Il continente dei cittadini illegali
La critica del diritto altro non è, in fondo, che il tentativo di ritrovare all'interno delle forme giuridiche l'intensità dell'antagonismo, il profilo di soggetti dominati e sfruttati che la pur reale potenza dell'astrazione giuridica fatica a contenere e disciplinare. Che cosa c'è di più reale delle forme, domandava Hans Kelsen? Si tratta di accettare questa provocazione, di muoversi all'interno del terreno da essa delineato e, infine, di volgerla contro l'idea stessa dell'assoluta autonomia della scienza giuridica, di lacerarne le raffinate trame concettuali. Attorno a questo programma di ricerca si sono aggregate in passato molte energie intellettuali proprio in Italia, in una singolare linea di continuità e di rottura con la grande stagione vissuta dalla scienza giuridica nel nostro Paese in particolare nella prima metà dello scorso secolo.
È possibile riavviare oggi questo percorso? È possibile, per fare un esempio, leggere le dense pagine dedicate nel 1924 da Donato Donati a Stato e territorio, per aprire un terreno di analisi e di critica segnato da una parte dai più recenti sviluppi degli studi postcoloniali e dall'altra dalle formidabili tensioni che si addensano attorno alle migrazioni contemporanee e al tentativo del loro governo? Il libro di Enrica Rigo (Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell'Unione allargata) consente di dare una risposta affermativa a questa domanda. E apporta un importante contributo all'analisi delle trasformazioni dello spazio giuridico nel processo di integrazione europea, alla comprensione delle sfide politiche portate dai movimenti migratori che verso l'Europa si indirizzano, nonché alla messa a fuoco del profilo complessivo della cittadinanza europea in formazione. Si tratta di questioni decisive per il nostro presente, ben al di là dei dibattiti accademici: ed è dunque auspicabile che Europa di confine sia letto e discusso anche come un intervento politico, sia cioè valorizzato per la sua capacità di riaprire (ma contemporaneamente anche di spiazzare) un dibattito sulla questione europea che, soprattutto in Italia, sembra essersi arrestato dopo il referendum francese sul Trattato costituzionale.
Al centro dell'analisi di Enrica Rigo è proprio il concetto di territorio. Si tratta, come è noto, di uno degli elementi fondamentali nella definizione giuridica dello Stato moderno, che lo ha costruito a partire da due presupposti: la sua interna omogeneità e la stabilità dei confini che lo perimetravano. Il territorio europeo, letto all'incrocio delle trasformazioni determinate dal processo di allargamento a est e delle nuove forme di governance delle migrazioni (letto a partire da quei margini che ne definiscono sempre più l'unico centro), sembra aver preso radicalmente congedo da entrambi questi presupposti, configurando un nuovo rapporto tra spazio e diritto. Confini mobili, resi porosi dalla spinta dei movimenti migratori, sono costretti a spostarsi continuamente verso sud e verso est, coinvolgendo Stati vicini e lontani nel loro controllo. La distinzione secca tra interno ed esterno lascia spazio a diversi gradi di internità ed esternità al «territorio europeo», gestiti in modo flessibile in funzione dell'esigenza di governare i flussi (di merci, di capitali, di lavoro) da cui dipende oggi la produzione della ricchezza. Il cittadino europeo non si contrappone più in modo assoluto allo «straniero», ma vive piuttosto fianco a fianco con un insieme di figure dallo statuto ambiguo, che trovano il proprio limite nella presenza strutturale del migrante «clandestino». «Cittadino illegale», è definito quest'ultimo con formula volutamente paradossale da Enrica Rigo: nella misura in cui la sua esistenza perfettamente nota apre la cittadinanza al suo opposto, l'illegalità, evocando dunque lo spettro dell'illegittimità; ma anche nella misura in cui le sue pratiche di cittadinanza (e le sue lotte) pongono continuamente in tensione l'articolazione istituzionale dello spazio europeo.
Nella filigrana della cittadinanza europea, ma anche in quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo o ai confini orientali dell'Unione europea, si riapre così la questione classica (kantiana) della distinzione tra il potere pubblico sul territorio e il diritto dei soggetti al territorio. Lo Stato moderno era stato in grado di risolvere la potenziale tensione tra i due termini, facendo della sua regolazione uno degli elementi fondamentali della costruzione di un mercato nazionale del lavoro e della definizione della divisione internazionale del lavoro. Il nuovo rapporto tra spazio e diritto che il «territorio europeo» articola registra la crisi della soluzione statuale, sotto la spinta potente di pratiche di mobilità che hanno appunto disarticolato sia i mercati del lavoro nazionali sia la divisione internazionale del lavoro.
Il governo dello «spazio di circolazione» europeo diviene così da una parte un elemento strategico per la definizione della stessa cittadinanza europea, mentre dall'altra, per le modalità stesse con cui si determina, impone di tenere strutturalmente aperta la sua definizione costituzionale. È questo uno dei punti fondamentali dell'analisi proposta da Enrica Rigo: lo scarto tra costituzione materiale e costituzione formale non è destinato a chiudersi nell'esperienza europea, indipendentemente dalle vicende del Trattato costituzionale.
Ne derivano inediti rischi, ma anche inedite potenzialità, di cui non può non tenere conto una politica innovativa della cittadinanza e dei diritti che sappia conquistare lo spazio europeo come proprio orizzonte. La rivendicazione del diritto al territorio che materialmente si esprime nelle migrazioni contemporanee indica allora una traccia di riflessione che vale la pena di valorizzare pienamente. Al fondo, la grande questione che il libro di Enrica Rigo propone altro non è che quella del significato dell'universalismo oggi: di un «universale che non si limita al riconoscimento reciproco di un diritto ripartito rispetto ai suoi spazi di esercizio, ma riconosce ogni partizione come sovvertibile».
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