Un referendum che riguarda l'umanita' intera. 4
La nonviolenza e' in cammino. 1052 - 13 settembre 2005
Dal dire al fare
E' dall'inizio della storia, della storia delle uccisioni e delle guerre,
che si parla di disarmo.
Piu' cresce la potenza distruttiva delle armi e piu' si chiacchiera - ma si
chiacchiera solo - di disarmo: interminabilmente, fumosamente, inanemente.
Piu' orribili divengono le guerre, e piu' si convocano conferenze per il
disarmo, il cui esito nove volte su dieci e' finire in recriminazioni e
reciproche accuse, mentre il riarmo cresce e cresce ancor piu', e sempre
piu' l'apocalisse incombe sull'intera civilta' umana.
La guerra uccide, il disarmo resta chiacchiera da salotto, o partita a
scacchi: cominciare a disarmare io? No, comincia tu. E non comincia nessuno.
Strage dopo strage, orrore dopo orrore. Il piu' delle volte sono gli stessi
assassini che dismesso per un poco il grembiale del macellaio e insaccatisi
in compite gramaglie dal palco alti levano lai ai funerali dei figli della
patria, o recitano le geremiadi piu' appassionate e le piu' umide
perorazioni nei congressi per la pace; poi via di corsa che la macelleria
non puo' attendere, tanto e' lucroso affare lo spaccio di carne umana.
In Brasile accade invece un miracolo. Il governo (dico: il governo, il
presidente della repubblica in persona) lancia una campagna per il disarmo
invitando i cittadini a consegnare le armi da fuoco alle autorita' affinche'
siano distrutte. In un anno si salvano piu' di tremila vite umane, si
rovescia la tendenza per tredici anni costantemente in crescita delle
persone uccise da armi da fuoco (ogni anno un'ecatombe, in quel paese).
Ma non basta: chiede al popolo di votare: volete che sia proibito il
commercio delle armi?
Che tradotto in buon toscano significa anche: Volete salvare migliaia e
migliaia di vite umane? Volete poter vivere anziche' morire? Volete
disarmare gli assassini? Volete dare una mano per migliorare l'umanita' e il
mondo, che e' la nostra casa comune, l'unica che abbiamo?
E il 23 ottobre si vota, ed e' la prima volta nella storia dell'umanita' che
un popolo prende nelle sue mani una decisione cosi' cruciale e puo' decidere
di farla finita con gli omicidi, puo' decidere di indicare una via di
salvezza per l'intero genere umano: il disarmo, la gestione nonviolenta dei
conflitti, la convivenza - la civile convivenza, l'umana convivenza - come
metodo e come sistema.
Dobbiamo sostenere le nostre sorelle e i nostri fratelli che in Brasile in
queste settimane stanno cercando di far sapere a tutte e tutti la verita' di
Abele e di Caino, stanno impegnandosi affinche' vinca il si' all'umanita',
il si' al dirittto a vivere, il si' al disarmo; dobbiamo metterci anche noi
al servizio del popolo brasiliano che in questo momento, con questa
decisione, puo' fare un dono grande all'umanita' intera.
E dunque chiunque puo' fare qualcosa di buono e quindi di utile, agisca: per
far crescere anche qui e ovunque l'informazione e la coscientizzazione; per
raccogliere e inviare aiuti materiali alla campagna brasiliana per il si'.
Adesso.
Per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano si puo'
contattare Francesco Comina
in Italia e padre Ermanno
Allegri in Brasile (sito: www.adital.com.br).
Molte utili informazioni sono reperibili nel sito www.referendosim.com.br.
In queste settimane il nostro foglio ospitera' le dichiarazioni di sostegno
al si' al referendum brasiliano delle persone che avranno la bonta' di voler
intervenire, le sollecitiamo e le ringraziamo tutte fin d'ora.
Anna Bravo: Sì
[Ringraziamo Anna Bravo per questo intervento. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003]
Il referendum del 23 ottobre si fonda su argomentazioni forti, come l'uso
delle armi da parte di organizzazioni criminali, come il carattere
"umanizzante" che ha storicamente avuto il passaggio al monopolio statale
della forza.
Fra le osservazione dei promotori che mi hanno colpito di piu', insieme ai
dati sulle morti per arma da fuoco, c'e' la domanda finale: volete un paese
dove ogni giorno 108 persone vengono uccise, o un paese che valorizza la
vita e cerca soluzioni collettive attraverso la sicurezza pubblica?
Secondo gli oppositori del referendum, invece, la proibizione e' tipica
delle dittature, che disarmano i cittadini e armano le proprie milizie -
l'esempio citato e' il III Reich... Ma qui e' necessaria qualche
precisazione.
