10 anni di torture e sevizie
(inserto meridionale del Corriere della Sera)
La “Fondazione Regina Pacis compie dieci anni”, recitava ossequiosa un’ agenzia di stampa qualche giorno fa, sciorinando dichiarazioni autocelebrative dei due fondatori. Doveroso diventa quindi uscire dall’oblio: per otto lunghi anni la fondazione guidata da don Cesare Lodeserto e voluta e sostenuta da Cosmo Ruppi, prelato con importanti cariche ecclesiastiche e molti affari da curare, contrariamente alle indicazioni della Caritas nazionale che si e’ sempre rifiutata di gestire i Centri di permanenza temporanea, a cio’ che ne hanno detto il buon Papa polacco prima e poi Padre Zanotelli e ancora il presidente del Pontificio consiglio giustizia e pace cardinal Martino (“i cpt italiani sono luoghi dove viene umiliata la dignità umana"), ha retto con fondi pubblici un luogo di carcerazione etnica (60 giorni di internamento coatto) per chi non aveva commesso nessun reato se non quello di fuggire da guerre o carestie. Dove esclusione sociale, atti di autolesionismo, abusi di potere e violenza sono stati in infinite occasioni evidenziati da denunce e inchieste giudiziarie. Il Cpt di San Foca lo chiamavano “Casa Regina Pacis”. E di quella ‘casa’ gli atti giudiziari (per non dire delle inchieste giornalistiche, dei film-inchiesta e delle denunce di migranti, cittadini e parlamentari) parlano senza veli. La sentenza di primo grado che ha condannato circa due anni fa Lodeserto, suo nipote Giuseppe, cinque stipendiati dalla fondazione, sette carabinieri dell’XI battaglione Puglia e due medici, parla chiaro. Pagina 27: ”È emerso chiaramente che, oltre ad aver tenuto condotte illecite direttamente rivolte ai magrebini, Lodeserto abbia assistito alle violenze perpetrate dai suoi sottoposti. Egli non le ha impedite, non le ha inibite e non le ha denunciate poichè non solo le approvava, ma le aveva autonomamente poste in essere, costituendo un esempio negativo per i suoi stessi collaboratori i quali erano, pertanto, implicitamente autorizzati a compiere atti lesivi”. Pagina 30 della stessa sentenza:”Le deposizioni rendono palpabile in tutta la loro scioccante evidenza come le lesioni provocate alle persone offese siano state proprio accompagnate dalla volontà di infliggere tormenti e sofferenze alle vittime per il solo piacere di vederle soffrire”. Quindi le aggravanti, “per aver adoperato sevizie e agito con crudeltà”. Se in Italia il reato esistesse nel codice penale avrebbe un solo nome: tortura. Ma prima e dopo questi fatti, di altri si deve dar conto: la doppia contabilità dei conti del Cpt tenuta da un altro parente di Lodeserto, che patteggiò la condanna; la storia del peculato per i due miliardi di lire che stazionavano sui conti personali di Lodeserto ( assolto, ma con i giudici che sono ricorsi in Cassazione); le minacce autoprodotte via sms per non perdere la scorta, costate all’ex direttore del Cpt una condanna a otto mesi; il carcere e poi i domiciliari per sequestro di persona e altri gravi reati verso alcune donne “ospitate” (il processo iniziera’ il 20 marzo). Niente male per chi dovrebbe, anche in funzione dell’abito che porta, operare per il bene altrui. Di contorno certa politica, che per esempio finanzia ancora la fondazione con a capo sempre il Lodeserto per le sue meritorie attività: 60mila euro elargiti dalla Provincia di Lecce che hanno tradito anche le promesse pre elettorali fatte dal presidente Pellegrino. L’ “angelo degli immigrati”, come lo definì “Il Giornale” il giorno dell’arresto, nel frattempo gira ancora con la scorta pagata sempre da noi contribuenti e dice di fare sempre accoglienza agli immigrati. Il suo superiore Ruppi viene indagato perche´ inciampa in una storia di presunta corruzione in periodo elettorale con Raffaele Fitto (qualcuno forse ricorda le intercettazioni pubblicate tipo “Raffae’, qui ci vuole molto olio…”). Ma lo spettacolo continua, come si dice:”The show must go on”. Fino a quando, e’ lecito chiederlo?
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