Voandalana
Resoconto di un viaggio iniziato senza sapere esattamente a cosa sarei andata incontro:
non avrei fatto la turista; per un mese sarei stata immersa in un mondo diverso di cui conoscevo le meraviglie naturali grazie alla televisione, ma della cui cultura non sapevo niente, se non le nozioni apprese al Corso di formazione per Volontari che ha preceduto la mia partenza.
È difficile per noi occidentali, tecnologici ed ecologisti, spiegare e far accettare le discipline agrarie che potrebbero aiutare nella gestione delle risorse alimentari. È quasi improponibile perché la coltura si scontra con la Cultura degli Antenati, con i molti riti e tabù che accompagnano la vita del popolo malgascio.
Mi rendo conto che la cultura Gasy è talmente antica e consolidata, talmente sfaccettata nei suoi aspetti, talmente diversa nel suo rapporto con l’uomo e la società che, a me, pensatrice occidentale, razionale e oramai inglobata in una cultura dove l’uomo ha una dimensione superiore e universale rispetto alla natura e ai suoi simili, è difficile parlare del poco che ho percepito cercando di rimanere assolutamente imparziale: sarebbe troppo facile tranciare giudizi o proporre soluzioni.
Le parole scritte ben si presterebbero a questo, ma non riesco ad usare quest’arma potente contro o a favore di un popolo la cui lingua esiste sulla carta solo da 150 anni e per volontà di altri!
E le parole dette con la bocca potrebbero uscire accompagnate da un sorriso di commiserazione, o peggio ancora, di superiorità…
Come parlare di un popolo nella cui lingua non esiste il verbo pensare e dove il mio cogito, ergo sum non ha spazio e risulta incomprensibile?
Le prime volte che ho visto camminare per le “strade” bambini e adulti mi sono sentita a disagio:
“questa è la Povertà ” ho pensato.
Poi con il passare dei giorni mi sono resa conto che non è povertà … non è solo povertà!
I miei scivoloni sul fango rosso, nonostante le comode scarpe, mi hanno fatto soffermare sui quei piedi …
piedi che la natura ha modificato per renderli adatti ad un ambiente bello ma ostile. Larghi, con la pianta poco arcuata, con delle grosse dita. Sicuramente più grandi dei nostri. Più forti, per sostenere il peso di un corpo abituato a sopportare grossi carichi sulla testa; a camminare sui sentieri della foresta, su e giù per i monti che dividono un villaggio dall’altro e a guadare corsi d’acqua …
i miei piedi calzati da scarponi da montagna non mi hanno evitato la slogatura di una caviglia!
Vedere la gente avvolta nei lamba e negli stracci mentre io ero infreddolita nel mio giubbotto imbottito, mi ha fatto ancora una volta fermare a guardare … a chiedermi che cosa c’era e cosa c’è "davvero" dietro i sorrisi dei bambini, degli uomini e delle donne che vivono senza le mie comodità.
Forse, davvero, non si esiste perché si pensa e si ha …
Forse, davvero, si esiste perché ogni giorno si affronta la vita, con la sua miseria, con la sua fatica…
con il sorriso e i piedi scalzi.
La curiosità che accompagnava i miei spostamenti con la macchina fotografica al collo e la richiesta gentile e sorridente di essere fotografata della gente che incontravo, il mettersi "in posa" che ha creato qualche difficoltà alla spontaneità, mi ha fatto prendere una decisione importante …
il mio senso d’impotenza e d’inadeguatezza avrebbe preso un’altra strada. Il mio volontariato si sarebbe concretizzato in immagini: per far conoscere un Popolo che non perde tempo a rincorrere il pensiero o le parole scritte; che vive la fatica d'ogni giorno senza lamentarsi perché anche gli Avi lo hanno fatto.
Le immagini che propongo non sono accompagnate da descrizioni o commenti personali.
Sono collocate in uno spazio e in un tempo definito e immutabile.
Hanno lo scopo di attirare l’attenzione su una vita diversa dalla nostra senza suscitare sentimenti di commiserazione o di superiorità.
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