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«Superare i campi» Luci e ombre toscane

La regione ha un modello di integrazione tra i più avanzati d'Italia. Ma non è riuscita a impedire la tragedia di LivornoIl comune di Firenze ha aperto la strada con l'assegnazione di case popolari. Stabilizzati i «vecchi» nomadi, rimane il problema dei nuovi arrivati. Che sono circa duemila
14 agosto 2007
Riccardo Chiari
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

La solita Toscana. Quella con più luci che ombre. Con progetti di integrazione già avviati e portati avanti. Con finanziamenti certi, impegno, fatica, anche ritardi non sempre comprensibili. L'obiettivo è comunque definito nero su bianco: superare i «campi nomadi». Inserire le famiglie nelle case di edilizia residenziale pubblica. In via transitoria assicurare ai residenti condizioni di vita decenti, grazie al risanamento delle aree. Firenze ha fatto da battistrada con le sue casette in legno al Poderaccio. A ruota Pisa con un progetto analogo a Coltano. Fin qui le luci. La tragedia di Livorno ha terribilmente illuminato le ombre: non è per tutti un futuro migliore possibile. Si salvano le ondate migratorie dei primi anni '90. I bosniaci, i kosovari, i macedoni. Ormai residenti, e anche per tradizione stanziali. Sono lasciati al loro destino gli ultimi ad arrivare qui. I rumeni, come le famiglie Clopotar e Lacatus dei piccoli Eva, Denchiu, Lenuca e Menii. Genitori forse fedifraghi. Sicuramente disperati. L'immagine tragica dell'ultima ondata migratoria. I sommersi. Quelli a cui il diritto alla residenza viene negato.
All'ultimo meeting internazionale antirazzista, organizzato dall'Arci a Cecina, le discrepanze sono emerse con chiarezza. A fronte di circa 1600 persone censite dal «Progetto Rom Toscana», le associazioni in prima linea nel quotidiano lavoro sul campo segnalavano la presenza di più di 2000 persone. «Sui rumeni si sa poco - spiega Stefano Kovac dell'Arci Toscana - a Firenze molti vivono nelle occupazioni. Altri nelle bidonville della piana fra l'Osmannoro, Peretola e Sesto Fiorentino». Nicola Solimano della Fondazione Michelucci conferma: «E' una realtà significativa. Solo nell'area fiorentina si sta parlando di centinaia di persone».
Altri cento, duecento migranti rumeni sono rintracciabili nel comprensorio pisano livornese. Quello che oggi è tragicamente in prima pagina sui giornali. «Dal 2002 qui è stato avviato il programma di accoglienza Città sottili - racconta Sergio Bontempelli di Africa Insieme - con i finanziamenti della Regione e del Comune di Pisa è iniziato un percorso di inserimento delle famiglie nelle case popolari, e di chiusura dei campi più piccoli. Per quello più grande, a Coltano, sono partiti i lavori di risanamento, con casette in muratura». Tutto bene? Fino a un certo punto. «L'amministrazione comunale ha fatto un censimento - continua Bontempelli - e ha registrato 550 persone. Intanto però iniziavano ad arrivare i migranti rumeni, tutt'altro gruppo rispetto agli abitanti "storici" dei campi. Non sono stati censiti. Noi stiamo insistendo, da tempo, perché almeno sia concessa la residenza anche a loro. Potrebbe essere sufficiente a permettere di trovare casa e lavoro».
Per i senza diritti, una vita quasi impossibile nelle baraccopoli. Anche i comuni più sensibili al fenomeno migratorio - vedi Firenze e Pisa, sul cui territorio si è stabilita la stragrande maggioranza dei rom e dei sinti di Toscana - fanno sapere che non si sono soldi a sufficienza per finanziare ulteriori progetti. Così arrivano gli sgomberi. Quello pisano dell'insediamento al Ponte delle Bocchette, per un enclave di un centinaio di persone che sopravvive lì da sei anni, potrebbe essere forse rinviato dopo la tragedia di Livorno. Quello del mese scorso al Cep è stata l'involontaria concausa del trasloco delle famiglie Clopotar e Lacatus sotto il cavalcavia della tangenziale livornese a Stagno.
«C'è una idea malsana del numero chiuso - osserva ancora Stefano Kovac - perché il progetto di inserimento avviato da Arci, Caritas, Cnca e Telefono Azzurrorosa è andato meglio di quanto si sperasse. E dimostra che se togli le famiglie del ghetto del campo queste finiscono per vivere del loro lavoro e avere i soldi per pagarsi l'affitto di casa». Ma il progetto, avviato con fondi regionali e con il contributo degli enti locali interessati, ha un costo. «Sempre meno che tenere aperti i campi», ribatte Nicola Solimano. Che a nome della Fondazione Michelucci e insieme all'Arci Toscana chiede comunque a tutti i livelli istituzionali - Stato, regioni, enti locali - un impegno straordinario «di attenzione e di risorse». L'unica via per impedire nuovi sgomberi. Nuovi roghi. Nuove morti innocenti.

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