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Posta elettronica spiata e repressione

Privacy, il caso Yahoo! divide i "guardiani" dei diritti

Polemiche dopo la vicenda del dissidente cinese condannato a dieci anni. In Italia le proteste più dure, ma Amnesty frena
25 settembre 2005
Riccardo Staglianò (Repubblica)

Boicottare Yahoo!, il "volenteroso carnefice" dei censori di Pechino? Dopo che il grande portale internet ha consegnato su un piatto d'argento un giornalista dissidente alle autorità cinesi che poi l'hanno condannato a dieci anni di carcere, i gruppi di difesa dei diritti umani si dividono sul da farsi. La condanna è unanime, è chiaro. Ma la reazione sembra più flebile che in passato.

Al che qualcuno, come Reporters sans frontières, denuncia un doppio standard: "Si tende a credere che le compagnie della new economy siano più "simpatiche" ed etiche delle altre, ma non è così". Un'accusa che sia Amnesty International che Human Rights Watch smentiscono: "Il caso del cronista Shi Tao ha per noi una priorità assoluta. Forse dobbiamo solo cominciare a pubblicizzare meglio la nostra attività".

L'opinione pubblica più arrabbiata sembra essere quella italiana, con i membri di Magistratura Democratica che daranno l'esempio non servendosi più delle mailing list di Yahoo! mentre l'associazione Peacelink chiede ai dipendenti italiani del provider di dissociarsi e offre una casella di posta elettronica gratuita in sostituzione di quella della compagnia californiana.

Nel resto del mondo lo sdegno resta, per lo più, teorico. "Le associazioni tradizionali - ammette da Parigi Julien Pain, responsabile internet di Rsf -, abituate a compagnie ree di sfruttamento di bambini o di danno ambientale tendono a non attivarsi quando si tratta di dot. com, con la loro aura di giovanilismo e pulizia". Anche se il loro scopo è identico alle altre: fare soldi. Un obiettivo che, nella Cina in turbo-crescita con solo l'8% della popolazione online ma dove entro il 2009 è atteso il sorpasso sugli internauti statunitensi, sul web è particolarmente realistico. Rsf ha scelto quindi di usare proprio la leva economica: spingere sugli azionisti, i grossi fondi di investimento, perché "insegnino" a Yahoo! una maggior sensibilità.

Che le aziende internettiane continuino a godere di una migliore reputazione sui diritti umani non fa fatica ad ammetterlo neppure Abbie Wright, specialista di Asia del Committe for protecting journalists, che pure resta ottimista: "Internet è incensurabile. L'arresto di Shi Tao non ha rallentato gli scambi di materiali proibiti. Proprio ieri, tuttavia, abbiamo appreso di un'altra condanna a 7 anni per il giornalista Zheng Jichun". Non vale la pena alzare la voce? "Questo di Yahoo! è un caso nuovo per il ruolo centrale che la compagnia sembra aver avuto, dobbiamo ancora capire come affrontarlo".

In verità la lista si allunga, e le pene diventano sempre più pesanti. "Nessun trattamento preferenziale perché si tratta di un'impresa americana - assicura da New York Mickey Spiegel, specialista di Cina per Human Rights Watch - già tre anni fa, quando Yahoo! firmò l'accordo con Pechino, scrivemmo al suo amministratore delegato esprimendo tutta la nostra preoccupazione. Chiedemmo alle compagnie straniere di coalizzarsi contro quel tipo di richieste, invano. Abbiamo fatto molte cose, ma forse è il caso di comunicarle meglio". Nel boicottaggio non credono: meglio una Yahoo! imperfetta che lasciare il monopolio di internet ai provider cinesi, di certo più occhiuti.

Una strada che neppure Amnesty sembra considerare: "La responsabilità di Yahoo! sembra molto grave ma va ancora accertata pienamente - dice da Londra Corinna-Barbara Francis -. Il nostro stile è raccogliere informazioni e renderle pubbliche. Ciò non toglie che potrebbe essere più che legittimo che altri scelgano modalità più combattive e militanti". Come hanno fatto i magistrati e i pacifisti italiani.

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