Da 54 giorni Elham non tocca cibo
Mentre espone la sua storia, dai suoi occhi dispersi e abbattuti, escono a dirotto lacrime di dolore ed incomincia a singhiozzare quando mi parla dei suoi bambini. Non so più cosa chiedere. Resto in silenzio in attesa che ricominci a raccontare la sua storia. Quando prende coraggio e inizia di nuovo a parlare, riesco a capire molto poco. Le lacrime di disperazione annientano la sua parola.
Elham è un uomo di 41 anni ed è chiuso in una gabbia. Si trova nel Cie di Gradisca d’Isonzo dal 14 agosto. Da quel giorno, è stato ricoverato in ospedale ben tre volte, a causa del suo peso che continuamente scendeva (da 67 kg, ora ne pesa 49). In quel letto, dove correvano da una parte all’altra i camici bianchi, c’erano anche due sentinelle immobili che lo sorvegliavano a distanza giorno e notte. Trattato come un criminale, come se il ricovero fosse una mossa strategica per scappare da quella crudele realtà.
“Non voglio scappare dal centro di identificazione ed espulsione. Poi dovrò per forza fare il delinquente. Perderò il lavoro, la casa, la macchina e forse la mia donna. Io voglio solo quel maledetto pezzo di carta.” mi racconta telefonicamente Elham. Purtroppo, anche se volesse scappare, non ha la forza per reagire. Sono ormai 54 giorni che non apre bocca per alimentarsi, è troppo debole. Ed ora ha iniziato anche lo sciopero della sete, “bevo solo caffè” mi dice Elham.
Non dorme neanche mezz’ora la notte: “non ce la faccio proprio” dice sconsolato. Si capisce perfettamente che sta male. Fa fatica a parlare ed ogni tanto ci sono momenti di silenzio. La sua voce è triste e abbandonata. Ma parla e vuole far conoscere la sua storia. Nessuno gli fa compagnia durante le giornate all’interno del centro, lui è in stanza da solo e non esce mai. Durante la conversazione piange in continuazione Elham. Lui sa cosa vuol dire perdere la propria libertà senza aver commesso mai nessun reato.
E’ partito dal Marocco con un contratto di lavoro in mano. Ha effettuato il viaggio con il pullman pagando 8 mila euro. “Ho capito subito di aver preso la prima fregatura” dice Elham. E’ entrato regolarmente nel territorio italiano nel 2001. Ha iniziato a lavorare come aiuto cuoco e cameriere nei ristoranti. Nei primi mesi del 2005 Elham sfortunatamente riceve il primo mandato di espulsione a causa di un ritardo del rinnovo del permesso di soggiorno. E proprio per questo motivo ha fatto ricorso al Tar e l’udienza è prevista per il 30 ottobre. Intanto aspetta in cella e dimagrisce ogni giorno di più.
Sempre in quell’anno ha cambiato mestiere. Ha effettuato un corso ed ha avuto il patentino per fare il “pontista” (montaggio e smontaggio ponti). Per portare avanti la sua vita, deve anche lavorare nei ristoranti la sera. “Io pago regolarmente 850 euro di affitto e la rata della macchina. Ora, è tutto sospeso. Da casa mi vogliono cacciare perché sono 2 mesi che non pago, visto che non lavoro. Non ho avuto mai neanche una multa da quando sono in Italia” racconta Elham
“Sono due mesi che non parlo con i miei due bambini. Loro sono in Marocco con la mia ex moglie. Non sanno dove sono, mi vergogno a dirlo.” Elham ha due bimbi con la sua prima moglie. Invece, la sua compagna che si trova a Firenze, aspetta un bimbo che ha urgente bisogno del suo papà.
L’Italia è razzista? “Purtroppo in tutto il mondo c’è il razzismo, non solo in Italia. Il diverso viene visto male in tutto il mondo, siamo un po’ tutti colpevoli. Forse il problema italiano sono le leggi complicate e restrittive nei confronti di persone fragili, come me. Invece di aiutarti ti chiudono dentro una cella” conclude Elham.
Un uomo che ha lavorato dal 2001 per l’economia italiana. Ora, in un periodo di crisi non si ha bisogno di lui e le nostre autorità lo “parcheggiano” all’interno di un centro. Poi, se servirà ancora, lo tireranno fuori, altrimenti sarà espulso. Questa è la triste storia di tutte quelle persone vulnerabili violentate psicologicamente ed economicamente dagli stati occidentali. Per il sistema sono solo strumenti di mercato, servono solamente a compensare il lavoro che manca.
Onori Andrea
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