Un nuovo mondo con la nonviolenza e l'amore: oggi è possibile
Quando sono posti consciamente cambiano il significato della nostra vita personale e del mondo che ci circonda.
Nairobi, 11 Marzo 2003
Cari Amici,
Abbiamo voluto chiamarci "Amani", cioè pace, perché ci è parso di capire che questo è il grande impegno nel mondo di oggi, per tutti. E i nostri piccoli progetti, le nostre case e scuole, i nostri interventi sui Monti Nuba hanno sempre voluto essere un segno di pace, anche là dove la guerra e la violenza sembrano vincere. Inevitabilmente in giorni così difficili come quelli che stiamo vivendo, in cui si fronteggiano la follia di un piccolo dittatore e la tracotanza di chi vuole dominare il mondo, non possiamo non essere coinvolti da quanto sta accadendo.
Uno slogan indovinato afferma che un nuovo mondo è possibile. Anzi, è necessario, aggiunge qualcuno. Io mi permetto di dire sottovoce: amici, vi sbagliate, il nuovo mondo esiste già. La prova più evidente è nelle folle che hanno manifestato per la pace e nell'impegno quotidiano di tanti perché la pace prevalga.
Ogni grande movimento storico non produce solo leaders, teorie, libri, dibattiti, statistiche, marce, o che altro. I movimenti creano poesia. A volte è una forma minore di poesia, quella dei sogni a occhi aperti o delle illusioni. Ma altre volte è poesia vera, quella che ci fa vedere al di là della realtà, soprattutto quella che ci aiuta a vedere il futuro che esiste già adesso.
Così è stata nella Chiesa la stagione conciliare. Così è stato il '68 per chi era giovane in quegli anni. Per l'Africa sono stati così il movimento della negritudine, la prima stagione dell'indipendenza e poi i movimenti di liberazione. Le visioni di un mondo nuovo non nascono negli incontri di salotto di persone intelligenti, e neanche nei "think tanks" sponsorizzati della grandi istituzioni, o nel mondo individualista della cultura globalizzata, tantomeno nei dibattiti televisivi. Queste visioni poetiche nascono nei gruppi che si impegnano nel sociale e nel politico per molti anni, che soffrono, che pagano di persona.
Poi ogni tanto questa poesia ti aggredisce in momenti imprevedibili e immeritati. La vedi, è lì a portata di mano, e ti accorgi che è più vera della realtà.
A me è successo per esempio lunedì 18 novembre, mentre visitavo la Koinonia di Lusaka, in Zambia. Ero seduto nel cortile della casa dove vivono gli oltre sessanta bambini di strada ospitati dalla comunità, nel prato, sotto il grande albero di jacaranda. C'era una grande quiete, l'ultima auto era passata oltre un'ora prima, nella strada sterrata ai piedi della collina. Il sole tramontava ad occidente mentre contemporaneamente ad oriente sorgeva la luna piena. Alcuni bambini rientravano sudati e stanchi per una partita di calcio. Altri erano sotto la doccia, mentre altri, già puliti e profumanti di bucato (per lavarsi usano lo stesso sapone del bucato, la saponetta col profumo artificiale è un lusso) preparavano all'aperto il tavolo che sarebbe servito da altare per la Messa. Poco lontano, sotto una tettoia dello stesso grande cortile, mama Edina e mama Justina stavano cucinando un'enorme polenta, mentre il pentolone di spezzatino era già pronto. I bambini indaffarati nelle varie occupazioni mi passavano accanto e facevano un cenno d'intesa, mi lanciavano uno sguardo, un sorriso, ognuno in modo diverso significando la gioia di essere insieme in un posto tranquillo, protetto, dove ci si vuol bene. Ecco, improvvisamente, il nuovo mondo è qui. Mi è venuto in mente che era il quinto anniversario della morte di Andrew Owour, il ragazzo kenyano che ha stimolato noi tutti in questa avventura al servizio dei bambini di strada in tutta l'Africa. Mi è venuto in mente che proprio qui, a Koinonia di Lusaka, dove mi aveva accompagnato nel 1994, Andrew aveva concluso il suo cammino di fede ed aveva deciso di diventare cattolico, da anglicano che era. Aveva fatto qui, in questo cortile, la sua professione di fede. Allora durante la messa ho parlato di lui ai bambini, che mi ascoltavano come se parlassi di un loro fratello maggiore, rapiti. Ecco, il nuovo mondo è qui, nella comunione fra i vivi, e dei vivi coi morti.
