La guerra dei poveri per un posto col caporale
Sono le sei del pomeriggio e nella piazza principale di Alcamo, giù alla periferia della città, decine di immigrati maghrebini, anche minorenni, sono controllati a vista da polizia e vigili urbani. Sono infuriati e forse non hanno tutti i torti. Stanno lì, appostati sotto gli alberi o sopra i muretti aspettando la «chiamata» che non arriva dalle cinque del mattino, dall'ora in cui i padroncini dei vigneti passano con i furgoni e reclutano la manodopera per la vendemmia. La stagione dell'uva, cominciata una ventina di giorni fa, quest'anno da queste parti sta andando benissimo, il raccolto è quasi raddoppiato rispetto all'anno scorso, ma per marocchini e africani in generale di lavoro ce n'è ben poco. Non è razzismo. E' pura e semplice convenienza. Le loro braccia, ricercatissime per almeno un decennio, adesso non servono più. Piccoli e medi imprenditori del vino preferiscono quelle molto meno costose degli immigrati rumeni, i nuovi sfruttati nei campi del trapanese, scesi a decine negli ultimi mesi ad Alcamo in vista della vendemmia. E la rabbia dei veterani africani, a torto o a ragione, è tutta indirizzata nei loro confronti.
«Io sono qui dall'inizio di settembre, ma ho fatto soltanto due giornate di lavoro - dice Mohammed, 46 anni, che d'inverno fa il commerciante a Torino e d'estate l'agricoltore in Sicilia - Per noi è una tragedia. Se c'è questa situazione la colpa è tutta dei rumeni che chiedono 25 euro al giorno. Noi ne vogliamo 40, come gli italiani, e per questo siamo penalizzati. Non è giusto, così ci riportano indietro di dieci anni».
«I rumeni sono scorretti - aggiunge Mustafa, 39 anni, anche lui marocchino - ottengono lavoro non solo perché chiedono poco, ma anche perché portano le donne ai proprietari. Sì, proprio così, portano le donne ai datori di lavoro, le ho viste con i miei occhi mentre domenica scorsa scendevano dal pullman arrivato dalla Romania». Accuse pesanti, quest'ultime, ma difficili da riscontrare. Certo è però che l'aria che tira quest'anno ad Alcamo, anche per le ragioni che seguono, è davvero «molto brutta» come anche dice anche Hassan, 35 anni, che a giugno ha raccolto patate nell'inferno di Cassibile e ad agosto pomodori in quel di Foggia - Io vengo ad Alcamo per la vendemmia sin dagli anni '90 e ho sempre lavorato senza problemi. Fino all'anno scorso siamo stati accolti bene anche dalla popolazione, che ci aiutava dandoci cibo e vestiti. Quest'anno invece è cambiato tutto. I proprietari dei terreni non ci danno più lavoro e il comune ha deciso di farci pagare pure il ticket per andare in bagno (un euro è il pedaggio per fare pipì nei tre bagni idraulici installati ai lati della piazza, ndr) e per dormire nei centri di accoglienza. Inoltre siamo perseguitati dalla polizia. L'altra sera hanno arrestato ed espulso molti nostri amici».
La caccia al clandestino, graditissimo nelle campagne ma sgradito in città, è l'altra faccia di questa guerra tra poveri in corso sotto i vigneti del trapanese. Ed è anche il «nuovo corso» - un po' ipocrita - inaugurato dall'amministrazione di centrosinistra che ha trasformato Alcamo - 50 mila abitanti e una fama di città ospitale verso gli stranieri - in un luogo proibito per gli immigrati senza una lira in tasca. Complici le imminenti elezioni comunali, il sindaco Giacomo Scala (Margherita) all'inizio della vendemmia, quindi con l'arrivo degli stagionali, ha infatti emesso un'ordinanza che fa a pugni con il recentissimo passato della città che governa da cinque anni. L'ordinanza, oltre a fissare rigide regole per poter accedere nei due e insufficienti centri di accoglienza, stabilisce per gli stranieri il «divieto di bivacco nei giardini e nelle aree pubbliche» nonché «il divieto assoluto di consumare alcolici dalle 22 in poi».
Non è un vero è proprio coprifuoco, ma gli somiglia molto. E il primo cittadino ne va orgoglioso: «Quest'anno abbiamo avuto un afflusso di immigrati molto più alto degli anni scorsi - spiega - Si era sparsa la voce che qui il comune dava vitto e alloggio gratis a tutti e così sono venuti anche gli stagionali che lavorano nei paesi vicini. La popolazione si è preoccupata e così abbiamo deciso misure restrittive, facendo pagare gli ingressi nei centri di accoglienza. Per quanto riguarda invece l'ordinanza che vieta il bivacco nelle aree pubbliche, si è resa necessaria dopo l'incendio di alcune sedie in un bar in seguito ad una rissa scoppiata tra immigrati. Venticinque persone sono state arrestate e dodici espulse. E' il minimo che si poteva fare per evitare che si ripetessero altri simili episodi. Noi dobbiamo tutelare l'ordine pubblico e far rispettare la legge». Ma la versione del sindaco è contestata dagli esponenti della Rete antirazzista, che gestiscono uno sportello di assistenza legale e sanitaria per gli stranieri: «Non è vero quello che sostiene il sindaco Scala - dice Rino Raimondo, che è anche medico responsabile del settore igiene pubblica per la Asl locale - L'ordinanza antibivacco è precedente alla rissa di cui parla e che a nostro avviso si è verificata proprio perché gli stranieri non sanno dove andare. Perché non si è voluto allestire un campo di accoglienza come nel passato? La verità è che i fondi sono stati tagliati dal bilanci e il risultato è che centinaia di persone vivono ora in una condizione igienico sanitaria spaventosa e il comune finge di non vederle».
Secondo un censimento molto approssimativo, sarebbero oltre 700 gli stagionali presenti ad Alcamo. I due centri di accoglienza a pagamento possono ospitare al massimo 200 persone: una sessantina nell'ostello gestito dall'opera pia Pastore san Pietro (al quale il comune, proprietario della struttura, paga una convenzione di 30 mila euro per un mese); e i rimanenti 135 nelle poche tende allestite al campo sportivo e gestite dalla Misericordia. Tutti gli altri si arrangiano come possono. I rumeni, molti dei quali sono scesi in Sicilia per ricongiungersi con le proprie mogli - anche loro sfruttatissime come badanti a 20 euro al giorno - vivono affollati negli appartamenti presi in affitto. I senegalesi ma soprattutto i maghrebini, viste anche le difficoltà che hanno nel trovare lavoro, dormono all'aperto sotto i cartoni oppure in strutture fatiscenti e abbandonate appena fuori dalla città. «Per noi anche pagare anche tre euro a notte è una spesa troppo alta, non possiamo permetterci di sciupare tutti i nostri guadagni per dormire - dice Bamba, un signore senegalese di 45 anni alto e barbuto - così siamo costretti a dormire in mezzo alla campagna e per lavarci andiamo alla sorgenti di acqua sulfurea. L'anno scorso, oltre alla tendopoli del comune, c'era anche la disponibilità della chiesa, ma il prete che c'era prima, padre Aparo, è stato trasferito e quello che c'è adesso non intende aprire i locali della parrocchia per noi la notte». In conclusione, è una stagione senza dubbio da bestie. «Chi ha un'automobile è fortunato - dice Aziz, 35 anni, anche lui marocchino, che divide la propria vettura con altri tre connazionali - Se c'è bel tempo facciamo a turno: due dormono fuori accanto alla macchina e due dentro. Se invece piove ci stringiamo tutti e quattro e dormiamo in auto seduti».
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