Bimbi rom, funerali e qualche intolleranza
Quando i parenti di Eva, Denji, Danchiu e Lenuca arrivano davanti alla cattedrale, la sorella di tre dei quattro bambini morti il 10 agosto nell'incendio della loro baracca a Livorno, si sente male. Arriva una barella, mentre Uca Caldar, sua madre, si fa forza e sale le scale, urlando e scuotendo i lunghi capelli neri. E' uscita solo il giorno prima dal carcere, dove è stata rinchiusa per cinque settimane con l'accusa di abbandono di minore. Il suo lutto, fino a ieri, lo ha spartito in cella soltanto con Elena Lacatus, la madre di Lenuca. Per tutto il tempo della cerimonia, celebrata in rito ortodosso - con un intervento del sacerdote cattolico che porta la solidarietà del papa - Elena sta accanto a suo marito Victor, letteralmente sconvolto, tanto che per tutta la funzione non riesce neanche ad alzarsi in piedi. Lui e Menji Clopotar, il padre degli altri tre bambini, sono guardati a vista da due agenti della polizia, che ogni tanto li consolano. Sono sotto stretta sorveglianza. Mentre le due donne hanno finalmente ottenuto gli arresti domiciliari, per gli uomini è ancora galera. Il funerale, dunque, è anche il primo incontro dopo la tragedia per questi genitori, arrivati in Italia dalla Romania e scivolati dentro un incubo.
Prima il rogo, poi una sequela di accuse contro di loro che avrebbero abbandonato i figli, avrebbero tentato di scappare, si sarebbero comportati come bestie. Il funerale ufficiale, a cui ha partecipato anche il ministro per la famiglia Rosy Bindi - accolta dagli applausi - il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, la deputata del Prc Mercedes Frias - l'unica che segue le famiglie da quando sono in carcere - e una sfilza di autorità che occupano dodici panche, è dedicato alla memoria dei quattro bambini, vittime innocenti del fuoco e della miseria. Ma, sottinteso dalle cronache seguite all'incendio - ancora da accertare se colposo o doloso - anche dell'incuria dei genitori. Una costruzione del discorso pubblico talmente solida che è difficile trovare, persino tra chi partecipa ai funerali, livornesi capaci di usare parole di solidarietà. «Io darei foco a que' genitori», dice una signora, che spiega di essersi sentita «stringere il core» quando ha visto l'ingresso di quattro piccole bare bianche.
Un altro crocchio di donne ragionano sommessamente sui «livornesi che si butterebbero tra le fiamme per salvare i loro figlioli». Una anziana osserva: «Posso solo sperare che quanto è capitato insegni loro a vivere in un altro modo». Anche per lei l'ingresso delle quattro piccole bare è stato un colpaccio, ma non può fare a meno di pensare «a quanti di loro in questo momento sono al mercato a sfilare il portafogli a qualche pensionato».
La chiesa è piuttosto vuota e, se il dispiacere per la morte di quattro bimbi è sincera, la condanna per i genitori e soprattutto per il popolo rom è conficcata nell'umore della città rossa. «Oggi è il tempo del dolore, ma da domani inizia il tempo della riflessione», sono le parole del sindaco dal pulpito.
«Con tragedie come questa nessuno si può considerare libero da responsabilità», dice alla fine del funerale Rosy Bindi. Durante la funzione prende la parola anche Damian, uno dei parenti dei bambini che vive a Pisa, parla in rumeno, e la traduzione del suo discorso riporta parole di ringraziamento per l'amministrazione comunale e per le associazioni che sono state vicino alle famiglie (Africa Insieme, i Salesiani, Sant'Egidio). Ma, in realtà, lancia anche un atto d'accusa contro «lo Stato italiano che ha messo in galera i genitori». Solo che questa parte la capisce soltanto chi intende il rumeno. Invece per i rom che sono arrivati da Venezia, Bologna, ma anche dalla Francia e dalla Romania per assistere ai funerali - una sessantina, tutti parenti - questo è un punto imprescindibile. Si sentono offesi. Lo ripetono per tutta la mattinata al presidente dell'agenzia rumena per i rom Gruia Bumbu, arrivato da Bucarest, che prima della cerimonia li incontra nell'accampamento predisposto dalla Protezione civile in periferia.
«Parleremo con le autorità italiane, ma rispettiamo le vostre leggi», chiarisce Bumbu. Fatto sta che a Livorno, che pure ha dimostrato una sensibilità ammirevole nel rendere omaggio ai bambini morti, non esiste neanche un campo attrezzato. «La Toscana ha fatto molto per i rom, il problema è che si è dimenticata dei rom rumeni», osserva Sergio Bontempelli di Africa Insieme. Mentre la rappresentante nazionale dell'Opera nomadi Renata Paolucci si arrabbia dopo aver scoperto «che a Livorno ci sono ancora rom rumeni che dormono sotto i ponti. Ma allora a che serve un funerale ufficiale?». E' forse in questo humus culturale tra le due sponde - da una parte la formalità, dall'altra l'assenza di politiche concrete - che cresce l'incomprensione di chi, fuori dal cimitero, grida: «Queste cose non le fate per gli italiani».
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