Adel, “mi negano il ritorno in patria perché non ci sono i soldi”
Adel è un ragazzo tunisino di 30 anni. Cinque anni fa, si è allontanato dalla sua famiglia per raggiungere l’Italia. Dopo tanti sacrifici è riuscito a mettere da parte 8 mila euro per il viaggio sperando che un giorno sarebbe tornato più sereno e soddisfatto nel suo Paese.
Con lo sguardo verso l’Europa, insieme ad altre 80 persone è partito dalle coste tunisine. Affrontare il mar mediterraneo e raggiungere le coste della roccaforte europea è l’unica soluzione possibile per ragazzi e ragazze che non hanno altra scelta. Preferiscono rischiare la morte per raggiungere un paese, visto nei loro sogni, democratico. Un paese dove è nato il diritto dell’uomo che evidentemente non è sancito per tutti.
Adel durante il viaggio ha visto la gente morire e sprofondare negli abissi del mar Mediterraneo. Quell’inferno è durato tre lunghissimi giorni. Sbarcato a Pantelleria, provato dal viaggio, è stato curato e assistito dagli operatori umanitari che operano nell’isola.
Ha imparato subito la lingua italiana. Si è svegliato dallo stordimento del sogno europeo ed ha iniziato a capire la realtà. Ha intuito subito che era uno dei tanti mostri da sbattere in prima pagina nonostante non fosse un criminale. Trova lavoro a Milano, si impegna a fare carpentiere. Lavora con dovizia e serietà nonostante non avesse nessuna protezione. Si può scordare le prestazioni di assistenza sociale come i trattamenti di invalidità, infortunio sul lavoro e assegni sociali. Non ha un lavoro regolare e non può avere il permesso di soggiorno. Però lavora, fatica e produce per le imprese Italiane. E’ uno strumento di mercato e serve per porre rimedio alle carenze del Paese, fino a quando serve.
Adel non fa altro che faticare durante tutto il giorno. Nel 2007, arriva la prima randellata: un mandato di espulsione. Ma non intende assolutamente lasciare il paese e soprattutto il suo lavoro. Seppur in nero, era un mestiere che gli permetteva di vivere e soddisfare i suoi bisogni. Poi, sperava sempre in una regolarizzazione.
I suoi sogni sono stati spezzati un mese fa. Quando Adel è stato fermato dalle Forze dell’ordine e portato immediatamente in caserma per una verifica delle sue generalità. Non ha il permesso di soggiorno e questo può bastare per essere rinchiuso all’interno del centro di identificazione ed espulsione, o meglio, dentro il centro di detenzione di Corso Brunelleschi a torino.
Ora è deluso e ingannato Adel. Soffre e non capisce come mai sia in carcere. “Questa è una vera e propria prigione. E non capisco perché sono qui dentro. Ho capito che sono clandestino ma perché tutta questa brutalità verso chi viene, da un paese non occidentale, a lavorare?” mi dice Adel contattato telefonicamente.
E’ un mese che vive in detenzione a Torino e non può far altro che raccontare come un fiume in piena la sua quotidianità. “Qui ci sono anche due bambini di 16 anni. Sono piccolissimi, ma perché fa così l’Italia?” mi dice sconsolato. All’interno del centro manca l’acqua calda ed il riscaldamento è spento nonostante la notte muoiono dal freddo, “nessuno ci aiuta. Non puoi chiedere nulla, le medicine non ci sono ed ora molti hanno l’influenza. Sono malati e non c’è un dottore. Ci sbattono qui dentro, non ci visita nessuno.” Racconta che le medicine vengono usate soltanto in un altro modo: “ci mettono qualcosa all’interno del cibo perchè dopo mangiato mi sento sempre fragile”.
Una ventina di giorni fa Adel ha provato un evasione senza successo:“Cerca di capirmi io qui mi spengo piano piano, come posso sopportare queste ingiustizie? E poi anche se ho provato l’evasione perché tutta quella cattiveria contro di me?”. Le tentate evasioni all’interno dei Cie si pagano a caro prezzo: “Sono stato picchiato e portato 4 giorni in galera. Poi, il giudice ha visto le mie pessime condizioni, ha ascoltato il mio racconto e mi ha rilasciato”.
Dopo aver “assaggiato” la prigione per la prima volta, è stato portato di nuovo all’interno del Cie di Corso Brunelleschi. “Mi hanno messo in isolamento. Mi hanno picchiato. Succede a tutti così. Non puoi neanche chiedere qualcosa perché se lo fai, ti portano in isolamento, ti ammazzano di botte e poi ti riportano con gli altri.” Adel mi racconta che ha avuto il coraggio di denunciare le violenze subite. “Io li ho denunciati, il 20 novembre dovrebbe iniziare il processo contro di loro. Sono 10 giorni che non posso camminare, sono tutto gonfio dalle botte.”
“Qui non è Italia, è Guantanamo, forse anche peggio”. E forse per questo motivo Adel ha chiesto di tornare a casa. Sono quasi 5 anni che vive in Italia ed ora non riesce più ad amare questo paese, vuole tornare in Tunisia, “mi manca mia mamma”. Martedì Adel è stato all’ufficio immigrazione ed ha dichiarato la voglia di tornare. L’ufficio immigrazione non ha accettato la richiesta, gli ha negato il ritorno in patria: “Mi hanno detto che non hanno i soldi per comprarmi il biglietto e per questo motivo non posso tornare a casa. Non so se è una bugia ma io ho due bambini a casa e non ho voglia di scherzare. Neanche in America trattano così gli immigrati. Quì i diritti dell’uomo valgono solo a parole. E’ un casino fratello mio”.
Onori Andrea
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