Genitore: colui che dà la vita a un proprio simile
I vostri figli non sono vostri figli. Sono i figli e le figlie della sete che la Vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri. Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani,che non vi sarà concesso di visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato, voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere; poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.
Da Il Profeta di Kahlil Gilbran.
Non in tutti i Paesi che ho visitato la scuola è obbligatoria e gratuita, almeno per i primi dodici anni.
Soprattutto nei villaggi lontani dai centri abitati c’è un’altissima percentuale di assenza. Le immagini dei bambini che percorrono a piedi anche venti trenta chilometri al giorno sono legate a un problema ancora più grave: nei loro villaggi, probabilmente non c’è da lavorare per loro e la scuola offre il nutrimento al corpo, oltre che alla mente.
Più aumenta la mia conoscenza e il mio amore per quei luoghi, più mi rendo conto che la situazione non è facile: il desiderio delle cose e del benessere occidentale cresce lentamente, ma, comunque, non di pari passo con la consapevolezza che non potrà essere esaudito da una società praticamente immobile.
Ecco perchè ho iniziato citando Gilbran. È difficile essere genitori dei propri figli, riconoscerli come persone autonome nella loro crescita psicofisica. Tutelare il loro interessi e riconoscere i loro bisogni, soprattutto quando non collimano con i nostri sogni e i nostri desideri per il loro futuro. Adottare un bambino o un ragazzo a distanza è ancora più difficile. Pensiamo di poter dare un presente come quello che viviamo. Un futuro che ci eterni anche in altre parti del mondo. Così, con il passare del tempo, non ci accontentiamo più di una foto all’anno, di due letterine che molte volte sembrano scritte in serie. Iniziano i dubbi e i sospetti, indotti dalla nostra cultura, per cui solo il nostro modo di spendere il denaro è giusto. Solo il nostro stile di vita, solo i nostri bisogni, che non siamo più in grado di riconoscere come indotti dai media, sono degni di essere soddisfatti. Una signora è rimasta perplessa quando ha saputo che parte dei soldi che aveva inviato per la sua figlia adottiva erano stati usati in un modo, per così dire, improprio. Con vera felicità e ringraziamenti sinceri, la suora dell’istituto in cui Jennifer Chandra è ospitata, ha scritto per comunicare che, non appena ricevuto il bonifico, ha acquistato gli orecchini, i bracciali e la collanina d’oro. E un nuovo churidar, l’abito molto usato dalle giovani, con tunica e pantaloni. Nell’immaginario della buona signora quei soldi dovevano servire a nutrire un povero corpicino, una piccola mente. A cercare di sollevare da una miseria atavica, magari, la famiglia originaria.
Ma povera, laggiù, è chi non può permettersi un monile d’oro. Chi non può indossare una abito che tutti indossano. Chi tiene i fiori di gelsomino fra i capelli per più di due giorni.
Non si muore di fame in Tamil Nadu. Si muore di emarginazione. Si muore per soprannumero. Si muore per mancanza di alternative.
Essere genitore a distanza è dare gratuitamente, come gratuitamente dovremo dare ai nostri figli, qui. Troppe volte ho sentito discorsi del tipo: "io non faccio l’elemosina a quello lì o a quella lì, perché si compra le sigarette. O perché li usa in modo diverso da quello per cui io li do."
È la parte più difficile dell’amore: donare per pareggiare il diritto dell’altro di scegliere la propria vita.
Chi sceglie di adottare un bambino o un ragazzo, deve essere consapevole che Chandra o Tamendi o Maniandan saranno aiutati a sentirsi perfettamente uguali ai loro coetanei più fortunati. Integrati nella loro cultura che, così come la nostra, è fatta anche di apparenza che si vive come sinonimo di uguaglianza sociale. Deve essere consapevole che non potrà tirare fuori dal portafoglio, davanti ai conoscenti, con malcelata umiltà, una foto stropicciata da mostrare: "questo è il ragazzo che ho adottato". Sarà genitore vero: sarà arco di una freccia lontana che continuerà il suo percorso portandosi dietro un amore gratuito. Seguirà da lontano questo figlio o questa figlia che potrebbe non conoscere mai. Da cui riceverà una lettera con un grazie a Natale e una foto a giugno, con i risultati dell’anno scolastico. È un impegno adottare un figlio a distanza. Non si può abdicare dall’essere genitore perché il nostro amore, preferisco chiamare così la piccola offerta annua, crea aspettative importanti, speranze.
Essere genitore è dare la vita. Essere genitore è permettere la vita. Non essere un semplice, per quanto importante, elemosiniere. Essere genitore è il primo passo verso la tolleranza e l’accettazione del diverso. È il primo passo verso un mondo di pace, perché nessuno dimentica il bene che riceve e la propria esperienza di figlio diventa fiducia e storia bella da raccontare domani ai propri figli.
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