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Storie di migranti di seconda generazione

G2, cittadinanza agognata. Nati in Italia e perfettamente integrati, presentano un video di protesta: non riescono a ottenere la nazionalità. E vogliono parlare con Amato
23 settembre 2006
Laura Eduati
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

«Eddatece ’sta cittadinanza», sbotta un ragazzo di colore con perfetto accento romano. «Immigrato io? Sì, forse da Ponte Lungo a Casal Lombroso», reppa un altro in stile Spike Lee.
Sono i figli dei migranti che protestano per le lunghe file ai commissariati, il permesso di soggiorno da rinnovare, l’accesso negato ai concorsi pubblici e al voto.

Sono nati in Italia, oppure vivono qui sin bambini, studiano e lavorano ma godono di minori diritti rispetto ai loro coetanei italiani. E sono stufi. Li ha filmati l’artista ecuadoriana Maria Rosa Jijòn nel video «G2 ad alta voce: Forte e chiaro» che verrà presentato questa sera all’interno del non-festival Enzimi di Roma. Jijòn, in Italia da 6 anni, fa parte del G2 - una rete che accomuna i migranti di seconda generazione di diverse nazionalità.

«Abbiamo iniziato ad incontrarci alla stazione Termini», racconta Mohamed Tailmoun. Mohamed è arrivato a Roma da Tripoli quando aveva 5 anni. E’ laureato in sociologia. «Quando dico che non possiedo la cittadinanza italiana la gente stenta a crederci». E’ così anche per gli altri protagonisti del video di origine eritrea, cinese, cilena, argentina, filippina. Visi stranieri ma un vissuto tutto italiano. Altro che test di cittadinanza.

Oggi servono dieci anni di residenza stabile e continuativa per richiedere la nazionalità. I figli dei migranti invece devono aspettare i 18 anni, anche se sono nati in Italia. Poi, compiuti i 19, perdono il diritto alla richiesta e devono attendere altri 10 anni. E così questi ragazzi divenuti maggiorenni sono costretti a richiedere un permesso di soggiorno per studio o per lavoro. Se va bene il permesso dura due anni, altrimenti ogni 6 mesi si ritrovano a fare la fila in Questura.

«Una grave forma di limitazione della libertà: i giovani italiani stanno in casa di mamma e papà fino ai 30 anni, a volte concedendosi dei periodi di svago, di riflessione. Noi no: o studi o lavori, sennò devi tornare al Paese dei tuoi genitori, che nemmeno conosci». Il motivo è semplice: una lunga vacanza nel Paese d’origine, o un periodo dalla residenza non certificata, e la cittadinanza diventa un gioco dell’oca con tanti ritorni al Via.

Un disegno di legge del ministro Amato approvato a luglio dimezzerà i tempi: 5 anni di residenza per gli adulti stranieri e cittadinanza automatica ai loro figli nati in Italia o per i minori che siano giunti al seguito dei genitori.

Non cadrà il requisito del reddito: oltre al cumulo di documenti da presentare al ministero dell’Interno, i migranti (o i loro genitori, nel caso di minori) dovranno dimostrare di guadagnare almeno 4962 euro l’anno. «La cittadinanza non si compera, è un diritto», protesta la regista Maria Rosa. Insomma, 5 anni sono meglio di 10. Ma gli inghippi comunque rimangono. «C’è un effetto scoraggiamento: la procedura è lunga e farraginosa, spesso ci vogliono tre, quattro anni prima di diventare cittadini italiani», spiega Mohamed, che di anni ne ha 33 e non vuole perdersi nei meandri della burocrazia di Tripoli.

Si spiega così il basso numero dei richiedenti la nazionalità: 19mila nel 2001, 29mila nel 2005 (dati del ministero dell’Interno) su 2,5 milioni di stranieri regolari. Metà delle domande viene respinta, spesso perché la documentazione non è completa. Ma è principalmente per matrimonio che gli stranieri ottengono la cittadinanza (11mila nel 2005), e molti meno per residenza (7mila). Sta di fatto che nella nuova legge di Amato il periodo minimo di attesa dopo le nozze viene alzato da sei mesi a due anni.

Oggi in Italia vivono 500mila minori stranieri, privi della cittadinanza. Difficile invece quantificare il numero di maggiorenni di seconda generazione come Mohamed. La rete G2 (presente a Roma, Milano, Prato, Reggio Emilia, Napoli, Genova e Camerino) teme che il sentiero verso la cittadinanza rimanga comunque impervio. Hanno chiesto un incontro con Amato. «Gli vogliamo spiegare la concessione della cittadinanza non può essere discrezionale, e dipendere dal reddito». Finora il Viminale non ha risposto. «I politici devono essere coraggiosi. Parlano di identità, ma che cosa significa essere italiani? Noi vogliamo semplicemente dei diritti».

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