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Torino: "Young Words" la speranza dell'oggi più che del domani

Le parole dei giovani: ascoltiamole. Saranno il nostro futuro, se sappiamo ascoltare il loro presente
24 settembre 2005

Foto manifestazione Young Words Torino 2005

Uno staff composto da centinaia di giovani di buona volontà organizzati dalle Politiche giovanili e Cooperazione internazionale dell’amministrazione torinese, hanno dato vita allo YOUNG WORDS happening. La tecnologia dell’electronic Town Meeting (e-TM) ha sperimentato un metodo (per la prima volta in Italia) coinvolgendo nel vivo della discussione piccoli gruppi di giovani riuniti attorno ad un tavolo. La maggioranza ventunenne. Un 5% dai 32 ai 35. Ogni tavolo è stato dotato di compact, strumenti per le votazioni e traduzione simultanea. Oltre 1500 giovani ospitati. Il 70% provenienti dal Piemonte, ma il 10% dall’Europa.Il 20% distribuito tra gli altri continenti, Oceania compresa. Le difficoltà nel rilasciare visti d’ingresso, hanno impedito purtroppo un maggior afflusso.Scopo principale della manifestazione (22/24 sett.) la possibilità di scambio, confronto, partecipazione su tre temi importanti. Sviluppo e lotta contro la povertà. Informazione globale. Integrazione e identità culturale.Ospiti illustri hanno commentato i temi e hanno dato risposte a tutti gli interventi dei giovani partecipanti, grazie al sistema elettronico ben coordinato. Marina Ponti, responsabile per l’Europa della Campagna “No excuses 2015” (gli 8 obiettivi di lotta alla povertà che i “grandi” della terra si sono dati nel 2000 a Ginevra) ha sottolineato come la povertà non sia solo l’assenza di reddito, ma soprattutto la mancanza di partecipazione ai diritti umani, civili, dunque la negazione all’opportunità. E’ indispensabile un reale coinvolgimento delle popolazioni dei “grandi” per la realizzazione delle soluzioni. Il pianeta non può crescere totalmente com’è cresciuto l’Occidente, pena la distruzione. Occorre eliminare gli sprechi, ridurre i consumi, cambiare le tecnologie. Forse occorre cambiare anche gli stili di vita. A Nord come a Sud. Da contraltare abbiamo ottenuto dalla stragrande maggioranza dei giovani questa risposta: lo sviluppo è un processo che deve nascere dal basso. Interessante il responso fornito dopo l’intervento di David Randall, autorevole giornalista d’inchiesta e scrittore inglese, omologo del grande Kapuscinski quando afferma: “Il giornalista perfetto è colui il quale servirà la società meglio dei funzionari pubblici più zelanti, perché non farà gli interessi dello Stato, ma del cittadino. Informandolo, infatti, gli conferisce potere” Tant’è che, per il tema sull’informazione globale, i commenti della maggioranza hanno dichiarato che ogni cittadino deve trovare le informazioni “da solo” piuttosto che “imboccati” dai media e perciò è indispensabile mettere in discussione i punti di vista prevalenti del cittadino e non già quelli stabiliti dal sistema mediatico. Conclude la kermesse della giornata un tema assolutamente attuale e particolarmente delicato: l’integrazione e l’identità culturale. Sagge le parole di Ernesto Olivero che nel 1964, fondando il Sermig, disse “volevo abbattere la fame nel mondo” Nel ’64 furono parole illuminanti. Nel 2005 fanno amaramente sorridere. Ma lui non demorde e aggiunge “arrabbiatevi giovani quando vi dicono che voi siete il “nostro” futuro perché voi dovete urlare che v’interessa il presente non il futuro. Il futuro dipenderà esclusivamente da come vi permettono di gestire il vostro presente…!” Termina Tariq Ramadan, docente di filosofia e islamologia. Instancabilmente, da anni, impegnato nel dibattito internazionale tra Islam e Occidente.E’ stato consulente nel Parlamento Europeo, ora è stato invitato in Gran Bretagna come ricercatore e docente a Oxford. Il Time l’ha definito come uno dei cento innovatori del XXI secolo, ma di contro abbiamo molti che lo identificano ”predicatore dell’odio”. L’ultima dimostrazione è la stampa inglese e l’opinione pubblica che si divide sulla decisione di Tony Blair di invitarlo come consulente a un tavolo di lavoro contro l’estremismo e il terrorismo di matrice religiosa.. Oseremmo definire “curioso” il pensiero planetario sull’islamismo. Ramadan insegna “islamologia”.Materia universitaria a noi sconosciuta. Il suo intervento ci dimostra che ne avremmo un assoluto bisogno. Si ha la sensazione, infatti, di essere estremamente ignoranti su ciò che osiamo definire “integrazione” e “identità”. L’abbiamo intervistato. Le sue espressioni sono garbate, fluide, coerenti. Una coerenza che affascina. Dominante è l’assoluta perseveranza del rispetto dei diritti umani, subordinata a quelli civili, socio-politici: l’identità dell’uomo.Che ne pensa della Consulta islamica che il Governo Italiano vorrebbe istituire? “…potrebbe essere un’eccellente idea. Il problema è che la scienza per istituirla manca in assoluto. Quale potrebbe essere il criterio di formazione se non si conoscono le basi di attuazione? In questo momento l’Italia sta operando con “simboli”: il “bene” e il “male” secondo un ristretto, riduttivo, concetto. Espulso l’imam Bouchta da Torino, via la scuola islamica a Milano. Che senso ha? Nel primo caso non si consente a un uomo di potersi difendere, nel secondo, non si dà all’identità, sacra per ogni uomo, la possibilità di espressione. Sono il primo a pretendere l’integrazione, attuabile se fossimo realmente pronti a pensarci coraggiosamente, dal che la scuola islamica sarebbe superflua. Evidentemente se gli islamici milanesi hanno necessità di una scuola tutta loro, significa che Milano nulla sta facendo per ottenere lo scopo, ossia per accettare, o almeno tentare di farlo, un’identità diversa. Come si può parlare di integrazione e identità culturale con questi sistemi?” La “parola dei giovani” emana il verdetto. Per oltre il 50%: occorre più integrazione culturale, occorre fornire agli immigrati una posizione socio-economica adeguata. Purtroppo solo il 5% ritiene che questi uomini immigrati debbano avere più tutela legale nei loro diritti e ben il 12% dichiara (il voto era anonimo) che non …li tollera proprio. Un’ombra di delusione nelle parole di Tariqi Ramadan, ma una coraggiosa speranza nel suo sguardo.
Nadia Redoglia

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