E a Roma il sindaco Veltroni manda la polizia rumena
Un sottopasso, baracche fatiscenti, condizioni al limite della sopravvivenza: una situazione fotocopia a quella dove si è consumata la tragedia di Livorno si poteva trovare a Roma, fino al 19 luglio scorso, a via dell'Imbarco, alla Magliana, dove era situato uno dei più grandi campi abusivi della capitale. Proprio sotto il Raccordo anulare e la linea ferroviaria che collega Roma con Fiumicino, a due passi dal Tevere, si trovavano oltre 1300 persone, in maggioranza rom romeni, ma anche romeni non rom e, in minima parte, italiani e polacchi. Senza alcuna copertura mediatica, è avvenuto lo sgombero alla presenza di Polizia, Carabinieri, Polizia fluviale, vigili urbani e Forze dell'ordine romene, quest'ultima figlia del patto di cooperazione siglato da Veltroni e dal primo ministro romeno Calin Popescu-Tariceanu nella recente visita del sindaco di Roma a Bucarest. Quella mattina, un giovedì, era presente Marco Brazzoduro, professore di Politica sociale alla Sapienza e da tempo attivo nella promozione dei diritti negati ai rom: «E' stata un'operazione al coperto, hanno chiuso tutti gli accessi al campo fin dal primo mattino e dato il via all'intervento di rimozione. La maggior parte degli sgomberati si è diretta a prendere il treno alla vicina stazione, chi verso il centro città, chi verso Fiumicino, totalmente in balia degli eventi e senza una strategia unitaria». Il tutto si è svolto in una calura infernale, l'assistenza della Sala Operativa Sociale del Comune di Roma «evidentemente non sufficiente». «Io stesso», racconta Brazzoduro, «ho visto una donna con un bambino di due settimane completamente abbandonata a se stessa che cercava acqua per mitigare l'estremo disagio di entrambi». Sono state allontanate 450 persone, un numero molto inferiore alle stime riguardanti il campo. Il motivo ci è spiegato dagli stessi rom; nei giorni precedenti poliziotti romeni si erano presentati preannunciando lo sgombero e spingendo molti a cercare da subito soluzioni alternative, pena il rimpatrio. A chi contestava l'impossibilità di rispedire a casa cittadini comunitari, veniva risposto: «Possiamo sempre incriminarti perché stai preparando un attentato terroristico, visto che hai una bombola di gas in casa». Gli esuli da via dell'Imbarco si sono sparpagliati lungo le zone circostanti, rioccupando anche i vecchi insediamenti da cui erano stati già mandati via poco più di un anno fa. D'altronde anche il sottopasso della Magliana non è nuovo a sfollamenti e successivi ritorni. Già nel 2005, non nella canicola estiva, ma in febbraio, da sotto quel ponte fu allontanato un nutrito gruppo di rom, questa volta bosniaci, che si accamparono temporaneamente alla stazione Ostiense. L'alloggio fu nuovamente popolato in coincidenza degli sgomberi di alcuni accampamenti di fortuna lungo il Tevere nel giugno 2006, operazioni che il XV municipio pubblicizzò come «bonifiche del territorio». Anche il campo di via dell'Imbarco era caratterizzato dalla forte presenza di minori. Stefano Galieni, coordinatore del dipartimento immigrazione di Rifondazione Comunista, spiega: «Nella zona si è creata una condizione di stabile emergenza. Da una parte si sono succedute le proteste dei cittadini del quartiere, che spesso hanno attribuito alla presenza degli insediamenti abusivi la colpa di episodi di piccola criminalità. Dall'altra c'era una situazione di crescente indigenza all'interno di una popolazione che era composta per il 60-70% da minori e che avrebbe dovuto, in virtù di questo dato, solo essere aiutata». A rimanere esterrefatto del mondo sotterraneo che gli si è presentato davanti agli occhi è stato anche il presidente del gruppo specializzato su rom e migranti nel Consiglio d'Europa, Andrzej Mirga, anch'egli rom, di origine polacca. Mirga è venuto a Roma i primi di maggio di quest'anno; dopo aver visitato la struttura attrezzata di via Candoni, uno dei campi modello della gestione capitolina, chiese di essere accompagnato in un campo abusivo, dove rendersi conto della «reale condizione italiana» che, a sua detta, «non ha eguali in Europa». Con mesi di anticipo sul dibattito di questi giorni, nel quale l'Unione europea rammenta al nostro premier che le regole per i rom ci sono e basterebbe che fossero applicate, Mirga disse che «quando era a capo dell'Unione Europea, Romano Prodi partecipò a decine di tavole rotonde in cui si affrontò la questione rom». Una frequenza assidua che non sembra aver portato ai risultati auspicabili, se nei campi nomadi ancora si consumano tragedie come quella di Livorno e se negli sgomberi siamo costretti a chiedere la collaborazione di polizie straniere.
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