Silvester, in fuga con la famiglia per i campi
Camicia a righe e pantaloni ben stirati, Silvester raduna la famiglia e decide: «Scappiamo attraverso i campi, torniamo a Pavia». Sono le 11 del mattino di giovedì, da ore la gente di Pieve Porto Morone assedia la comunità cattolica che li accoglie dopo lo sgombero dall'ex Snia. Ha paura, Silvester. L'ha sentito con le sue orecchie: "Vi ammazziamo". E lui, che è venuto in Italia "per dare una vita migliore ai miei figli", si incammina con la moglie Gabriela, la figlia di 15 anni incinta e il genero, il figlio, la nipote incinta e il marito. Camminano per la campagna sei chilometri, poi fanno l'autostop. Sanno già dove andare: alla comunità di San Carlo, dove il Comune ha alloggiato i suoi parenti. Ora siede in un bar pavese, gli occhi perduti. «Mi dicevano che qui le persone di buona volontà trovano sempre lavoro, ma sono deluso». Viveva nel tugurio dell'ex Snia da 3 anni e smentisce il teorema Capitelli: «Non è vero che la comunità rom era gestita da una gerarchia, abbiamo sempre preso le decisioni nelle assemblee senza venire manipolati». C'era anche Silvester nel gruppo che aveva cominciato lo sciopero della fame il 31 agosto, pochi minuti dopo lo sgombero. Sì, è vero, era arrivato quello Zorila che si era inventato il business chiedendo 50 euro per avere il diritto di entrare nella fabbrica abbandonata, poi un affitto di 18 euro al mese. Pagavano, i rom, finché non si sono stufati e l'hanno denunciato alla polizia.
Silvester viene da Craiova, e ci sarebbe rimasto se il latte non costasse 1,5 euro e le banane 1 euro al chilo, con uno stipendio mensile di 100 euro. Così ha venduto la casa "che non valeva niente" ed è venuto da clandestino, il mattino ha cominciato a salire sui pulmini dei caporali che lo portano al cantiere dove guadagna 35 euro per otto, nove, dieci ore di lavoro. Quando arrivano gli agenti per riportare Silvester e la famiglia a Pieve Porto Morone, la figlia Luci Silvia conserva un sorriso perché ha trovato un lavoro: vendemmierà nelle campagne vicino la comunità, con il pancione. Silvester è preoccupato per Iunut, 13 anni. Quando gli hanno comunicato che sarebbe rimasto a Pieve per qualche mese, ha chiesto immediatamente se Iunut avrebbe potuto frequentare la scuola. Oggi non lo chiede, ha visto l'odio della gente del posto ma ricorda che a Pavia non era diverso: i professori lo convocavano per lamentarsi che Iunut puzzava e lui rispondeva sempre "datemi una casa con un bagno e Iunut verrà a scuola pulito come gli altri". Un giorno prese un lavoro di una settimana a Milano, quando tornò il ragazzino era a casa, a scuola non ci voleva andare più.
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