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Giovanni Paolo II ha saputo unire non in nome del passato ma in nome di un futuro comune

Muore il Papa che ha chiesto perdono

Ha chiesto alla Chiesa di riconoscere i propri errori passati e di pentirsi, ma ha incontranto resistenze. Durante il suo pontificato si è sviluppata una nuova stagione di impegno civile che ha segnato una svolta rispetto al passato. In questi anni credenti e non credenti hanno marciato assieme nelle mobilitazioni per la pace, sono andati insieme nelle missioni ad aiutare i fratelli più poveri.
2 aprile 2005
Alessandro Marescotti

Muore il Papa che ha chiesto perdono. Un perdono invocato più volte di fronte al passato di ingiustizie e di violenze a cui ha partecipato anche la Chiesa. Un passato di scandalo e vergogna che ha lacerato l'umanità, dividendola fra chi si riconosceva nella Chiesa cattolica e chi ne prendeva dolorosamente o con fierezza le distanze.

Muore il Papa che ha avvicinato due mondi, credenti e non credenti. In questi anni, infatti, credenti e non credenti hanno marciato assieme nelle mobilitazioni per la pace, sono andati insieme nelle missioni ad aiutare i fratelli più poveri, a condividere il pane e ad essere quindi "compagni" delle vittime delle guerre e delle ingiustizie. E così oggi accade che nei posti più diversi della Terra missionari e atei abbraccino insieme le speranze di "utopie concrete", ne accettino le sfide e condividano la responsabilità comune dell'impegno umano e civile, perseguito e percorso da crinali diversi di un'unica montagna, quella della vita.

Muore il Papa che ha avvicinato le religioni in un comune dialogo all'insegna dei valori della pace e del dialogo.

Ricordiamo solo alcuni passi di questo Papa che ha chiesto perdono.

In un promemoria inviato ai cardinali nella primavera del 1994 propone un "pentimento" della Chiesa per il suo passato, in vista del Giubileo. E' un documento poco noto. "Non se ne conosce la data. Viene mandato ai cardinali convocati in un Concistoro straordinario e arriva ai giornali per una fuga di notizie. Tutti lo riprendono e lo studiano, ma non viene mai pubblicato ufficialmente. Giovanni Paolo II ne rivendica due volte la paternità durante il Concistoro", racconta Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere della Sera ed autore del libro "Quando il Papa chiede perdono" (edito da Mondadori).

Riferendosi esplicitamente a "guerre di religione, tribunali dell'Inquisizione e altre forme dei diritti delle persone", papa Giovanni Paolo II pone nel suo promemoria per il Giubileo una domanda terribile: "Come tacere delle tante forme di violenza perpetrate anche in nome della fede?" E aggiunge: "Bisogna che anche la Chiesa, alla luce di quanto il Concilio Vaticano II ha detto, riveda di propria iniziativa gli aspetti oscuri della sua storia".

Quest'iniziativa del Papa incontra la resistenza, se non l'avversione, di una parte dei cardinali.
"La Chiesa, proprio come Chiesa, ha dei peccati? No, la Chiesa considerata nella verità del suo essere non ha peccati", osserva il cardinale Biffi in una sua nota pastorale.

Eppure il Papa, nel propugnare un'autocritica storica, fa notare nel suo promemoria per i cardinali che "ciò non danneggerà in alcun modo il prestigio morale della Chiesa, che anzi ne uscirà rafforzato, per la testimonianza di lealtà e di coraggio nel riconoscere gli errori commessi da uomini suoi e, in un certo senso, in nome suo".

Sempre nel 1994, nel documento di preparazione del Giubileo, il Papa detta parole inequivocabili:
"Come non provare dolore per il mancato discernimento, diventando talvolta persino acquiescenza, di non pochi cristiani di fronte alla violazione dei fondamentali diritti umani da parte dei regimi totalitari?" (Tertio millennio adveniente, 36).

Il 14 giugno 1996 il Papa prende le distanze dalle Crociate.

Il Papa viaggia molto. Si reca più volte in Africa e chiede perdono.

E' consapevole della gravità morale dei diffusi massacri compiuti all'interno di una nazione cattolica come il Ruanda: "Si tratta di un vero e proprio genocidio, di cui purtroppo sono responsabili anche dei cattolici", dice il 15 maggio 1994 nel saluto domenicale. A che era servita tanta diffusione della fede cristiana? Il Papa chiede conto di questa contraddizione, e interroga le coscienze di fronte ad inauditi crimini commessi da gente che con "grande devozione" partecipava alle messe e che con altrettanta "grande devozione" aveva partecipato all'"eroico macello", per dirla con Voltaire.

