Siamo una società di pace? La criminalizzazione della solidarietà
La “Fortezza Europa”- Spesso leggiamo questa espressione che ci restituisce un’immagine in negat ivo del continente che viviamo, raggiungiamo o in cui nasciamo (penso al quasi milione di ragazzi e ragazze della seconda generazione che in Italia si vede ancora negato il diritto alla cittadinanza, tanto è ancora forte la “regola” dello ius sanguinis e poco spazio trova quella dello ius soli – potremmo qui aprire una riflessione sul retaggio colonialista che ancoraportiamo – come un macigno – sulla nostra coscienza collettiva e, inevitabilmente, su quella individuale.
Ma un passo alla volta, è così che inizia ogni viaggio. In questi anni mi sono avvicinata allo studio delle migrazioni, alla complessità delle storie che ogni rifugiato, richiedente asilo o migrante porta con sé dal Paese d’origine a quelli di transito fino alle sponde o strade del Paese Richiedente (una tesi a parte varrebbe la pena dedicare al Regolamento di Dublino e ai vari tentativi di modifica – falliti – che sancisce il vincolo tra migrante e paese richiedente e da cui condizione nascono tutti gli step dell’accoglienza nazionale).
Perché le persone in movimento cercano asilo, quali sono le cause di fuga e abbandono del proprio Paese, come accogliere in noi il carico emotivo di queste storie, quali sono le criticità del sistema accoglienza italiano e quali le potenzialità – come leggere le nostre frontiere, la loro natura geografica e umana e quindi violenta, inossidabile. Perché l’Unione Europea si è chiusa in se stessa, delegando la responsabilità degli arrivi delle persone in movimento (usciamo dalla logica narrativa del flusso, come marea omogenea di individui, facciamo emergere le singolarità di ogni storia migrante) ai Paesi di volta in volta coinvolti, perché le stragi delle frontiere marittime e terrestri sono catastrofi umanitarie. Ancora: qual è la nostra responsabilità?
Attraversando gli studi delle politiche migratorie europee e l’ipocrisia con cui le stesse vengono definite ma troppo poco applicate, ho dato al mio disorientamento politico una nuova bussola interrogandomi sul ruolo della società civile italiana, europea e internazionale - . Dov’è andato a finire il senso della responsabilità collettiva e quindi universale? Qual è il modo per recuperarla come valore? Dal tentativo di decifrare questo vuoto d’azione, Alessandro Leogrande - scrittore e giornalista tarantino – scriveva così nel suo libro “La Frontiera”:
“Tornando a casa in metro dalla scuola mi sono chiesto se storie come quella di Hamid facciano davvero parte del nostro orizzonte mentale, qui, in Europa. [...] Per quanto l’abbia lasciato da neanche mezz’ora, tra il suo mondo e quello che
ora mi avvolge c’è una fitta foresta di segni, pensieri, vite, preoccupazioni che rende il dramma del fratello e i viaggi picareschi appena percepibili. Appena distinguibili nel frastuono che mi circonda. [...] Non è solo una questione di
parole. Non riguarda solo i termini giusti da trovare per descrivere ciò che avviene ai bordi dell’Europa. È come se la consapevolezza del sommovimento del mondo vada scemando a mano a mano che ci si allontana da quei bordi e si
penetra nel cuore dell’Occidente. [..] E invece c’è una faglia sotterranea che taglia in due il Mediterraneo [...] Una linea fatta di infiniti punti, infiniti nodi, infiniti attraversamenti. Ogni punto una storia, ogni nodo un pugno di esistenze. Ogni attraversamento una crepa che si apre. È la Frontiera. Non è un luogo preciso, piuttosto la moltiplicazione di una serie di luoghi in perenne mutamento, che coincidono con la possibilità di finire da una parte o rimanere nell’altra”.
In questo lavoro volevo condividere le difficoltà di un complesso sistema globale violento e diseguale con le persone che affiancano i rifugiati nei loro percorsi di transito o di accoglienza e, con loro costruire strumenti di lettura e rottura delle narrazioni migratorie esistenti (es. migrante-clandestino), lavorando sulla centralità che ogni essere umano è, prima - mentre e dopo un viaggio di attraversamento irregolare delle frontiere (nei prossimi capitoli ci avvicineremo alla sensazione di essere soli in un viaggio incerto, in mano ai trafficanti e a una fede cieca del futuro).
