Migranti per il caldo in fuga dal deserto
Madrid Il deserto avanza. E milioni di persone sono in fuga dalle zone rurali che le politiche ottuse dei governi centrali non riescono a tutelare. Cambi climatici e un sistema sbagliato di gestione delle risorse idriche stanno contribuendo a provocare il più grande problema ecologico del nostro tempo.
È questo in sintesi l'allarme lanciato dall'ottava sessione della Conferenza delle Parti (Cop) della Convenzione delle Nazioni Unite di lotta contro la desertificazione che, dopo due settimane di lavori, terminerà oggi a Madrid. Vi hanno partecipato 191 delegati provenienti principalmente dai paesi del sud del mondo. La desertificazione colpisce quasi un quarto delle terre del pianeta e un sesto della popolazione mondiale. La Spagna per esempio soffrì nell'anno 2005 la peggiore siccità degli ultimi 60 anni ed è ormai certo che perlomeno un terzo del paese corre un grave o gravissimo rischio di trasformarsi in deserto.
Un rapporto presentato nel giugno scorso dall'Università delle Nazioni Unite avverte come il cambio climatico stia trasformando la desertificazione nella «maggiore sfida ecologica del nostro tempo». Lo stesso rapporto avvisava che se non si mettono in marcia iniziative per far fronte alla minaccia che incombe sulle forme di vita rurale, circa 50 milioni di persone potrebbero emigrare nei prossimi 10 anni.
Risulta palese come il diritto internazionale debba rivedere il concetto di rifugiato per poterlo così aprire verso nuove realtà sociali, come quelle derivanti dal deterioramento ambientale. Le migrazioni generate da problemi socio-ambientali sono molteplici e complesse. La desertificazione è attualmente una delle cause più importanti tra quelle che provocano la fuga forzata di milioni di persone, impossibilitate a continuare a vivere in aree dove diminuisce fortemente la possibilità di produrre alimenti, si altera la biodiversità e diminuisce l'accesso all'acqua.
E la politica cosa fa? «Una Convenzione senza azione causa desertificazione», è stata questa l'affermazione, ribadita da tutta la galassia delle Ong presenti, con la quale si è aperta due settimane fa la Conferenza delle Parti (Cop)della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici. Eccesso di burocratizzazione, mancanza di trasparenza di alcuni organi e istituzioni, e scarsa ripercussione delle politiche a livello locale sono i punti deboli sottolineati da molti delegati ufficiali oltre che dall'insieme di Ong presenti.
Per esempio, come afferma George Bright Awudi, rappresentante degli Amici della Terra del Ghana, «il Comitato scientifico tecnologico fu creato per generare informazione scientifica sulla situazione della desertificazione in vari punti del pianeta. Questa informazione deve essere analizzata in modo che le politiche dei paesi colpiti possano servire a combattere questo fenomeno a livello locale. Ma pare che questa seconda parte cosi importante sia caduta nel dimenticatoio».
Intervenendo nella «Sessione di dialogo aperto» svoltasi martedì 11, la ministra dell'Ambiente e presidentessa della Conferenza, Cristina Narbona, ha richiamato l'attenzione dei delegati presenti affinché la Cop rinnovi la propria relazione e si apra finalmente verso il mondo civile facendo suoi alcuni dei temi proposti dalle Ong presenti, che più di altri rappresentano la società civile.
Viene richiesto un maggior impulso all'azione locale ed una più agile comunicazione tra attori sociali implicati nel processo.
Di nuovo George Bright Awudi afferma: «Temiamo che questa Convenzione sui Cambiamenti climatici possa diventare la parente povera di quella sulla Diversità biologica. Che è legata direttamente agli interessi economici di compagnie private connessi ai diritti di proprietà intellettuale, ai brevetti e allo sfruttamento del traffico di sostanze stupefacenti. Nel caso della Convenzione sul clima gli interessi e le imprese private hanno come fulcro la sfera politica e il mercato energetico. Questa Convenzione in cambio si occupa direttamente delle risorse offerte alle/dalle comunità locali per incrementare lo sviluppo della qualità della vita nei diversi paesi. Si tratta di un problema di uguaglianza, non molto interessante in termini politici ed economici... Ma gli sforzi realizzati finora risulteranno inutili se non si passerà all'azione».
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