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Rom e Sinti firmano un manifesto contro irruzioni e sgomberi

La denuncia: «In Italia non esiste una concreta politica d'inserimento sociale»
8 aprile 2007
Giada Valdannini
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Forse i tempi erano già maturi da un pezzo, ma oggi Rom e Sinti chiedono la parola. Lo fanno con un documento che punta l'indice contro quella che chiamano la «pedagogia del terrore». Nel mirino del manifesto i famigerati campi sosta che, nel corso degli anni, si sono trasformati in «luoghi di annientamento culturale», teatro di blitz delle forze dell'ordine ed emblema di un disinteresse istituzionalizzato.
A gridarlo forte, a Roma, sono una cinquantina di persone appartenenti al mondo romanò che, stanche di continui sgomberi e abusi, si sono decise a uscire allo scoperto. Lo hanno fatto accogliendo l'invito del professor Marco Brazzoduro, attivo da anni nella difesa di questa comunità e riunendosi più volte presso l'università La Sapienza, con lo scopo di denunciare il disagio in cui vive la loro comunità, un po' in tutta Italia. Gli incontri prendono avvio da recenti fatti di cronaca che hanno visto due ragazzi del campo di via dei Gordiani morire bruciati mentre una coppia di sposi aveva già perso la vita nel casertano per analoghe ragioni. E proprio oggi che ricorre la giornata mondiale dei Rom, è utile ricordare che fu lo stesso Consiglio d'Europa, un anno fa, a deplorare il governo italiano per comportamento discriminatorio in tema di politiche abitative. Ad attualizzare quel giudizio non sono mancati casi recenti, a Roma come nel resto del Paese, di aperta violazione dei diritti di questa comunità. Ci riferiamo - come si legge nel documento - «alla svolta repressiva adottata dalle autorità di pubblica sicurezza e concretizzatisi in ripetuti sgomberi, non solo di miserabili insediamenti spontanei ma anche di cosiddetti campi nomadi ormai istituzionalizzati e attrezzati». Una deriva «che lascia perplessi e indignati» se si pensa che agglomerati come i campi «sono un'invenzione arbitraria nata per confinare in maniera razzista i profughi dell'Europa dell'est, da generazioni sedentarizzati nei loro paesi». Mentre, proprio in Italia, si sono visti calare nella dimensione del nomadismo, abbandonata da almeno mezzo secolo. E sebbene la presenza del volontariato abbia cercato di porre un freno al disagio sperimentato nei campi sosta, le vie di fuga da un'eterna condizione d'emergenza sembrano sbarrate. In Italia non esiste una concreta politica d'inserimento sociale di queste persone e laddove i governi locali abbiano tentato di riconoscere ai Rom una condizione abitativa decorosa, è stata spesso la cittadinanza a remare contro suggerendo l'allontanamento dai centri abitati.
Come nel caso di Terni dove si stanno raccogliendo migliaia di firme contro la creazione di un villaggio rom attrezzato. A farsene promotori i leader locali dell'Udc, sostenuti dal Sap (sindacato autonomo di polizia) che - intervenendo nel dibattito - ha sottolineato «il rischio di non essere in grado di garantire la sicurezza delle aree che il Comune di Terni ha individuato per la creazione dei villaggi». Eppure, nonostante lo zelo dei sindacalisti del Sap, sono gli stessi Rom a ricordare quanto i controlli di polizia siano unilaterali: «a parte starci addosso in maniera esasperata, non hanno difeso i rom dagli attacchi di teppisti e fascisti, né dall'infiltrazione criminale che ha portato nei campi lo spaccio di sostanze stupefacenti. Sino a qualche tempo fa sconosciute». Sta di fatto che sarebbero loro stessi a voler scongiurare la permanenza in campi sosta con l'ambizione, perlopiù inascoltata, di avere un giorno accesso alla comune edilizia abitativa. Ma quali diritti per persone che a tutti gli effetti non esistono per il nostro paese, per giovani generazioni che, seppur cresciute in Italia, non vedono riconosciuta la cittadinanza? Su tutto questo e molto altro ancora si sono interrogati i cinquanta rom e sinti firmatari del documento sottoposto in questi giorni a ministri, responsabili di pubblica sicurezza e organi di stampa. Quel che è certo è che, al di là della denuncia, il manifesto intende proporre una diretta interlocuzione coi rappresentanti dei campi, senza mediazioni di sorta, «data l'estrema gravità delle condizioni di vita causate dalla colpevole disattenzione e incuria delle pubbliche autorità». La posta in gioco è alta: il superamento dei campi nomadi e l'autoderminazione di un'intera comunità che, in tutto il paese, conta circa 140mila persone.

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