato che privilegia il nero. Questa situazione attribuisce di fatto ai datori di lavoro un potere assoluto. I lavoratori sono così costretti ad accettare qualunque condizione contrattuale pur di ottenere quel «salvacondotto» che ti permette di avere una vita «regolare», di poter finalmente viaggiare e programmare le tue vacanze, la partecipazione al matrimonio del tuo miglior amico o al funerale di tuo padre...
La circolare che concede la licenza per andare con il cedolino in ferie (a luglio e a dicembre), come ogni anno è uscita all'ultimo momento, troppo tardi perché Camilita potesse arrivare in tempo. Nessun problema invece per i fratelli arrivati da Lisbona e Parigi, dove semplicemente il ridicolo cedolino non esiste.
Questa strisciolina di carta strappata dal foglio del permesso di soggiorno, per di più, ha fortissime limitazioni: puoi uscire e rientrare soltanto dalle frontiere italiane e da quelle del tuo paese, perché il cedolino viene riconosciuto soltanto in Italia. Se non trovi un volo diretto non puoi partire, perché non ti è permesso fare scalo in nessun altro paese. Tutti i capoverdiani, e tutti gli altri immigrati che non hanno il volo diretto, non potranno mai andare in vacanza nel proprio paese e tanto meno partire nei casi di emergenza. Per di più, nei periodi di ferie è difficile trovare posto e per prenotare prima devi conoscere già la data dell'entrata in vigore di quella circolare. Inoltre, quando arrivi nel tuo paese non parli volentieri del cedolino, perché indica una condizione di trattamento piuttosto umiliante, soprattutto se sei emigrato da tanti anni.
Quelli che hanno avuto successo, che hanno riscattato il proprio status sociale, sono in possesso della cittadinanza o di un permesso di soggiorno attestato da una tessera, come tutti quelli che arrivano dal Portogallo o dalla Francia, un documento dignitoso che tengono inserito nel portafoglio insieme alla carta di credito. Fa chic. All'aeroporto di Sal, dove arrivano i voli internazionali, siamo solo noi emigrati in Italia a fare la brutta figura. Insieme a tutti gli italiani... Al controllo dei passaporti i funzionari non sono a conoscenza dell'esistenza di questo cedolino. Sei tu, rosso di vergogna sotto agli sguardi di tutti gli altri che passano, a dover giustificare questa striscetta di carta che dopo una settimana nel portafoglio è già lisa e malandata, tenuta insieme con il nastro adesivo...
Almeno prima, quando si rinnovava il permesso direttamente in Questura, c'era la possibilità di ottenere nello stesso giorno un visto di reingresso, e si poteva partire senza problemi. Ora si aspetta anche più di un anno, senza che venga concesso il permesso di soggiorno. Le persone restano in uno stato di sequestro, perché non lo si può definire diversamente, privi dei più elementari diritti fondamentali sanciti dall'Onu e dalla Costituzione italiana, che prevede la libera circolazione per tutti quelli che non hanno compiuto reati.
Vi sembra questo il modo di trattare persone che vivono regolarmente in questo paese, che lavorano e contribuiscono alla sua ricchezza, che hanno sempre rispettato le leggi e la cultura di chi li ospita?
Viene da pensare che c'è veramente qualcosa che non va, non solo nella testa dei governanti ma anche nella società civile, se ancora si tollera che tutto ciò avvenga nel 2006. Non stiamo parlando di «clandestini», o di persone che hanno commesso reati: parliamo di persone rintracciabili giorno e notte, poiché sono regolarmente residenti e da anni sono ormai cittadini di questo paese. Hanno figli che frequentano le scuole italiane e buona parte di loro pensano, mangiano e si esprimono in italiano, si dichiarano italiani e come tali vogliono essere trattati. Sono cittadini italiani a tutti gli effetti, anche se molti sono ancora legati al permesso di soggiorno che li fa sentire stranieri nel proprio paese. Che tipo di risentimento possono coltivare i ragazzi nel loro intimo verso la società italiana, vedendo come vengono trattate le famiglie? I loro genitori sono stati molto calmi e tolleranti, perché si sentono ancora, almeno in parte, stranieri. Ma loro, i figli, sapranno essere altrettanto pazienti?
Vorrei qui fare un appello al ministro dell'interno Giuliano Amato e al ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero perché siano veramente coraggiosi. Prendano in considerazione questa situazione che ho appena descritta. Fate qualcosa perché gli immigrati si possano sentire a ragione riconoscenti verso questo paese. Risolvete in modo definitivo questo incubo del rinnovo del permesso di soggiorno, che impedisce ad intere famiglie di avere una vita serena, di poter sognare un futuro migliore almeno per i loro figli. Stiamo parlando di persone potenzialmente pronte ad integrarsi in questa società. Create voi le condizioni perché questo progetto si realizzi in tempi brevi. Non ci vuole molto, basta la volontà politica.
Gli italiani sono nella strangrande maggioranza disponibili, lo dicono i sondaggi. È la classe dirigente che finora non ha saputo cogliere questa opportunità di ridare dignità e restituire una immagine positiva al mondo dell'immigrazione.
L'Italia può trarre solo dei vantaggi da una politica che riconosca negli immigrati dei cittadini di questo paese. Chi ha conquistato dei diritti sa come valorizzarli, sa come difenderli, sa essere riconoscente e può rappresentare un esempio di buona condotta per tutti coloro che arriveranno in futuro.

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