Ora i «cervelli» stranieri vengono in Italia
ROMA - Cervelli stranieri «in fuga» verso l'Italia, in cerca di opportunità di lavoro e di una più ampia esperienza professionale. All'espatrio dei ricercatori italiani fa da contro altare l'arrivo di «nuovi migranti» nel Paese, con l'obiettivo di approfondire le proprie conoscenze in settori di eccellenza e stabilire contatti con le istituzioni scientifiche nazionali. Giungono per lo più dall'Unione europea e dai paesi dell'Est, anche se la maggior parte prevede di rientrare prima o poi in patria.
A rilevare la tendenza, legata ad un quadro di indispensabile mobilità lavorativa e formativa, è una indagine condotta dall'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche, i cui dati sono stati illustrati nel corso del convegno internazionale dedicato alle «Migrazioni internazionali in Europa: nuove tendenze, nuove metodi di analisi», in programma fino a sabato 27 novembre presso il Cnr. L'indagine è stata condotta su un campione di 241 ricercatori stranieri (su un totale di 378) ospiti presso enti di ricerca italiani (Cnr, Infn, Enea, Iss).
Ma chi sono i ricercatori che vengono a lavorare in Italia? «Il 33% degli intervistati - spiega Carolina Brandi dell'Irpps-Cnr - proviene dall'Unione europea, soprattutto da Francia, Germania e Spagna, mentre il 35% da altri paesi, soprattutto dell'Est europeo, Russia, Romania, Albania, in piccola parte dall'America del Sud e dall'Estremo Oriente. Sono venuti ad approfondire principalmente la fisica, la biologia, la chimica e l'ingegneria». I più giovani sono i ricercatori dell'Ue, dei quali il 40% ha un'età inferiore a 30 anni; gli altri ospiti sono compresi nella fascia di età che va da 31 a 40 anni ed oltre. Il viaggio, però, prevede il rientro in patria per il 71%, che non intende quindi stabilirsi definitivamente nel nostro Paese. Solo il 16,2% del totale degli intervistati pensa infatti di rimanere in Italia più di cinque anni; una considerevole parte, il 37,3%, prevede invece di rimanervi meno di un anno. Le donne sono le più giovani e quelle che rientrano prima: il 48,1% pensa di permanere solo un anno, contro il 33,3% degli uomini.
Perché proprio l'Italia? Molti, il 43,3%, ha avuto contatti con enti scientifici da cui ha ricevuto un invito, che risulta come fattore decisivo per gli spostamenti. Un invito, emerge ancora dall'indagine, che vale la pena di accettare per il 46,4% degli intervistati, convinto di trovare buone opportunità di studio. La possibilità di utilizzare strutture e attrezzature adeguate spinge poi un altro 37% verso il Paese, soprattutto dai paesi dell'Est. Anche se emigrare verso l'Italia non appare facile neanche per un ricercatore: «E' la burocrazia il maggiore ostacolo - aggiunge Brandi - che si traduce in difficoltà ad avere permessi di soggiorno e di lavoro per il 63%». La «fuga dei cervelli» riguarda tutti i paesi, soprattutto nell'ambito della ricerca pura. «E' interessante sapere - conclude la ricercatrice - che questa analisi è condivisa non solo da ricercatori dei paesi dell'Est e in via di sviluppo, ma anche da quelli dell'Ue, soprattutto di Spagna, Grecia e Portogallo».
Tra i motivi che spingono questi giovani studiosi a lasciare il proprio Paese, in testa, con il 54,6%, vi è il desiderio di fare esperienza presso altri ambienti di ricerca, un fattore reputato importantissimo per la crescita professionale, come anche quello di specializzarsi in quei settori che non sono sufficientemente sviluppati nei paesi di origine (29,6%). Le considerazioni di carattere economico e le difficoltà occupazionali non risultano invece determinanti nella mobilità.
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