Mercato del visto all'ambasciata di Quito. Immigrare costa caro
Cento dollari per un appuntamento tra due giorni anziché tra qualche mese. 300 dollari per avere un nulla-osta. Altri 300 per una traduzione. 600 dollari per una visita medica condotta anche senza paziente per un ricovero urgente oppure la certificazione di un handicap già ampiamente riconosciuto dall'Ecuador. Secondo molti ecuadoriani intorno all'ambasciata di Quito si è sviluppato un vero sukh del visto, ben fornito di intermediari che grazie a «favori» ben remunerati ottengono miracoli. E ti fanno vincere la Lotteria Italia.
Davanti a decine di casi di visti per l'Italia richiesti per motivi di studio, di salute o ricongiungimenti familiari e negati, i sindacati Cgil, Cisl e Uil e Arci liguri e la Federazione regionale solidarietà e lavoro hanno deciso di scrivere al ministro degli esteri Massimo D'Alema e a quello della solidarietà sociale Paolo Ferrero denunciando «il mancato o cattivo assolvimento delle competenze assegnate in esclusiva a funzionari dello Stato italiano». La lettera, che è stata firmata anche dall'assessore regionale all'immigrazione Enrico Vesco e presentata ieri nella sede della Regione di piazza De Ferrari, racconta di dinieghi immotivati a visti turistici, per ricoveri urgenti e per motivi di studio, fatti a volte persino oralmente oppure per scritto ma senza la motivazione prevista per legge, sino a casi drammatici e paradossali come quello di una bambina riconosciuta dal padre italiano poi deceduto e quindi respinta perché «sussistono perplessità e incongruenze».
La missiva non contiene esplicite denunce delle mazzette che si pagano a Quito (si dice solo che «i mezzi per ottenere tali diritti nei tempi e nei modi dovuti sono facilmente immmaginabili»), ma quello che diverse ecuadoriane raccontano è lampante. «Vivo in Italia da sette anni, sono in regola e pago le tasse come tutti - racconta una donna di 44 anni che preferisce l'anonimato - qualche mese fa vado a Quito per cercare di portare in Italia mia figlia che è handicappata. Arriva un ecuadoriano che mi dice che ci sono due avvocati di Quito che risolvono tutto in due giorni e ti fanno avere l'appuntamento. Alla fine ho pagato 600 euro per la firma di un medico che attesta che mia figlia è disabile e quello la bambina non l'ha nemmeno vista perché noi siamo di Guajaquil».
Il tariffario per le varie prestazioni è conosciuto da tutti quelli che si avvicinano all'ambasciata italiana nella capitale dell'Ecuador, insieme ai tempi biblici di una burocrazia poco chiara. Una vedova ad esempio mantiene con il suo lavoro di colf un figlio malato di cuore di 11 anni che vive in Italia con lei perché è riuscito ad entrare in Europa attraverso la Spagna («all'Ambasciata spagnola è tutto regolare, non si paga», spiega). Racconti simili sono all'ordine del giorno agli sportelli degli immigrati dei sindacati e di Arci. «Durante il Governo Berlusconi magari era una scelta politica non far entrare troppi immigrati - dice l'assessore regionale Enrico Vesco - ma ora non si capisce il perché». Anche quelli che vogliono venire a studiare non se la cavano meglio: «trovano muri invalicabili - dice il sindacalista della Cgil, Marco Roverano - e succede anche quando le spese sono coperte con garanzie di cittadini italiani». Si parte da Genova perché come osserva il responsabile immigrazione Cisl Liguria, Andrea Sanguineti «a Genova è più ecclatante, ma la questione è nazionale». Qui un immigrato su tre è ecuadoriano. Spesso con pezzi di famiglia lasciati oltre Oceano.
Gentili direttori, con riferimento all'articolo pubblicato ieri a pag. 6 dal titolo «Mercato del visto all'ambasciata di Quito. Immigrare costa caro», desidero fornire alcune precisazioni.
Vorrei innanzitutto stare ai fatti.
E i fatti dicono che l'ambasciata d'Italia a Quito ha immediatamente segnalato alle locali autorità giudiziarie e alle Procure della repubblica alcuni episodi di falsificazione di documenti, di cui era venuta a conoscenza, avvenuti al di fuori dell'ambasciata e senza alcun collegamento col personale italiano in servizio nella sede.
Proprio la necessità di rendere ancora più rigorosi i controlli può aver rallentato le procedure di rilascio di un certo numero di visti. Si tratta tuttavia di un problema del passato: da oltre un anno infatti l'ambasciata a Quito si è dotata di un sistema di prenotazione via internet degli appuntamenti per le richieste di visto che previene raggiri e consente di ridurre i tempi medi di attesa a due o tre giorni.
Ritengo che una puntuale verifica delle illazioni contenute nell'articolo avrebbe potuto garantire una più puntuale informazione dei lettori.
La Farnesina da parte sua è sempre disponibile a fornire elementi certi e informazioni verificate su questioni che attengono ai servizi offerti dalle nostre sedi all'estero, spesso in condizioni strutturali e ambientali difficilissime.
Nel pregarla di voler cortesemente pubblicare la presente lettera, colgo l'occasione per inviare i miei più cordiali saluti.
Pasquale Ferrara, capo servizio stampa e informazione
Ministero degli affari esteri
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