Per città più sicure aiutiamo i paesi poveri
La nube tossica del securitarismo si allarga a vista d'occhio coprendo dal Viminale a Palazzo Vecchio, su su per il profondo nord. Il securitarismo non è la sicurezza, che indica la possibilità per ogni essere umano di sviluppare in pace le sue doti naturali nel rispetto di se e degli altri, ma ha la capacità di cancellare dalla vista i più evidenti elementi di riflessione sociale e politica sui fenomeni che si vorrebbero «securitare». La nube si è sviluppata dal centro storico di Firenze nella torrida estate italiana tragicamente scandita dai morti bruciati e da quelli annegati in mare, i «soliti» migranti, ma oramai aleggia alla grande su di un paese che attende probabilmente gli altri drammi autunnali, quelli legati al dissesto idrogeologico. La nube diffonde la sua tossina, che è poi quella dei «pericoli pubblici»" rappresentati dai lavavetri, migranti, e zingarelli, divenuti soggetto di dibattito per la quotidiana politica e oggetto di alcune maldestre manovre nei loro confronti, in particolare quella che li assimila alla microcriminalità che colpisce la vita dei cittadini di alcune città-simbolo: Firenze una volta capitale dell'arte e della cultura, Bologna, già città «rossa» oggi impegnata nella revisione della sua tradizione di accoglienza e socialità, e varie altre città del profondo nord nelle quali questi «terroristi de noialtri» come li definisce l'ottimo vignettista Bucchi, sarebbero impegnati nel renderci la vita ancora più insicura e microcriminalizzata. E dunque, nella prossima Finanziaria, tra i tanti tagli previsti, ci sarà «securitariamente» un aumento dei fondi dedicati al costoso processo di allontanamento ed emarginazione di questi reietti dai nostri occhi già tanto affaticati dalle immagini televisive.
Ora, sarebbe interessante chiedere, ancora una volta e ad alta voce, se la politica ha minimamente riflettuto sull'origine di queste persone, se il sindaco di Firenze o Bologna, o Roma, o Vicenza, il Guardasigilli, hanno fatto due più due, cioè come mai meno si rispettano gli impegni legati alla solidarietà internazionale, più aumentano questi «dannati della terra» che peraltro ormai rappresentano una massa di lavoratori irrinunciabile per quasi tutte le attività di manutenzione, pulizia, e «lavori sporchi» che avvengono mentre molti di noi dormono. Se facciamo una rapida inchiesta agli angoli delle strade ci accorgiamo allora di almeno tre cose. La prima è che quasi tutti questi dannatissimi lavavetri hanno un doppio lavoro e dunque di giorno ci puliscono il vetro della macchina e di notte spesso il supermercato o il cinema, la seconda è che sono estremamente consapevoli che se il loro paese fosse stato sostenuto economicamente e democraticamente, anche con un poco più di cooperazione, loro non sarebbero qui anche per inviare i soldi a casa, e terzo che oggi tocca a loro essere «microcriminalizzati» ma domani a tanti altri, a partire da quelli che ci cavano i pomodori nelle terre del sud per finire alle tante donne trafficate dai caporali. Sarebbe ottimale infatti, come forma di flessibilità, risvegliare questi schiavi quando è il momento per poi rigettarli in mare alla fine della stagione. Che l'Italia sia ancora l'ultimo paese ricco per quantità di fondi destinati al sostegno degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (siamo allo 0,2% del Pil) non è dunque un altro argomento, come pure che abbiamo ancora una legge di cooperazione che risale al muro di Berlino , o che la politica euromediterranea non sia più all'ordine del giorno ( ricordate il Processo di Barcellona?). E allora, quanto ci costerà criminalizzare questa gente in termini di costi sociali, controllo poliziesco del territorio, conflittualità culturale, regresso nell' «italianità» e via enumerando? Vogliamo «quadrettare» le nostre città in stile metropoli statunitensi? Non sarebbe più lungimirante riprendere una politica estera di aiuti alle democrazie della sponda sud del mediterraneo, favorire i processi di pace in Africa centrale, diminuire le spese per false missioni di pace, ma anche ascoltare la voce delle comunità immigrate nella soluzione di questi fenomeni metropolitani che sicuramente danneggiano più loro che chi si trova dinanzi un lavavetri costretto ad annerirsi i polmoni nel traffico di un mondo nel quale, forzosamente, abbiano scelto noi di farlo vivere?
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