In primo luogo, e' noto che alla persecuzione degli ebrei e alla dissuasione
dal portare loro aiuto, provvedeva la burocrazia del terrore - Gestapo,
polizia ufficiale, e "servizio di sicurezza" delle SS - che aveva steso su
tutta la societa' una rete di sorveglianza resa ancora piu' spaventosa
dall'atmosfera di mistero, dalla segretezza delle procedure, dalla gamma
amplissima delle accuse e dalla loro vaghezza. In secondo luogo, e' ovvio
che fra totalitarismi e democrazie c'e' un abisso, ma quell'abisso ha
origine prioritariamente nella distruzione delle strutture della coesione
sociale: in Germania, citta' e campagne pullulavano di club sportivi,
religiosi, patriottici, amatoriali, di associazioni filantropiche, di
cooperative di consumo e di mutuo soccorso. All'inizio del 1933 nella
cittadina di Nordheim c'erano 161 diversi club (uno per ogni sessanta
abitanti), 161 luoghi dove stare e agire insieme, crearsi giudizi su fatti e
persone, cercare soluzioni collettive. Entro la fine del 1933, tutte le
associazioni della socialdemocrazia vengono eliminate; delle societa' e club
non di partito, alcuni sono sciolti, altri riassorbiti nelle organizzazioni
naziste, praticamente tutti finiscono sotto controllo. Nella nuova societa',
non devono piu' esistere gruppi sociali indipendenti ne' rapporti fra
individui, se non attraverso l'intermediazione dello Stato e del dirigente
nazista che lo incarna. "Non c'era piu' vita sociale; non si poteva neanche
avere una bocciofila", racconta un protagonista del libro di William
Sheridan Allen sui metodi di radicamento del partito. All'individuo non
restano che i rapporti obbligati e massificati nelle organizzazioni di
regime. Le armi non c'entrano.
Fra le argomentazioni pro-abolizione, vorrei riprenderne una, di Dacia
Maraini, sul rischio di delitti privati. Nessuno di noi e' al riparo
dall'esplosione di collera, dal cortocircuito fra minaccia (o aggressione)
subita e reazione violenta, dalla voglia di far male che scatta davanti alle
ingiustizie e alle crudelta' commesse contro i piu' deboli o contro chi ci
e' piu' caro. Non ci possiamo mai permettere di dimenticare che il tasso di
violenza diffuso puo' contagiare chiunque; e che si realizza non sotto forma
di raptus, termine abusato e deresponsabilizzante, ma come reazione
all'insopportabilita' di un gesto o di una situazione, e da questo trae una
sua aura di legittimita'.
Allora avere un'arma oppure no diventa decisivo, perche' la violenza in cui
possiamo cadere sia il piu' possibile limitata e reversibile. Almeno questo.
Penso alla violenza politica, ma non solo.
Ricordo che in un ciclo di lezioni qualcuno aveva detto a Gianni Sofri che
l'India era stata la terra della nonviolenza perche' il tasso di
distruttivita' era basso; e che Gianni aveva risposto: "al contrario, era
alto, e proprio per questo era stato importante lavorare per una coscienza
diversa". In fondo, in una societa' storicamente mite, che bisogno ci
sarebbe di predicare la mitezza?
Per questo hanno ragione i promotori del referendum a parlare di scelta fra
due modelli.
Nadia Cervoni: Sì
[Ringraziamo Nadia Cervoni per questo intervento. Nadia Cervoni e' impegnata nelle Donne in nero ed in numerose iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza; dal 2002 e' impegnata particolarmente sulla questione kurda/turca. Opere di Nadia Cervoni: con Liana Bonelli, Teresa Quattrociocchi, Micaela Serino (a cura di), Con la forza della nonviolenza. Voci di donne curde e turche, Promograph, Roma 2002]
Abolire il commercio delle armi da fuoco! La cosa e' talmente grandiosa che
il mio si' mi si strozza in gola. Grandiosa e necessaria per un'umanita'
dolente che vuole continuare ad avere voce. Accade in Brasile con il primo
referendum nella storia sul commercio delle armi. Se il referendum passera'
la giornata del 23 ottobre sara' un segno indelebile a cui non si potra' non
fare riferimento. Una striscia di futuro importante per tutti e tutte noi.
