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Licata, tragedia senza colpevoli?

Dall'agrigentino al trapanese, Sicilia di sfruttamentoPer la morte dell'operaio rumeno indagati imprenditore e direttore dei lavori. Il «padrone» si difende: non lavorava lì, è stato un caso. Al via una colletta per il rimpatrio della salma e i funerali
24 settembre 2006
Alfredo Pecoraro
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Sono accusati di disastro colposo, omicidio colposo e sfruttamento del lavoro nero Antonino Di Vincenzo e Vincenzo Marchese Aragona, l'imprenditore e il direttore dei lavori, iscritti nel registro degli indagati dalla procura di Agrigento che sta indagando sulla morte di Spiridon Mircea, l'operaio rumeno deceduto dopo essere stato estratto dalle macerie della palazzina di quattro piani crollata a Torre di Gaffe, una frazione di Licata, nell'agrigentino. I pm titolari dell'inchiesta, Andrea Bianchi e Maria Antonia Di Lazzaro, hanno disposto anche una perquisizione degli uffici dell'imprenditore e hanno ascoltato come testimoni la moglie, la madre e il fratello della vittima. Gli inquirenti stanno cercando di appurare se l'operaio era nella palazzina per effettuare i lavori di ristrutturazione oppure, come ha riferito l'imprenditore, si era recato nel cantiere soltanto per prendere degli attrezzi. Un'ipotesi fatta anche dal fratello della vittima, una coincidenza di versioni che gli investigatori stanno valutando attentamente. L'imprenditore avrebbe detto di non sapere se nella palazzina c'era qualcuno, tant'è che non aveva dato alcun allarme. E' stata la moglie, Daniela Ivan, a riferire ai carabinieri che il marito poteva trovarsi sotto le macerie.
Il sospetto insomma è che l'operaio lavorasse in nero, toccherà però agli inquirenti dimostrarlo. Sembrerebbe che all'ufficio locale del lavoro ci siano documenti della ditta secondo cui i lavori sarebbero cominciati il 18 settembre (due giorni prima del crollo) e per la ristrutturazione l'impresa avrebbe dichiarato l'impiego di un solo lavoratore. In realtà, raccontano alcuni vicini, nella palazzina erano stati sistemati i ponteggi e gli operai stavano lavorando sui pilastri. Gli investigatori, infatti, sarebbero alla ricerca di altre due persone, operai impegnati nei lavori assieme al rumeno e sopravvissuti al crollo della palazzina, che ha distrutto parte di un'altra struttura che si trova a pochi metri. Al momento del crollo la palazzina era vuota, così come le tante che si trovano nella zona, affittate durante il periodo estivo. Il cumulo di detriti arriva fino a quattro metri e i vigili del fuoco sono ancora impegnati a rimuovere le macerie, mentre sembra ormai esclusa la presenza di altre vittime.
Nella casa dei familiari dell'operaio, una modesta abitazione a Palma di Montechiaro, è un via vai di gente. Sopra il televisore c'è ancora la foto del marito, le sedie sono sistemate a circolo in modo da accogliere i vicini per le condoglianze. La casa è un soggiorno-cucina di appena 18-20 mq, una camera da letto e un bagno in una palazzina semi-diroccata, affittata per pochi euro. «Stavamo qui da qualche mese - racconta la moglie, vestita di nero, seduta accanto alla suocera e al fratello - Mio marito era un uomo buono, un lavoratore. Quando è successo l'incidente non sapevo nemmeno che gli avevano amputato i piedi, l'ho scoperto quando sono arrivata a Torre di Gaffe».
Quello della donna è un dolore composto, lo stesso che traspare dagli sguardi della madre dell'operaio morto e del fratello, che aspettano l'autorizzazione dei magistrati per portare la salma a Bacau, la cittadina a circa 300 km da Bucarest dove vivono gli altri familiari. «Faremo il funerale lì - dice Mirko Mircea - poi speriamo di poter tornare, perché nel mio paese non c'è lavoro e si fa la fame. Ero arrivato a Palma di Montechiaro lunedì scorso e mio fratello doveva trovarmi un lavoro, ho un figlio di 2 anni e un altro di cinque in Romania da dovere sfamare». Mirko racconta che il fratello lavorava nei campi per la raccolta dei cantalupi per 25 euro al giorno e allarga le braccia quando lo ricorda sotto le macerie della palazzina. «Non so se lavorava lì - dice - quando era sotto i detriti i soccorritori mi hanno chiesto di dirgli se con lui c'erano altre persone, lui mi ha detto di no. Poi mi ha guardato, dicendomi "sto male". Sono state le ultime sue parole». L'operaio era a Palma di Montechiaro da un anno e sei mesi, due mesi dopo l'ha raggiunto la moglie che per un periodo ha lavorato come badante in casa di un'anziana. «Mio marito lavorava nei campi con i cantalupi, l'uva le olive - racconta la moglie - riuscivamo a mettere da parte 200 euro che ogni mese mandavamo in Romania ai nostri tre figli e a mia suocera per l'affitto e il cibo». Due settimane fa a Palma di Montechiaro è arrivata anche la madre dell'operaio, cinque giorni fa il fratello. «Sono partito da Bacau otto giorni fa - dice - ho viaggiato per tre giorni in pullman, fino ad Agrigento dove sono stato più volte nell'ultimo anno sempre a lavorare nei campi per 10-12 ore al giorno. E' dura ma è meglio che stare in Romania».
La salma tornerà nel suo paese dopo l'autopsia disposta dalla procura. Il segretario della Fillea-Cgil di Agrigento, Carmelo Cipolla, s'è impegnato attraverso la cassa edile a sostenere le spese per il trasferimento della salma in Romania e per il viaggio dei familiari, mentre Gaetano Bonvissuto, segretario della Cgil di Licata, ha procurato i legali ai parenti del defunto. Il sindaco di Palma di Montechiaro, Rosario Gallo, ha lanciato una sottoscrizione, mentre lunedì il comune di Licata costituirà un'unità di crisi per trovare risorse.

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