Il 13 agosto 1985 in Camerun dice: "Chiediamo perdono ai nostri fratelli africani che tanto hanno sofferto, per esempio per la tratta degli schiavi". E fa esplicito riferimento alle responsabilità delle "nazioni cristiane".

In Senegal il 22 febbraio 1992 dice: "Noi preghiamo perché in futuro i discepoli di Cristo si dimostrino pienamente fedeli all'osservanza del comandamento dell'amore fraterno lasciato dal loro Maestro. Noi preghiamo perché essi non siano mai più gli oppressori dei propri fratelli, in alcun modo, ma cerchino sempre di imitare la compassione del buon samaritano del Vangelo andando in aiuto delle persone che si trovano nel bisogno".

E il 1' aprile 1995 dice ai vescovi brasiliani: "Riguardo alla schiavitù africana, ho già avuto occasione di implorare il perdono del Cielo per il vergognoso commercio di schiavi al quale parteciparono anche non pochi cristiani".

Tanti potrebbero essere i segni di questo PERCORSI DI RICONCILIAZIONE.

Senza il quale non sarebbe nato l'attuale movimento della pace che unisce anime diverse.
Senza il quale non sarebbero in corso missioni laiche e religiose, unite da stretegie aconfessionali.
Senza il quale il rispetto dei diritti umani e la condanna delle ingiustizie non sarebbe gridata così forte in un mondo in cui i leader del capitalismo ci sussurrano ogni giorno con "nostra sorella TV" che ormai siamo nel migliore dei mondi possibili.

E dire che ancora nel 1865 la rivista dei gesuiti "Civiltà cattolica" interveniva - con il saggio "Il concetto morale della schiavitù" - sulla questione della schiavitù cercando di dimostrare che la schiavitù in sé per sé, non era contraria al diritto naturale giustificando l'atteggiamento dei papi che non l'avevano condannata.

Non si ricordano molti papi che, prima di Giovanni Paolo II, abbiano saputo chiedere perdono con simile determinazione. Certo risuonano ancora, alle orecchie di chi vuol sentirle, le parole di Adriano VI del 1523: "Noi sappiamo bene che anche in questa Santa Sede, fino ad alcuni anni or sono, sono accadute cose abominavolissime: abusi delle cose sacre, prevaricazioni nei precetti, e tutto infine volto al male" (messaggio di Adriano VI letto il 3 gennaio 1523 alla Dieta di Norinberga dal legato Francesco Chieregati).

Tutto questo va scritto e va compreso non ciò che negativo o polemico può ancora suscitare ma per ciò che di positivo può insegnare per il futuro.

Perché altrimenti non comprenderemmo quell'umanità variegata - storicamente lacerata nei più intimi sentimenti morali - che oggi si ritrova invece unita nelle comuni missioni umanitarie, di pace, di affermazione dei diritti umani, di rivendicazione della giustizia violata.

Muore il Papa che ci ha saputo unire non in nome del passato ma in nome del futuro.

Muore il Papa che ha sognato per noi un futuro che da costruire in nome della pace, della giustizia e dell'affermazione dei diritti umani, e che per questo abbiamo amato come compagno di un viaggio di speranza e di impegno quotidiano.

Note: All'interno di PeaceLink in queste ore abbiamo discusso su ciò che ci lascia questo Papa. Per più di qualcuno Giovanni Paolo II è associato a ricordi che hanno suscitato perplessità. Si è affacciato con Pinochet sul balcone della Moneda. Ha tentennato nel salutare Monsignor Romero quando è andato in El Salvador; ha tenuto ferma la sua causa di beatificazione da 7 anni mentre invece ha fatto santo il fondatore dell'Opus Dei e ha santificato Padre Pio. Ha umiliato il ministro gesuita nel governo sandinista, che era in ginocchio davanti a lui. Ha guidato una Chiesa in cui i gay e i divorziati sono ancora posti ai margini.

Non esiste grande personaggio storico che, giunto ai vertici di importanti istituzioni, non presenti anche contraddizioni e ombre.

Ma quando muore qualcuno bisogna chiedersi che traccia lascia per noi, cosa possiamo imparare di buono dalla sua vita, come possiamo camminare verso il futuro mantenendo vivo quanto di migliore ci ha testimoniato.

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