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Storie migranti Gli «uomini tonno» e la madre illegale. Destini mediatici

«Abbiamo cantato per restare in vita»

Per 3 giorni rimasero aggrappati a una gabbia per tonni nel Mediterraneo. Ora raccontano la loro vita in Italia e ricordano quelle ore: «Volevamo farla finita»
21 agosto 2007
Nicola Angrisano (mediattivista InsuTv)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

«Quando abbiamo cominciato a urlare, perché non riuscivamo più a stare aggrappati alle reti, il peschereccio ha dato corda per potersi allontanare... non volevano sentirci gridare, ma neanche ci hanno fatto salire a bordo!». Il racconto di Justice è di nuovo lì, ancorato a quei tre giorni di maggio appesi alle reti dei tonni. Ventisette uomini abbandonati in mezzo al Mediterraneo, mentre la burocrazia internazionale litigava su quale paese dovesse prendersi l'onere del salvataggio, se Malta o la Libia. Immagini di un dramma spettacolare che hanno fatto il giro del mondo, parlando anche a nome delle tantissime tragedie silenziose che si consumano di continuo lungo le rotte del mare proibito.
In diciotto si trovano ora nella provincia di Caserta. Vengono dalla Nigeria, dal Niger, dal Ghana, dal Burkina Faso, dal Togo: la Campania come meta involontaria decisa dalle strategie imperscrutabili della questura di Crotone, che fornisce i biglietti del treno. Li incontriamo nei giardini del centro di accoglienza «Fernandez» per proporgli un video.
Loro mostrano la prima pagina dell'Independent, ricordano i servizi sulla Bbc e le Figaro.. reliquie di un naufragio che diventa un media-event globale. I più avvertiti sanno che tanta visibilità probabilmente gli ha giovato. Quello che non possono immaginare è che effettivamente la loro statistica ha dell'eccezionale: ventisette riconoscimenti di protezione umanitaria su altrettanti casi, in un paese in cui la tutela dei rifugiati è troppo spesso un terno al lotto.
Il racconto corale non dimostra affatto le malizie dell'abitudine ai media. La memoria riemerge con timidezza, senza epica gratuita. Adama, burkinabe, ricorda «le gambe gonfie per l'acqua e la corda con cui ci siamo legati quando la stanchezza è diventata insopportabile». Con la paura e lo sfinimento arriva anche la voglia di farla finita, «anche perché - aggiunge John- prima del naufragio eravamo già stati una settimana in balia del mare» e così «mentre stavamo attaccati alla rete abbiamo cominciato a pregare e cantare tutti insieme per farci coraggio, per impedire che qualcuno si buttasse in acqua».
Tre giorni passati a parlarsi e a gridare insieme, tra ventisette persone che non si erano mai incontrate prima. Hanno condiviso tutto, dalla disperazione alle venti mele che, secondo l'accusa di Adama, sono «l'unico sostegno venuto dal peschereccio. Dicevano che sarebbero affondati se provavano a imbarcarci, ma era evidentemente una bugia ». Un cinismo ingiustificabile, il frutto avvelenato della criminalizzazione delle migrazioni: ancora si ricordano i casi di pescatori come Corrado Scala di Portopalo, che nel 2003, dopo aver salvato 130 persone venne inizialmente arrestato e la barca sequestrata per «favoreggiamento dell'immigrazione clandestina».
Il ricordo di Justice parte invece dalla Libia, perché lì voleva restare: «Sono scappato dalle persecuzioni religiose e pensavo che un paese musulmano fosse la meta giusta». Ma il comportamento della polizia libica lo ha scioccato: «più di una volta mi hanno rubato i soldi e perfino stracciato il permesso di soggiorno. Mi dicevano che loro ce l'avevano dato e potevano farne quel che volevano».
Ricorda la preparazione della partenza da Al Zuara, il percorso fino alla barca «bendati» e poi la sorpresa di quel rottame di legno lungo pochi metri. Senza nessuna guida:«ci hanno fatto vedere come si tiene in mano il timone del motore, dicendo di andare 'sempre dritto'.. a quel punto non volevamo più partire, ma siamo stati minacciati. Avevamo visto troppo».
Quanto al prezzo Justice racconta una specie di asta al contrario: «I primi hanno pagato fino a 1200 dollari. Poi, quando rimane un po' di spazio in barca e nessuno ha abbastanza denaro il prezzo scende. Io me la sono cavata con 500».
Dal loro punto di vista l'Italia «è stata la salvezza», cosa che non impedisce a Justice di far notare che però «anche dopo il salvataggio non ci hanno mai fatto capire niente. Nessuno ti spiega quello che sta per succedere se non un secondo prima che accada». Come al centro di identificazione di Crotone dove tutti sono restati almeno un mese «e poi un giorno ci hanno detto di andar via. Ma senza nessuna indicazione».
Da allora solo cinque sono ospiti al centro Fernandez, mentre gli altri dormono stipati in appartamenti di connazionali o addirittura in case in costruzione. Nessuno ha ricevuto il titolo di viaggio, un fondamentale surrogato del passaporto.
L'ansia del futuro è perciò il sentimento comune di questo piccolo collettivo di sopravvivenza. Una storia di fuga e di amicizia: allo sportello rifugiati della provincia di Napoli era stato segnalato solo l'arrivo di John, ma lui ha convocato gli altri diciassette. Il risultato è che da martedì in nove saranno ospitati a Venezia, mentre altrettanti dovrebbero finalmente ricevere un letto dalle strutture di accoglienza napoletane.
Per qualche decina di casi risolti, però, come denuncia Emiliano Di Marco, operatore del progetto Iara, «in Campania ci sono centinaia di rifugiati che restano senza nessuna assistenza». Quasi in mille, del resto, si sono già riuniti in assemblea il quattro agosto al centro sociale di Caserta. Anche loro, per l'autunno, non hanno intenzione di restare con le mani in mano.

Note: Sul web
Il video-documento sulla Street-tv napoletana

Tra una settimana il video-documento con l'intervista a diciotto dei ventisette migranti che a maggio si sono salvati da un naufragio aggrappandosi a una gabbia per tonni, sarà visibile e scaricabile gratuitamente sul sito della Street tv napoletana InsuTv: www.insutv.it/migranti. E' questa la pagina del «Tg interculturale» un progetto nato a gennaio di quest'anno da un'autoinchiesta degli ambulanti senegalesi. InsuTv trasmette sia in web che in etere (S19 287 Mhz su Napoli centro), il progetto è partito circa quattro anni. Il Tg interculturale va in onda in italiano, wolof, francese, spagnolo, inglese e cingalese.
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