Maysoon libera!
Non ci sono parole per esprimere la profonda felicità per la notizia della scarcerazione di Maysoon Majidi. Leggo già su diversi siti e quotidiani alcuni commenti sulla notizia della “rimessa in libertà”. In realtà Maysoon non era mai stata libera, lei solo ora è libera. Quello che ha subito fino ad oggi, persecuzione e minacce in Kurdistan e il carcere in Italia, era il costo da pagare per la sua libertà.
Maysoon anche nella privazione della libertà ha sempre lottato per la difesa dei diritti delle donne in Iran, contro l’ingiustizia, la discriminazione e l’oppressione del popolo kurdo e per la sua terra, il Kurdistan.
Sono passati mesi lunghi, difficili e tristi per Maysoon a causa dell'ingiustizia che ha subito e delle accuse inventate. Sono stati mesi lunghi e tristi anche per chi si è occupato del suo caso. In questi mesi di lotta ho conosciuto delle persone meravigliose e generose del comitato FREE MAYSOON, che ha lottato per la libertà di Maysoon, senza nessuna aspettativa se non quella della sua libertà, come tanti politici che hanno sostenuto e creduto nella causa di Maysoon e i giornalisti che hanno seguito lo sviluppo del caso, dando spazio e voce alle notizie in vari siti e giornali.
Benvenuta Maysoon tra noi in libertà in Italia, il paese che ha accolto me, te e tante altre donne, il paese dove ho conosciuto anche io per la prima volta la libertà e, da donna libera, ho promesso di essere la voce per chi non ce l'ha, perché per me non c' è stata nessuna voce quando ero io in carcere.
Benvenuta nella libertà, cara compagna, come speriamo avvenga anche alla nostra patria, il Kurdistan.
Jin jyan azadi.
Gulala Salih, a nome dell'Unione Donne Italiane e Kurde
Majidi aveva iniziato la sua lotta contro il regime iraniano dell’Ayatollah e contro le leggi restrittive, la negazione dei diritti delle donne, la discriminazione e l’ingiustizia che subisce il suo popolo, il popolo kurdo; Majidi quindi era un'attivista ancora prima della rivoluzione di “Donna-Vita-Libertà” a seguito dell’uccisione di Jina (Mahsa) Amini e ancora prima che le donne iniziassero a tagliarsi i capelli nelle piazze dall’Iran. Majidi non è fuggita per non mettere più il velo, non è ricercata perché è stata vista nelle piazze con i manifestanti: è fuggita dall’Iran, perché ricercata e minacciata dal regime islamico, sanguinario e fascista, di quel paese, che opprime non solo le donne, ma tutte le minoranze che vivono in quella terra, soffocando la voce della libertà, dei diritti e della giustizia. L’attivista kurda non aveva cercato in Europa asilo e protezione, ma ha deciso di lasciare il Kurdistan orientale, Rojhala, occupato dall’Iran, e di andare nella Regione autonoma del Kurdistan meridionale, in Basciur (libero dal 1990 dopo la guerra del Golfo pilotata dall’ex governo iracheno di Saddam Hussein), per poter continuare la sua battaglia sulla propria terra per i diritti. Invece anche lì ha subito intimidazioni, è stata minacciata di morte e ha dovuto quindi chiedere protezione in Europa. Quindi è arrivata in Italia, il paese libero e democratico, co-fondatore dell’Europa, che però l’ha accusata anziché accoglierla.
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