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Resoconto del primo accesso nel Cie di Bari

La Class Action contro il Cie di Bari

Numerose le incongruità segnalate dallo studio legale Paccioni di Bari, in visita lo scorso 31 marzo 2011 presso il centro di identificazione ed espulsione di Bari contro il quale tenta un'azione legale collettiva
7 aprile 2011
Luigi Paccioni - Alessio Carlucci (Class Action Procedimentale Bari)
Fonte: classactionprocedimentale.it - 31 marzo 2011

Filo Spinato (veganzetta.org)
Il 31 marzo 2011 sono iniziate le operazioni peritali nel CIE di Bari in esecuzione dell’Ordinanza del Presidente del Tribunale Civile di Bari, dr. Vito Savino, che ha accolto il nostro ricorso per azione popolare a tutela della dignità umana delle persone ristrette in quel Centro, nominando nell’Ufficio di Consulente Tecnico l’Ing. Francesco Saverio Campanale.
Siamo entrati nel C.I.E. alle h. 16,00 con il nostro consulente tecnico di fiducia Ing. Alfredo de Marco.
Pure presenti gli Avvocati dello Stato, della Regione Puglia e del Comune di Bari, accompagnati dai rispettivi Consulenti Tecnici di fiducia.
All’inizio delle operazioni, quando eravamo nel corridoio centrale dal quale si sviluppano i sette moduli di prigionia, i reclusi, avvertendo la presenza di visitatori, hanno iniziato a urlare battendo sulle porte blindate con pugni e calci, nel disperato tentativo di attrarre l’attenzione.
Le forti grida e i colpi hanno indotto il C.T.U. a richiedere e a ottenere l’immediato intervento dei funzionari di Polizia preposti alla sorveglianza turnaria.
Gli animi si sono placati solo quando sono stati aperti, uno per volta, i moduli carcerari e siamo entrati in ciascuno di questi gironi (uno per volta, previa chiusura del precedente lasciato alle nostre spalle), venendo accolti da un’umanità dolente.
All’interno tante invocazioni d’aiuto.
Un giovane cittadino tunisino ci ha mostrato le foto delle piccole figlie, dicendo di non poter avere notizie sul luogo dove oggi si trovano.
Un altro cittadino tunisino ci ha mostrato una ferita di arma da fuoco all’altezza della metà inferiore della gamba sinistra, sostenendo di averla riportata nel corso dell’insurrezione popolare e di essere fuggito in Italia, trovandosi ora ristretto in una struttura carceraria anziché accolto come profugo.
Quattro giovani cittadini tunisini ci hanno riferito di essere minori di età.
Alcuni reclusi hanno dichiarato di essere trattenuti da oltre sei mesi, attraverso la reiterazione di provvedimenti giudiziari di internamento e/o attraverso lungaggini burocratiche per la loro identificazione nei paesi di origine.
Tutti hanno lamentato a gran voce la violazione sistematica del diritto alla dignità umana, ritenendo ingiusta la loro detenzione carceraria per il solo fatto di esistere come uomini.
All’esito di questo primo sopralluogo noi possiamo dichiarare di essere testimoni diretti:
a) della reclusione carceraria dei migranti senza permesso ristretti nel C.I.E. di Bari sotto sorveglianza di Corpi armati dello Stato;
b) della disperazione psicologica che pervade questi esseri umani, i quali non comprendono le ragioni della loro detenzione pur non avendo commesso altro delitto che quello di esistere come uomini (tal è la fattispecie di reato contemplata nel nostro ordinamento giuridico per i migranti privi di permesso);
c) dello sciopero della fame in atto da parte di un detenuto che si è detto di cittadinanza indiana, ristretto nella struttura per motivi a lui incomprensibili;
d) della lamentata violazione dei diritti di difesa dei detenuti, i quali dichiarano di non avere modalità di rappresentazione delle loro istanze attraverso libero contatto con gli Avvocati;
e) della situazione igienico – sanitaria della struttura, caratterizzata da condizioni obiettivamente negative: i bagni e i punti doccia sono in condizioni igieniche pessime a livello impiantistico e funzionale e non garantiscono la privacy, essendo privi di blocco dall’interno; gli “ospiti” (così sono chiamati dall’apparato burocratico che amministra la struttura detentiva) sono internati nei rispettivi moduli, chiusi da porte blindate con apertura solo dall’esterno, e non hanno la disponibilità degli effetti personali perché i bagagli con i quali sono entrati risultano ammassati in ambiente separato per loro inaccessibile, se non mediante accompagnamento dei sorveglianti;
f) della coattiva promiscuità di uomini di diversa etnia e cittadinanza all’interno dei singoli moduli carcerari -separati dal resto della struttura con porte blindate e sorvegliate, ciascuno dei quali (moduli) connotato dalla presenza di n. 7 ambienti con letti metallici ancorati stabilmente al pavimento e con finestre protette da sbarre d’acciaio antievasione senza alcun altro arredo e/o suppellettile (per evitare gesti di autolesionismo e/o di aggressione).
Ci obietteranno, essendo noi giuristi, che è vigente una norma di legge repubblicana che prevede la detenzione di questi uomini e che dunque quello che noi denunciamo rientra nella legalità.
A tale obiezione rispondiamo senza esitazioni che esiste anzitutto l’etica pubblica, fondata su princìpi universali che precedono l’ordinamento statuale e che danno sostanza vitale alla civiltà giuridica di un Paese democratico.
Del resto, con le ovvie differenze, i campi di concentramento di uomini e donne nel III Reich e nell’Italia fascista furono previsti da leggi formalmente perfette, approvate dagli organi costituzionali dei rispettivi Stati, come anche avvenne per la costruzione e la gestione dei Gulag staliniani.
La storia giudicherà i nostri odierni comportamenti verso i migranti senza permesso, come ha giudicato quelle ben più tragiche vicende.
Noi possiamo dire di non appartenere alla platea degli “indifferenti” e di non tacere, in conformità ai nostri obblighi di giuristi e di cittadini, quanto abbiamo visto nel CIE di Bari.

Note: Documenti e info su questa Class action:
http://www.classactionprocedimentale.it

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