Il pensiero va a Gerusalemme da dove sono tornata di recente e dove accade
di camminare tra pistole infilate nella cinta e lambite dall'abbraccio di
bimbi attaccati ai pantaloni dei loro papa', e fucili a tracolla, qualche
volta anche due insieme, portati da giovani, ragazzi e ragazze; ogni tanto
una sosta per un saluto tra amici, pacche sulla spalla e il fucile dondola,
soste sul muretto e il fucile si appoggia. Mi sfiora la canna di un fucile,
come evitarla! Mi blocco, ho i brividi, "attenta, e' armato, e' armata".
Chi, dove, quanti sono?
Cominciamo dal Brasile, ma cominciamo veramente!
Angela Dogliotti Marasso: Sì
[Ringraziamo Angela Dogliotti Marasso per questo intervento. Angela Dogliotti Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, svolge attivita' di ricerca e formazione presso il Centro studi "Sereno Regis" di Torino e fa parte della Commissione di educazione alla pace dell'International peace research association; studiosa e testimone, educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il saggio su Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999; con Maria Chiara Tropea, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003; Con Elena Camino (a cura di), Il conflitto: rischio e opportunita', Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004]
La Camera Federale brasiliana ha approvato il 6 luglio scorso il decreto
legislativo 1274/04, del Senato Federale, che autorizza una consultazione
popolare sul commercio delle armi da fuoco in Brasile. Pertanto, il 23
ottobre prossimo tutti i cittadini e le cittadine brasiliani tra i 18 e i 70
anni saranno chiamati a votare si' o no al seguente quesito referendario:
"Il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere proibito in
Brasile?" (vedi anche in proposito la lettera di Beatriz Cruz comparsa sul
n. 28 dell'8 settembre scorso di "Nonviolenza. Femminile plurale").
Sara' il primo referendum della storia del paese, nonche' il primo al mondo
su questo tema.
Sono andata a cercare sul sito www.referendumsim.com.br alcuni materiali
relativi al dibattito intorno a questa iniziativa e ho trovato una scheda
che argomenta alcune ragioni per votare si'.
Mi sembra che offrano spunti importanti e possano essere occasione di
riflessione anche per noi.
Eccone alcuni.
Nel 2003 in Brasile ci sono stati 108 morti al giorno per armi da fuoco
(circa 40.000 in un anno) e le armi da fuoco sono la prima causa di morte
tra i giovani maschi del paese.
Dei 17,5 milioni di armi che circolano in Brasile, il 90% e' posseduta da
civili.
Tenere armi in casa aumenta i rischi, anziche' la sicurezza. Infatti, da
studi effettuati, emerge che:
- due bambini tra 0 e 14 anni restano feriti accidentalmente ogni giorno;
- quando c'e' un'arma in casa, sono piu' le donne presenti in famiglia a correre il rischio di essere ferite di quanto non lo sia un ladro: il 44% degli omicidi commessi nei confronti delle donne avvengono con armi da fuoco e i due terzi dei casi di violenza contro le donne hanno come autore il marito o il compagno;
- in caso di assalto a mano armata, la reazione armata aumenta il rischio di morte, come evidenzia una ricerca realizzata nello stato di Rio de Janeiro (la possibilita' di morte in caso di reazione armata e' di 180 volte superiore; quella di essere feriti e' di 57 volte superiore).
Le leggi sul controllo degli armamenti aiutano a diminuire i rischi per
tutti. In Australia, a cinque anni dall'entrata in vigore di una legge che
proibisce la vendita di armi da fuoco il tasso di omicidi e' calato del 50%;
uno studio Unesco pubblicato nel 2005 mostra che Australia, Inghilterra e
Giappone, dove le armi sono proibite, sono tra i paesi del mondo in cui si
muore meno per armi da fuoco, mentre gli Stati Uniti (vedi anche la denuncia
di Michael Moore), uno dei paesi in cui il commercio delle armi e' piu'
libero, sono anche uno dei paesi piu' violenti.
Proibire il commercio delle armi e' certamente solo il primo passo. Da solo
non risolve certo i problemi della criminalita'. Ma e' un passo fondamentale
nella direzione di una societa' piu' sicura.
Bisogna poi continuare a lavorare per stabilire dei trattati internazionali
sul controllo degli armamenti, migliorare il modo in cui si amministra la
giustizia (e lo stesso concetto di giustizia in ambito penale), cosi' come
e' fondamentale affrontare alla radice il problema delle disuguaglianze e
dell'ingiustizia sociale.
Mi pare che simili considerazioni valgano anche non solo per le nostre
societa' ma per l'intero sistema delle relazioni internazionali, se vogliamo
muoverci verso un futuro di riduzione dei sistemi offensivi, di transarmo e
di difesa civile non armata e nonviolenta come alternative alla guerra.