Preziosi sono stati i momenti di condivisione con i rifugiati stessi – organo principale di questo lavoro – con i quali attraverso un legame, purché momentaneo, di ascolto e approfondimento siamo riusciti a fare un lavoro di
sutura tra presente frontiera passato frontiera futuro.
La finalità di questa tesi co-partecipata è rendere giustizia a ogni passo errante di qualsiasi persona decida di cambiare la propria esistenza, che il sistema-frontiera sorretto da muri anti-migranti e filo spinato sia ogni giorno la realtà politica da ribaltare con l’efficacia di un’azione collettiva, impegnata, sentita.
La criminalizzazione della solidarietà ci guida in un quadro giuridico- politico e sociale in cui il soccorso umanitario è trattato come una minaccia al disegno politico del sistema-Paese e in più in generale del sistema-frontiera europeo. La riflessione con cui voglio abbracciare il lettore in questo viaggio è quella di capire le condizioni che hanno permesso questo oltraggio al diritto all’esistenza e alla dignità umane, raccontandogli anche gli scossoni di coscienza che mi
hanno attraversato durante questo viaggio. Sempre attuali e incoraggianti sono le parole di Tiziano Terzani – giornalista fiorentino scomparso agli inizi di questosecolo XXI – quando scriveva: “Abbiamo bisogno di ribelli spirituali!”. Questo
lavoro non sarebbe stato possibile se – in alcuni momenti di sconforto dentro le condizioni disumane dei migranti che ho incontrato lungo la frontiera croato-bosniaca (Bihac – Sturlic) – queste parole non mi avessero dato il giusto slancio per continuare questo cammino nella tragedia delle persone in movimento.
Tante sono state le interviste a giuristi esperti del diritto dell’immigrazione e umanitario, operatori e operatrici NGO, cittadini e cittadine attivi in rete solidali di accoglienza e integrazione sul proprio territorio, europarlamentari, richiedenti asilo, tante le riflessioni e le emozioni raccolte in questo cammino.
Che l’intelligenza del cuore possa essere nostra guida, che ci dia il coraggio di rafforzare un’etica di guarigione e cura nei confronti dei fratelli e sorelle di ogni latitudine, fino a ogni frontiera.
Buon viaggio a tutte a tutti.
I. Introduzione. La partecipazione, il lavoro sul campo e la costruzione di un metodo di ricerca partecipato.
II. Ci siamo rassegnati al disumano? La politica italiana che ha criminalizzato il soccorso umanitario.
i. Introduzione al reato di solidarietà.
ii. Le tappe della disumanizzazione del soccorso umanitario.
iii. Mare Nostrum, Triton, Sophia: le missioni che hanno modificato le attività di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo.
iv. Memorandum Italia-Libia, l’accordo bilaterale dell’orrore.
v. Il codice di condotta delle Ong: analisi giuridica di Luca Masera
vi. Il codice di condotta per le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in mare.
vii. La stagione dei “porti chiusi” e il decreto Salvini-bis.
viii. Le politiche del Governo Conte II e la riforma Lamorgese.
ix. Il Governo Draghi e la pratica dei “respingimenti di procura”.
III. La criminalizzazione della solidarietà via terra. Da Trieste a Bihać, l’appello dei migranti e i luoghi di resistenza.
i. Introduzione al viaggio: sui passi della solidarietà.
ii. Trieste: Linea D’Ombra ODV e la “Piazza del Mondo”. Il caso di
Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi.
iii. Il sogno di Safi: aprire un’officina meccanica a Trieste.
iv. La frontiera: Bihać e Šturlić.
IV. Conclusioni.
V. Ringraziamenti.
Allegati
Tesi di laurea
Carmen Zaira Torretta5301 Kb - Formato pdfSiamo una società di pace? La criminalizzazione della solidarietà
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