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L'orgia simbolica dei media nella costruzione dello «straniero»

Così giornali e tv creano razzismo. Parla Giuseppe Faso, autore del saggio «Le parole che escludono. Voci per un dizionario»
3 maggio 2007
Cinzia Gubbini
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

E' un professore di liceo in pensione, ma da venti anni Giuseppe Faso si occupa di immigrazione con un occhio particolare a come i media trattano lo «straniero». Tanto da scrivere un libro, una specie di guida, per «I quaderni di Arci», che si chiama «Le parole che escludono. Voci per un dizionario». Una radiografia di come parliamo, tutti, non solo i media. E delle conseguenze che queste parole producono.

La «rivolta» dei cinesi a Milano, il ragazzo rom di Appignano che ha ucciso con la sua auto quattro ragazzi, ora la donna rumena ribattezzata la «killer dell'ombrello». E, intanto, servizi e servizi sull'immigrazione...che ne pensa?
Certo, ne sono stato colpito. Anche se vorrei premettere che il razzismo è un processo molto complesso e bisogna stare attenti a non ridurlo in origine a pochi fattori. Ma i fatti di cronaca di questi giorni evidenziano alcuni meccanismi: a mio avviso, ad esempio, Repubblica ha fatto una delle pagine più razziste sull'omicidio della ragazza di Roma. Attenzione, negli articoli non ho trovato frasi o battute particolarmente feroci. Ma un giorno è stata composta una pagina così: le reazioni politiche, Lega in testa, le parole del ministro Ferrero che cercava di riportare il discorso sull'analisi dei dati. E poi un bel grafico su quanti sono gli immigrati in Italia. Dico io: ma che c'entra? Tra le tante caratteristiche che aveva questa ragazza si è scelta la categoria «immigrazione» e ci si è costruito un mondo. Dentro questo mondo c'è la Lega che dice una cosa, il ministro di Rifondazione che dice altre cose. Il giornalista si presenta come uno che fa il suo lavoro e non dice delle cose troppo becere. Ma è esattamente questo tipo di rappresentazione di alcuni gruppi sociali che sta costruendo una comunità razzista.

Dunque il linguaggio dei media ha una ricaduta immediata sul corpo sociale?Fondamentale. Il razzismo è un fenomeno ideologico: si costruisce socialmente l'immagine dello straniero. Significa che c'è una negoziazione che passa attraverso atti simbolici. E l'immigrazione non viene raccontato come un fenomeno sociale, ma come un fenomeno naturale. Razzismo non è pensare che qualcuno sia inferiore, ma ricondurre questo fatto a fenomeno naturale. Nella società esistono delle persone in una posizione inferiore, è vero. Ma generalmente le leggiamo come disuguaglianze sociali. Nel caso dello straniero, no. E il meccanismo che si alimenta è devastante. Nelle società complesse ci riconosciamo tutti in una tribù: diventa difficilissimo dire qualcosa che contrasta con le persone a noi più vicine. E se i vicini dicono «i rumeni sono tutti delinquenti», per metterlo in discussione devo fare un doppio sforzo: cognitivo - chiedermi cioè perché dicono questo - e uno affettivo - mettere in discussione quello che dicono i «miei». Per nulla semplice. Per questo veicolare certi luoghi comuni è molto grave. Accade dappertutto, anche sul manifesto.

Non bisogna utilizzare certe parole, anche quelle di senso comune, come badante o extracomunitario?Sì perché il problema non è l'intenzione delle persone. Siamo di sinistra? Benissimo, stiamoci un po' attenti. Utilizzando questi termini è facile contribuire a una negoziazione del senso comune in cui chi vuole mettere in discussione certe metafore è totalmente subalterno. L'etica della responsabilità è l'etica dell'attenzione. Non voglio arrivare all'estremo del tabù, per cui certe parole non vanno mai dette. Ma ormai nei testi sociologici si leggono cose tipo «La badante parte da questi zone»: prima di partire, sono già badanti.

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