Quando riduci all'osso i grandi movimenti che hanno espresso i desideri collettivi della gente, li ripulisci di tutto il dolore, sudore, e purtroppo magari anche sangue che hanno generato, ti accorgi che la loro forza era nell'aver in qualche modo, magari anche sbagliato, coagulato le grandi aspirazioni di libertà e di amore che sono dentro tutti noi. Libertà e amore (comunione) sono due, sono il motore di tutto ciò che si muove. Siamo aperti al mondo, accoglienti, quando queste due forze - forze semplici, familiari, di cui tutti intuiscono i contenuti anche se non sanno verbalizzarli - sono vivi dentro di noi, e li sappiamo vedere nel piccolo mondo intorno a noi, prima ancora che nel grande mondo. Koinonia è per me il piccolo mondo dove ogni tanto la poesia irrompe, libertà e amore prendono il sopravvento, e mi accorgo che il nuovo mondo è già qui.
Che probabilmente è solo colpa mia se non lo vedo e non lo assaporo più spesso.
E' l'intravedere questi valori che attira i giovani d'oggi verso il movimento per la pace. Il che dà a chi fa da punto di riferimento o di coagulo una grande responsabilità. Ho letto recentemente il giudizio severo di Enzo Bianchi che riferendosi ad alcuni personaggi che appaiono come i leaders dei pacifisti, dice "Non si tratta di maestri: sono voci critiche che incanalano un dissenso. I testimoni di una volta scrivevano, lasciavano un'eredità. Ora invece il
mondo dei mass media crea facilmente i suoi idoli e altrettanto presto li dimentica; si tratta di personaggi privi di eloquenza, che appaiono soltanto; tutti li applaudono, ma qual è il loro messaggio?"
Credo che questo giudizio sia un po' ingeneroso, ma purtroppo è indubbio che c'è una grande carenza di maestri e testimoni veri, che ci facciano gustare la bellezza, la poesia di un mondo che c'è già.
Forse questa difficoltà nell'identificare i maestri, i leaders, i testimoni nasce anche dal fatto che - come ha scritto John Berger - dall'11 settembre in poi ci hanno rubato le parole. Giustizia, pace, democrazia, terrorismo, violenza, guerra, non hanno più il significato che avevano qualche anno fa. Spesso vogliono dire il contrario. Per mantenerci liberi, capaci di interpretare veramente cosa sta succedendo, dobbiamo capire cosa si nasconde dietro alcune
parole chiave. Se gli oppositori diventano tutti terroristi, se la guerra di conquista diventa guerra preventiva, se la volontà di dominio diventa ingerenza umanitaria, se la reazione ad un atto terribile come quello compiuto l'11 settembre è "consumate per continuare a far girare l'economia", dobbiamo stare attenti, il rischio è che noi tutti da persone umane diventiamo solo consumatori e clienti del supermercato globale. E quelli che percepiamo come leaders sono solo i personaggi scontati di un gioco che ci vuol manipolare.
Noi viviamo di segni. I terroristi dell'11settembre ne erano perfettamente consapevoli. Nella loro azione non si sono limitati ad ubbidire. Avrebbero potuto far cadere gli aeroplani su qualsiasi anonima città americana magari causando più morti. Ma hanno creato un evento simbolico, colpendo, o cercando di colpire i centri del potere economico, militare e politico di quello che era da loro percepito come l'impero del male.
Tutto può diventare segno. A volte un hamburger è solo un hamburger, a volte è il segno visibile della reale o immaginaria compartecipazione al mondo globale. Anche noi dobbiamo porre dei segni che esprimano al di là di ogni dubbio che riconosciamo gli altri come persone, che rispettiamo i diritti umani, che siamo per la crescita integrale di tutti i popoli e di tutte le culture. Noi cambiamo il mondo con gesti grandi e piccoli. Tendendo la mano ad un amico, scavando un pozzo, curando un malato, coltivando un campo, riparando un computer, accarezzando un
bambino che piange, fermandoci sull'autostrada ad aiutare chi è coinvolto in un incidente. I nostri gesti, il nostro lavoro, i nostri progetti hanno un valore che va al di là della loro pura materialità.
Quando sono posti consciamente cambiano il significato della nostra vita personale e del mondo che ci circonda.
E' un gesto anche riconoscere umilmente il valore di ciò che gli altri fanno. Riconoscendo per esempio che la suorina Africana che cura i malati di AIDS da dieci anni in un ospedale dove i pazienti sono quasi tutti musulmani, sempre sorridente, sempre pronta a correre quando è chiamata, ha capito molto meglio di me, che magari discetto di Tobin tax e di scontro di civiltà, cosa vuol dire andare incontro agli altri, e quindi democrazia e diritti umani.
