Donna rom travolta da una macchina. Nessuno la soccorre, è in coma
Una giovane donna rom, abitante del campo della Favorita di Palermo, madre di otto bambini, è stata investita da un auto mentre con uno dei suoi figli di 10 anni stava per attraversare la strada che passa davanti al campo.
Era la sera del primo maggio e pioveva. L'investitrice, in preda al panico, ha abbandonato l'auto sul luogo dell'incidente ed è fuggita a piedi lasciando riversi sull'asfalto i corpi della madre e del suo bambino.
Adesso il bambino sembrerebbe fuori pericolo, mentre S.T. è in coma e combatte tra la vita e la morte, respirando con un tubo nella trachea, nel reparto rianimazione dell'Ospedale Villa Sofia di Palermo.
I mezzi di informazione, sempre sulla base delle dichiarazioni della polizia urbana, precisano che la donna stava attraversando la strada fuori dalle strisce pedonali. Una visita al campo rom e poi in ospedale, con un esame del luogo dove è avvenuto l'incidente, i numerosi testimoni che sono accorsi subito dopo il terribile impatto, fanno emergere una diversa verità, ancora più amara.
S.T. è stata investita non «mentre stava attraversando la strada» ma quando ancora era ancora vicina al marciapiede, come dimostrano i segni di gesso dei rilievi della polizia stradale ancora visibili sulla strada. Soprattutto, nessuno si è fermato a prestare soccorso alla donna ed al suo bambino subito dopo l'incidente. E' stato infatti il marito di S.T., preoccupato per il ritardo della moglie ad uscire dal campo ed a raccogliere da terra, proprio sul ciglio della strada, suo figlio, mentre la donna, benché gravemente ferita, ha tentato di raggiungere a piedi il vicino pronto soccorso, distante qualche centinaio di metri, accasciandosi poi in un lago di sangue, le cui tracce sono ancora ben visibili dopo due giorni proprio in prossimità dell'ingresso dell'ospedale Villa Sofia.
E' importante ristabilire la verità dei fatti, ed accertare le responsabilità dell'omissione di soccorso. Ed è tanto più importante perché solo un accertamento rigoroso dei fatti e delle responsabilità, in una parola il ristabilimento della verità, può contribuire a mentenere aperti canali di comunicazione e prospettive di convivenza.
Dentro il campo della Favorita e tra le associazioni che assistono quotidianamente i rom, è ancora viva la memoria dell'assalto e del rogo del campo rom in provincia di Ascoli Piceno, mentre la polizia stava a guardare «per non esacerbare gli animi dei manifestanti» che volevano in questo modo "vendicare" la morte di quattro ragazzi investiti da un giovane rom ubriaco.
Mentre il rom è ancora in carcere, si attendono adesso notizie sulle decisioni della magistratura nei confronti della donna che a Palermo era alla guida dell'autovettura investitrice.
Nel campo della Favorita non si respira certo quell'aria di vendetta che ad Ascoli Piceno è stata legittimata dal comportamento omissivo delle forze dell'ordine e dalle cronache compiaciute dei mezzi di informazione di mezza Italia. E' però importante che si faccia chiarezza su quanto accaduto a Palermo per non accrescere ulteriormente tra i rom la percezione della ingiustizia, che si somma a tante altre già subite per effetto dell'atteggiamento discriminatorio di cui sono vittime quotidianamente nei rapporti con le istituzioni e sui mezzi di informazione.
Le condizioni, assai spesso miserevoli, in cui i rom vivono nella città di Palermo non sono una libera scelta di persone che rifiutano qualsiasi prospettiva di integrazione, ma derivano dalle troppe promesse mancate, dall'assenza di politiche del territorio autenticamente inclusive, dai troppi ritardi, da un diffuso razzismo istituzionale a danno dei rom che ormai, anche a Palermo, è purtroppo assai radicato.
Molti rom sono alla ricerca di un lavoro legale, e nessuno fa le barricate per "difendere" un campo invaso dai topi e privo dei servizi essenziali. Ma nessuno può illudersi che la soluzione possa essere una ulteriore esclusione/espulsione dei rom dal territorio cittadino nel quale molti di loro sono nati e nel quale sono già attivati diversi percorsi di integrazione. La priorità, oggi, è il permesso di soggiorno alla famiglia di S.T. per aiutarli ad uscire dalla ghettizzazione.
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