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Una storia dal centro di detenzione di Roma

le sofferenze dei migranti all'interno del centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria
12 settembre 2009

Cammini per la strada liberamente ed un giorno le autorità ti prendono e ti portano dentro un centro di detenzione senza nessun motivo, senza sapere il perchè. Non hai fatto nulla di male. Semplicemente non sei gradito perché non europeo.

J. È un ragazzo sudamericano che risiede da 20 anni nel territorio italiano. Chiamato a telefono, racconta la sua storia in una trasmissione radiofonica di Torino, Macerie. Espone il suo racconto in maniera chiara e decisa. Dice che lavorato come domestico nelle ville dei personaggi “importanti”. Per sei anni ha svolto servizio presso la casa di Anna Fendi e due anni presso la casa di un “pezzo grosso” dei carabinieri.

Mentre serve nelle ville dei ricchi J. legge, studia e si informa. Nonostante tutto, gli piace la nuova vita. E’ partito per entrare nel continente dei sogni e della libertà. Per trovare un futuro migliore. Ha lavorato per anni senza uno stralcio di contratto e senza contributi. E’ un illegale, ma questa situazione secondo J. poteva cambiare da un momento all’altro.

Ma non aveva fatto i conti con la nuova legge. La polizia lo trova senza permesso di soggiorno e viene sbattuto dentro una gabbia senza sapere il perché. Ora è all’interno del lager da due mesi. In quel campo di concentramento, definito tale anche dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in un intervista, ora dovrà attendere altri 4 mesi.

Afflitto dalla disperazione ingoia due pile, sperando che qualcuno si accorga di lui, della sua storia, delle sue aspirazioni spezzate. J. continua l’intervista dicendo che “probabilmente io mi sono illuso tanto con l’ideale dell’Unione europea. Si dice che l’Unione europea al centro di sé ha l’Uomo, che la dignità dell’Uomo sia inviolabile, che i suoi diritti siano inalienabili: questa veramente mi sembra una utopia. Mi crea una tristezza, mi crea una grande tristezza…che menzogna, veramente! Purtroppo io mi metto sempre a piangere”.

Ingoiate le pile J. sta dodici giorni all’ospedale in solitudine. Nessuno va a trovarlo, neanche il suo avvocato. Qualche giorno fa è uscito, anche se non è ancora fuori pericolo. Ora è di nuovo al centro di detenzione con una pila bloccata nella pancia e senza più illusioni su un futuro migliore. Cerca ancora qualcuno che lo ascolti, e si domanda quale sia la sua strada per cominciare a lottare: “A volte dico: non è difficile diventare un sovversivo, assolutamente non è difficile diventare un sovversivo di fronte a tanta ingiustizia. Ma sa che le dico? Io mi batterò non con il fucile né con il passamontagna, bensì con la forza della parola e la ragione collettiva. È questo il mio appello a voi, veramente”.

Onori Andrea

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