In particolare io credo che quelli fra noi - come me e molti di voi - che cercano di essere cristiani, abbiamo nella nostra comunità una ricchezza enorme di segni potenti, che hanno la potenzialità di controbilanciare efficacemente i segni della società dei mass media.
Se il mangiare insieme un hamburger può essere un segno, quale segno può essere più forte che il radunarsi insieme intorno alla stessa mensa di Huti e Tutsi che, mentre altri individui della loro gente si stanno scannando, mangiano lo stesso Corpo e bevono lo stesso Sangue, e recitano il Padre Nostro tenendosi per mano?
Ogni nostro gesto deve essere un segno trasparente di che "un mondo diverso" è già qui.
Il cristianesimo è basato sull'incarnazione. Da che Dio è diventato carne, le persone partecipano della vita di Dio. Ed è la religione più concreta di questo mondo, che ci indica una possibilità infinita di gesti concreti. Ci dice "beati i costruttori di pace", "ama i tuoi nemici e prega per quelli che ti perseguitano", "vinci il male con il bene", "è meglio dare che ricevere". Altro che non violenza attiva. E questi non sono principi astratti, utopie da vivere in un mondo che non c'è. Mi basta uscire di casa, anche qui a Riruta, periferia di Nairobi, e trovo persone
semplici che li vivono. I momenti di poesia come quelli del 18 novembre nella Koinonia di Lusaka che la vita ci regala sono l'espressione della realtà, non ombre cinesi di un mondo irraggiungibile.
La Pasqua ormai non lontana ci fa vedere la poesia più bella: la Vita che ha vinto la morte. Il mondo nuovo è già qui.
Padre Kizito
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Diario dalla Zambia
di Padre Kizito
Ho trovato il progetto Mthunzi (1) che cresce bene, i bambini contenti e impegnati. Ce ne sono 5 nuovi. L'ultimo è arrivato qualche giorno prima della mia visita. Hanno visto questo bambino piccolissimo, forse di 5 anni, entrare nel cortile e guardarsi in giro spaesato, sul punto di scoppiare a piangere. Gli hanno chiesto che cosa volesse, e lui ha raccontato che la mamma lo ha accompagnato fino al ponticello alla base della collinetta su cui c'è la nostra casa,
lo ha salutato dicendogli che non lo avrebbe più rivisto e gli ha detto: "adesso vattene via, va in quella casa, troverai delle persone che ti aiuteranno e ti vorranno bene". Poi se ne è andata. Da dove venivano? Da lontano, hanno camminato tutta la mattina, ed erano partiti molto presto, ma la mamma cammina adagio, perché è molto malata; Chokepo parla solo Chitumbuka, una lingua di una piccolo popolo molto lontano da Lusaka. Ci vuole poco ad immaginare cosa faccia sua mamma a Lusaka, e di che cosa sia malata, probabilmente morente.
Pochi giorni dopo guardavo Chokepo (lo hanno chiamato così, come si fa in Africa, dove un avvenimento forte di dà il nome, chokepo vuol dire "vattene via") giocare al pallone con gli altri, pensavo a quella mamma che ha avuto tanta fiducia in noi, alle centinaia di bambini in Zambia, altre centinaia in Kenya, altre migliaia (senza
esagerare) in Sudan che Amani e i sostenitori di Amani aiutano ad avere una vita serena, e a poter guardare al futuro con speranza. Abbiamo una grande responsabilità. Ne siamo consapevoli e facciamo questa azione insieme all'altra fondamentale azione, che è l'impegno a cambiare la società.
Lo dico sempre, ma ripeterlo fa bene anche a me. Un'azione senza l'altra non avrebbe senso. Se gli educatori di Mthunzi avessero detto a Chokepo "ci spiace, non c'è posto per te, ma non preoccuparti perché ormai con la nostra azione politica e sociale siamo vicini a costruire il nuovo mondo possibile e fra cinque anni non ci saranno più problemi per te e per tutti i poveri" sarebbero stati a dir poco degli irresponsabili. Ma lo stesso si sarebbe potuto dire se continuassero a fare azioni caritatevoli senza impegnarsi per il mondo nuovo.
(1) Il progetto: Il "Mthunzi Centre", è progetto educativo realizzato dalle famiglie della comunità di Koinonia di Lusaka (Zambia) a favore dei bambini di strada. Il Centro Mthunzi oltre ad accogliere 53 bambini di strada in forma residenziale curandone la crescita e l'educazione, è un punto di riferimento per la popolazione locale con il suo dispensario medico e con i suoi laboratori di falegnameria di avviamento professionale.
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