I Cpt vanno chiusi non gestiti
Abbiamo seguito su il manifesto lo scambio di lettere tra Loris Campetti e Giuliano Poletti (presidente di Legacoop), successivo all'assegnazione della gestione del cpt di Lampedusa a due Cooperative aderenti a Legacoop. Ci sembra necessario che noi, che tanto abbiamo investito, insieme alla Rete antirazzista siciliana, nella lotta per la chiusura dei cpt, a partire da quello di Lampedusa, diciamo oggi la nostra.
Poletti sostiene che «finché i cpt esistono è chiaro che debbono essere gestiti», ma il problema non è chi gestisce meglio questi luoghi e non è neanche la loro qualità, né se sono puliti o sporchi, belli o brutti. Il problema non è neanche il nome di queste strutture, quindi apprezziamo l'onestà con cui Poletti continua a chiamare «cpt» la struttura di Lampedusa, che resta sempre una struttura detentiva, nonostante sia stata declassata a Centro di Soccorso e Prima Accoglienza.
Per noi il problema continua a restare l'esistenza dei cpt, cioè di strutture di detenzione amministrativa, in cui sono recluse persone che, è sempre bene ricordarlo, non hanno commesso alcun reato. Ed è proprio su tale punto che l'ipocrisia di Legacoop emerge in modo lampante, quando insiste sulla mistificazione di queste strutture come luoghi in cui «garantire ai clandestini che arrivano nel nostro paese un'accoglienza degna di questo nome». Ma che «accoglienza» è quella in cui l'accolto viene privato della propria libertà personale? Questa si chiama detenzione. Altro che «metter al centro delle proprie attività la persona e le sue esigenze». Poletti aspira a «dare il miglior sostegno possibile a persone in condizioni di estrema debolezza e difficoltà», facendo così confusione tra causa ed effetto di queste condizioni, prodotte proprio dalla «clandestinizzazione» dei migranti di cui i cpt sono strumento cardine. Che almeno si dica esplicitamente che il tabù sui cpt è stato tolto e che con il governo di centro-sinistra non è più uno scandalo gestirli. Anzi, è anche troppo facile leggere la contiguità tra la scelta di Legacoop e la strategia complessiva di legittimazione di questi luoghi, quella del «superamento», messa in atto dal governo Prodi che, tramite la Commissione De Mistura, ha improvvisato una catena di voli pindarici, per decretare l'inutilità dei cpt e contemporaneamente il loro mantenimento.
Nessuno parla bene di questi luoghi, nessuno li vorrebbe, nessuno sa giustificarne l'esistenza, ma va a finire che tutti li accettano. Poletti afferma di conoscere bene «le polemiche sul cpt di Lampedusa»; intanto bisogna dire che hanno investito i cpt in tutta Italia indistintamente da Trapani a Milano, da Bari fino a Gradisca (quest'ultimo, gestito dalla cooperativa Minerva anch'essa di Legacoop, oggetto di ripetute contestazioni). Ma le «polemiche» non erano sul loro funzionamento, ma sulla loro natura.
Quando siamo stati a manifestare a Lampedusa e davanti agli altri cpt, quando abbiamo manifestato contro le Misericordie, quando abbiamo denunciato e documentato le deportazioni verso la Libia e le violazioni anche dei diritti più elementari, il punto centrale delle nostre proteste è sempre stato che si tratta di luoghi di «sospensione del diritto». Luoghi in cui tutto trova una giustificazione nella «straordinarietà» del momento che fonda l'«ordinarietà» di questi luoghi. Poletti conclude addirittura parlando della «necessità di combattere il 'pensiero unico': l'idea cioè di un'economia retta soltanto dal profitto e dalla competizione; di un mercato dove c'è spazio solo per l'impresa capitalistica».
Poletti allora non coglie che il cpt rappresenta, parafrasando Agamben, il Nomos dell'impresa capitalistica, il luogo in cui si istituisce giuridicamente il dominio del «pensiero unico» e in cui si pongono le basi per il profitto e lo sfruttamento. Così, a chi afferma che «finché esistono questi posti vanno gestiti», noi rispondiamo che finché esistono questi posti continueremo a lottare per la loro chiusura.
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