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Diario da Beirut, n.8

Non è bello viaggiare?

30 maggio 2005
Marco Pasquini (Autoproduzioni Abbasso il GradoZero)

La famiglia di Abu Maher Youssef è uscita dalla Palestina durante il
grande esodo del 1948; lui aveva due anni e per lungo tempo una tenda è
stata la sua casa. Da allora vive in Libano, da poco dopo a Beirut, dal
1987 nel cortile del Gaza Hospital a Sabra: un mostro di cemento armato in
una posizione di centrale importanza per la zona, della quale fornisce
un'impressionante visione panoramica.
La sua bottega si affaccia sul cortile del vecchio ospedale palestinese;
l'edificio porta con sé i segni del passato, evidenti sulle facciate i
fori lasciati dal fuoco delle armi, i muri distrutti sono stati nel tempo
ricostruiti da chi progressivamente lo andava ad abitare. Stanze
affacciate all'esterno per la mancanza di pareti sono divenute case, gli
occupanti sempre più numerosi una comunità, il palazzo un campo profughi,
mentre i vuoti architettonici si colmavano di cemento e mattoni, risultato
evidente e irregolare dell'auto-costruzione.

Sei mai stato sul tetto? mi chiede un pomeriggio Youssef, era uno dei
primi giorni che passavo di lì; così tira fuori dalla tasca dei pantaloni
un mazzo di chiavi con le quali apre una porta che da sul pianerottolo e
iniziamo a salire. Un profondo labirinto di scale e corridoi nel quale lo
spazio privato si separa da quello pubblico per mezzo di tende, lame di
luce rischiarano a tratti gli oscuri passaggi dai quali i bambini appaiono
e scompaiono giocando, nel rimbombo cupo e continuo delle loro voci e
rumori.
Dal tetto Abu Maher indica lontano.

Questa è la strada di Sabra, da questo lato c'è il Gaza Hospital e in
fondo dall'altra parte Al Rihab, poi il campo di Chatila dove è avvenuta
la strage guidata da Sharon nel 1982.
In fondo a questa strada c'è stata la strage e le vittime sono state
moltissime, sia libanesi che palestinesi.

Poi Youssef raggiunge la balaustra dall'altro lato della terrazza, io lo
seguo e questa volta indica in basso, verso il cortile dove abita e sul
quale mi affaccio.

Io faccio il barbiere, abito in questo palazzo che prima era il Gaza
Hospital, noi adesso siamo all'ottavo piano. Questo ospedale prima del
1982 funzionava molto bene, qui si facevano le operazioni chirurgiche più
importanti…era migliore dell'università americana.
Successivamente all'invasione israeliana e all'uscita dell'O.L.P. da
Beirut è iniziata la Guerra dei Campi, poi il saccheggio di tutte le
attrezzature e ogni cosa in questo ospedale; nel 1987 hanno bruciato tutto
il palazzo, noi che abitiamo qua prima avevamo le case nel campo a
Chatila e prima ancora a Tall El Zaatar.

Lo spazio dove Youssef vive è un luogo di incontro e passaggio, il centro
fisico dello stabile che da lì si eleva e incombe: la sua famiglia ha
spesso visite, tra un taglio di capelli e una rasatura di barba il lavoro
sporadico lascia il tempo alla socialità del ritrovo e dei racconti.
Nella sua casa sono sempre accolto, ormai senza la formalità dovuta agli
ospiti; passo il tempo sostando nella bottega o in cortile in compagnia
sua o dei figli, spesso proprio lì faccio incontri nuovi. Il nostro
rapporto e la sua disponibilità sono cresciuti nei giorni, così Abu Maher
è diventato uno dei protagonisti di "Incontri" nel quale ha coinvolto
anche Abu Jamal, suo amico e parente.
Un giorno ci sediamo in casa e Youssef ricorda quando i Fedayin sono stati
costretti a lasciare la città, la consapevolezza amara che la loro
partenza avrebbe reso i campi vulnerabili; erano i giorni precedenti il
massacro di Sabra e Chatila.

