La legalità della precarietà.Immigrazione e schiavismo.
http://www.ecn.org/ponte/documenti/rag.php
(tratto da "L'isola Possibile", http://www.isolapossibile.it )
Nella provincia di Ragusa, una recente ispezione dell'INPS su 420 imprese dei settori agricolo, commerciale e artigianale, ha riscontrato un 75,71% di aziende irregolari; tre su quattro aziende basano la loro esistenza sul lavoro nero; infatti delle 318 irregolari, 101 sono risultate totalmente in nero; 511 lavoratori non hanno mai percepito un centesimo di contributo, il restante 'campione' riceve regolarmente dei fuori busta sui quali l'azienda evade le somme dovute al fisco. Questo, in una provincia ritenuta in Sicilia tra le più sane in tema di legalità e rispetto dei diritti.
In realtà fasce crescenti di lavoratori sono intrappolate nei meandri della Legge Biagi e subiscono una varietà di contratti a perdere; qui regna il ricatto di un sottosalario, di un fuori busta non tassato, di un ingaggio a tempo determinato o non corrispondente alla mansione realmente svolta, di un part time, di un tempo di lavoro superiore a quanto viene retribuito. Ma resta ancora un lavoro 'nero' parziale, perché spesso questo trattamento rientra negli 'accordi' e come tale viene 'rispettato'. Dove invece è nero totale, l'unica certezza sono i ricatti espliciti, come nel caso della commessa di abbigliamento, senza limiti di orario, multifunzionale, pagata 'a discrezione' due/trecento euro al mese, che deve anche comprare i vestiti che indossa nel negozio dove lavora, e con la porta sempre aperta per essere buttata fuori (la parola 'licenziata' sarebbe troppo ...garantista).
Nel ragusano non si può non far riferimento, poi, alle numerose aziende agricole, molte a conduzione familiare, in cui è attiva manodopera immigrata. Su questo versante le condizioni sono ovviamente peggiori in quanto s'intrecciano con la generale questione dell'immigrazione (permessi, alloggi, razzismo...), ed il lavoratore è di fatto un precario totale. C'è poi un'altra condizione di precariato, su cui grava una sorta di dis-valore aggiunto, e concerne casi come quelli di cui sopra ma si può estendere anche a chi ha un lavoro a tempo indeterminato e sotto contratto: sono i lavoratori che non vengono pagati, che ricevono il salario con mesi e mesi di ritardo, quasi sempre dopo estenuanti trattative, mediazioni e lotte. Un'attitudine che sta prendendo piede nelle piccole aziende, negli appalti e nei subappalti, per non dire del vasto e incontrollato mondo della ristorazione e del terziario in genere, gonfiata grazie alle esternalizzazioni, che hanno portato fuori numerosi servizi dalle grandi aziende sia private che pubbliche.
Potremmo segnalare decine e decine di casi: i lavoratori dei lavaggi AST a Modica; i dipendenti della Texilmed del capoluogo; gli addetti al depuratore di Pozzallo e alla Nettezza Urbana di Modica; la cooperativa trasporto disabili e i lavoratori degli scuolabus a Modica; operai di fabbrichette di Comiso... E si tratta di lavoratori autoctoni, di operai spesso sindacalizzati, di quelle situazioni che nelle statistiche (sia dell'INPS che del delirante Totò Cuffaro di capodanno) rientrano nei settori di cosiddetto privilegio emergenti dal generale purgatorio della disoccupazione.
L'economia più forte dell'Isola si basa in una certa misura su questo contesto di lavoro nero e sommerso, affidato ad una imprenditorialità stracciona, garante di risparmi notevoli, o attaccata come parassita agli enti pubblici in virtù di agganci politico-clientelari, che non investe proprie risorse, sopravvive scaricando sui lavoratori ritardi e debiti, si caratterizza per atteggiamenti arroganti misti a vittimismo, fa largo uso di strumenti legali (sgravi fiscali, lavoro atipico, apprendistato...), e va avanti con la furba morale del 'siamo tutti sulla stessa barca'. In questa situazione il lavoratore precario focalizza (per forza!) tutta la sua attenzione sulla questione salariale (la sopravvivenza), sorvolando sui problemi delle condizioni di lavoro (sicurezza, turni, competenze, diritti, ecc.).
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