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Storia di K, una vita nel ghetto

Ventiquattro euro al giorno per dieci ore di lavoro nei campi. Da Eboli la storia di un maghrebino stufo di essere illegale. E per far pressione sul governo, insieme ad altri clandestini ieri ha consegnato i suoi documenti ai sindacati
22 ottobre 2006
Antonio Massari
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Ai leader di Cgil, Cisl e Uil hanno consegnato 150 documenti in fotocopia, con nome e cognome, data di nascita e paese di provenienza: chiedono di poter uscire dalla clandestinità. E al più presto. Vogliono che il ghetto di San Nicola Varco, a Eboli, scompaia una volta per tutte. C'è chi, come K., vive in quel fabbricato abbandonato da tre anni e mezzo: «A volte, lì dentro, siamo persino in cinquecento». K. racconta una vita d'inferno. «Non ci sono finestre, non c'è energia elettrica, non c'è acqua potabile». Il ghetto è un vecchio magazzino ortofrutticolo che nessuno ha mai completato. I box sono diventati ricoveri per immigrati senza documenti. Ma non senza lavoro. «In media», dice Anselmo Botte, responsabile per l'immigrazione della Cgil, «chi vive nel ghetto riesce a lavorare 200 giorni l'anno. Ma sono clandestini e quindi, queste giornate di lavoro in nero, non gliele conteggerà mai nessuno. I regolari, invece, lavorando per un periodo uguale, non riescono mai a denunciare più di 50 giornate lavorative».
Il lavoro non manca: «Questo è il periodo dei frutti e della verdura», raccontano, «stiamo piantando finocchi e scarole». L'orario? «Dalle sette del mattino alle cinque del pomeriggio, con il sole o con la pioggia, che faccia caldo o freddo, noi siamo in campagna a lavorare». Il punto è che essendo clandestini, il lavoro, non possono cercarselo di persona. Si affidano al caporale. «E' un marocchino», raccontano, «va nelle aziende e chiede di quanto personale abbiano bisogno, giorno per giorno, e quanto intendano pagare». La media, in teoria, oscilla quindi tra i 28 e i 30 euro al giorno. Per otto, a volte dieci ore di lavoro. Ma il caporale trattiene tre euro per ogni singolo lavoratore e così, la paga giornaliera, non supera mai i venticinque euro. Si spezzano la schiena ogni giorno, con il rischio di essere espulsi, per la miseria di 2 euro e 50 centesimi all'ora. «Io ho lavorato gratis per un mese: non me l'hanno mai pagato», dice un altro. «A chi lo posso denunciare, questo signore, se sono clandestino?». A nessuno. Se è per questo, al ritorno dal lavoro, nel ghetto senz'acqua e senza luce, non c'è neanche la possibilità di riposare. Non come si vorrebbe almeno. Intorno alle undici di sera c'è qualcuno che controlla: «I carabinieri, al ghetto, ci vengono spesso», continua K. «Di solito arrivano tra le undici e mezzanotte: non puoi far altro che scappare». Eppure, nonostante siano senza documenti, hanno avuto il coraggio di venire a Foggia, per protestare, per farsi vedere, per dimostrare che il clandestino non è un'ombra impercettibile, ma un uomo capace di rivendicare i propri diritti. Non è la prima volta. A Salerno, un mese fa, hanno organizzato una manifestazione: in piazza erano cinquecento, tutti senza permesso di soggiorno, e chiedevano una vita regolare.
«Siamo venuti in Italia per un morso di pane», continua K., «e stiamo lavorando, in condizioni che non accetterebbe nessuno, ma vogliamo essere regolarizzati. Perché non è possibile che io debba vivere in queste condizioni, abitare in un vero e proprio ghetto d oltre tre anni, senza poter tornare a casa un solo giorno, senza poter guardare in faccia la mia famiglia».
Oggi un riconoscimento, almeno, l'hanno ottenuto. Piccolo, ma significatico: Aziz, che un permesso di soggiorno ce l'ha, è salito sul palco e ha parlato a nome di tutti. Accanto a Epifani, Pezzotta, Bonanni, al ministro Paolo Ferrero: «Siamo sfruttati - ha detto - la situazione di Foggia è comune a tutte le campagne del Mezzogiorno. Lavoriamo dalle otto alle dieci ore, per 25 euro, invece che per 34, cioè quanto prevede il contratto nazionale. Il governo dovrebbe rispettare le promesse: dovrebbe esserci, finalmente, un decreto che prevede l'emersione dal lavoro nero. E la regolarizzazione degli immigrati senza permesso di soggiorno».
Poi ha consegnato le 150 copie dei documenti nelle mani delle segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil. Un atto di coraggio e determinazione.
«Non è stato semplice», dice Anselmo Botte. «Prima che riuscissero a trovare questo coraggio ci sono voluti sei anni. Invieremo alle segreterie nazionali altre 500 copie di documenti, per altrettanti immigrati clandestini, è il nostro modo di fare pressione sul governo. Sembrava determinato, dopo le denunce sullo sfruttamento nel foggiano, ma adesso sembra fare un passo indietro. Nel programma dell'Unione c'è il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro: basterebbe presentarsi all'ufficio di collocamento per risolvere il problema. Purtroppo, sotto il profilo della regolarizzazione, questo governo ancora non s'è mosso. Spero che non sia intimorito dalla destra. E senza un'inversione di tendenza ci toccherà attaccarlo».

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