Quando l'O.L.P. è stato evacuato da Beirut l'esercito israeliano era a
Kalde, Arafat aveva chiesto garanzie per la sicurezza dei campi e i
governi libanese e israeliano le avevano garantite firmando un accordo
internazionale.
Il 15 di settembre è stata una sorpresa vedere l'esercito israeliano
entrare a Beirut Ovest, hanno preso posizione all'ambasciata del Kuwait.
Bashir Gemayel, in quel periodo, è stato eletto presidente del Libano ma
dopo poco è stato ucciso, quel giorno gli israeliani sono arrivati fin qua
sotto dalla strada principale. La gente ha cominciato a scappare dal campo
di Chatila verso Sabra…quello che abbiamo visto nelle stradine del
campo…tutti quei morti, bambini, donne e vecchi, nessuno di loro era
armato.
il 15 settembre se mi ricordo era un giovedì, la strage c'è stata nel
giovedì, venerdì e sabato; in quei giorni gli israeliani sono arrivati
fino alla piazza di Sabra e al Gaza Hospital, che prima dell'invasione
lavorava normalmente, e sono entrati nell'ospedale…

Sto registrando e Youssef mi guarda dritto negli occhi quando parla, come
potessi capire la sua lingua. Cerco il senso nel suono della voce, Abed è
con noi e mi spiega: sta parlando delle esecuzioni nello stadio di Sabra,
delle persone sequestrate che non sono più tornate.
Ora il tono si fa confidenziale, Abu Maher vuole dirmi come la pensa e il
risentimento prende sfogo.

Ti dico che chi ha compiuto la strage lo ha fatto con la certezza che gli
arabi non avrebbero fatto nulla…non il popolo arabo ma i capi dei governi
con il loro silenzio, sono anche essi responsabili di quanto è accaduto.
Basta osservare quanto sta succedendo in Palestina: Sharon ha violato le
risoluzioni dell'O.N.U., calpestando diritti umani e legalità
internazionale.

Anche Abu Maher ha abitato a Chatila fino alla Guerra dei Campi, quando le
milizie libanesi di Amal hanno tenuto Sabra, Chatila e Burj el Barajneh
sotto assedio per mesi consecutivi. Come gli altri ha vissuto per molto
tempo in un rifugio, in totale mancanza di acqua e cibo. Costretto alla
fame il popolo palestinese ha comunque resistito, pagando grandi perdite
non si è arreso nonostante la disparità dei mezzi. Le fontane per l'acqua
potabile erano fuori dal campo e il gioco preferito dei cecchini era il
tiro al bersaglio nelle loro vicinanze. Il figlio di Youssef è morto così,
mentre trasportava una tanica di acqua sulla testa.
Su una mensola in bottega, sopra lo specchio di fronte la poltrona da
barbiere, ha una sua piccola foto, montata su una tavoletta di legno con
inciso il nome del profeta Mohammed; Youssef la prende in mano e
portandola vicino l'obiettivo me la mostra.

Questa è la foto di mio figlio Maher che è morto nella Guerra dei
Campi…Dio se l'è preso nel campo a Chatila, dove c'era un conflitto con le
milizie di Amal. Lui è stato colpito in quella battaglia, ora è sepolto
nella moschea all'interno del campo. È diventato martire nel 1987, aveva
13 anni…se fosse vivo adesso ne avrebbe 32 o 33.

La tavoletta la ha incisa lui, prendendola da una delle cataste di legna
nell'angolo di cortile adibito a laboratorio, sotto la tettoia…sì, perché
Abu Maher arrotonda lo stipendio facendo il falegname, aggiustando e
costruendo mobili su commissione con materiali poveri e fattura grezza.
Il grande rammarico di Abu Maher è il futuro dei figli, gli piacerebbe
molto potessero studiare in una buona università, girare il mondo e
tornare in Palestina.
Lui da giovane ha vissuto in Germania, dalla quale è tornato dopo il
massacro di Tall El Zaatar per seppellire i morti della sua famiglia, mi
guarda e sorride sapendo di trovare consenso, non è bello viaggiare?!?

Kinoki mrc
da Beirut, 30 maggio 2005

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