Giuliano Falco: Sì
[Ringraziamo Giuliano Falco per questo intervento. Giuliano Falco, nato nel 1958, impegnato per i dritti, la solidarieta', la convivenza, la pace, e' insegnante di sostegno per scelta e promuove iniziative volte a migliorare l'inserimento e l'integrazione delle persone diversamente abili e degli alunni stranieri; opera altresi' nell'ambito dell'intercultura, favorendo processi di convivenza con le comunita' straniere nella zona di Albenga dove vive e lavora; ha fondato e dirigo un centro a questi fini; cultore di archeologia, ha realizzato un percorso per non vedenti all'interno del Civico Museo Storico Archeologico di Savona; collabora con diversi siti e fa parte della redazione del Didaweb, un portale che lavora per una "scuola come territorio di incontro tra le culture, per la condivisione dei diritti e la valorizzazione delle differenze"]
Il 23 ottobre si svolgera' in Brasile il referendum contro il commercio di
armi, munizioni e accessori.
Nel paese le armi "per difesa personale" sono innumerevoli, cosi' come le
vittime: la popolazione del Brasile costituisce il 3% della popolazione
mondiale, ma il numero delle persone uccise rappresenta l'8% della stessa
popolazione. Nel 2004, senza che vi sia stato un conflitto, si e' registrato
un morto ogni 15 minuti... bastano questi dati per capire l'entita' del
fenomeno. E per comprendere come mai si tenga un referendum.
Sarebbe interessante comprendere quale parte ha l'Italia, con le sue
prospere industrie di morte, in questo enorme mercato, soprattutto dopo la
revisione della legge 185/90 operata dal governo in carica, senza tenere in
considerazione alcuna le richieste nonviolente e pacifiste.
Ma torniamo al referendum che e' basato su un solo, inequivocabile, quesito:
"il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere proibito in
Brasile?".
Anche gli schieramenti sono inequivocabili: da una parte alcuni potentati
economici, settori dell'opposizione di destra al governo Lula. Dall'altra, i
movimenti pacifisti, le organizzazioni non governative, i movimenti per i
diritti umani e di base, le Chiese brasiliane.
Il problema, per lo schieramento che sostiene il si', e' raggiungere la
popolazione, una "maggioranza dei cittadini, ma una maggioranza difficile da
raggiungere" come scrive Francesco Comina, "perche' e' una maggioranza di
'esuberi', come vengono definiti i poveri piu' poveri secondo i parametri
economici. Sono i favelados, gli abitanti delle tante favelas, sono gli
analfabeti dell'interno, gli anziani senza nulla, i tanti 'sem' (terra,
lavoro, casa, ecc.). sono le vite rifiutate, travolte dal destino, interrate
dallo squilibrio nord-sud, ammalate di poverta', perseguitate dalla violenza
armata".
Il fronte del si' alcune vittorie le ha gia' riportate: il referendum chiude
un percorso iniziato due anni fa con l'approvazione dello Statuto per il
disarmo e proseguito nel 2004 con la campagna per la consegna volontaria
delle armi da fuoco. Il successo e' stato tale che il termine e' stato
prorogato, e vi e' gia' stata la consegna di oltre 400.000 armi da fuoco che
sono state quindi distrutte.
Per noi che non siamo in Brasile, il problema e' quello di dar vita a
iniziative che possano aiutare il fronte del si' a vincere questa difficile
battaglia: come sovente accade, l'avversario e' dotato di mezzi e denaro, e
cerchera' forse di agitare lo spauracchio di dipingere i fautori del si'
come coloro che vogliono lasciare la gente per bene in balia dei criminali.
Al contrario, il si' puo' contare solo sui propri mezzi.
Per sostenre dall'Italia l'iniziativa referendaria brasiliana una prima
proposta e' quella di diffondere la notizia scrivendo ai giornali, alle
mailing list, ai siti internet, alle radio e alle televisioni (finora ho
letto, a proposito del referendum, solo un accenno sul quotidiano "La
Repubblica", ma la ricerca non e' stata certo esaustiva).
Il pressing puo' essere anche rivolto ai siti e alle riviste religiose on
line (e non solo quelle cattoliche, come "Nigrizia", ma anche a quelle di
altre confessioni, dagli islamici ai protestanti), ed essere esteso ai siti
di intercultura... Senza dimenticare i partiti politici italiani per far si'
che intervengano nei cofnronti dei loro omologhi brasiliani.
Angela Giuffrida: Sì
[Ringraziamo Angerla Giuffrida per questo intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]
Tutti coloro che hanno veramente a cuore la sopravvivenza della specie non
possono fare a meno di sostenere il referendum che il 23 ottobre prossimo,
in Brasile, chiedera' l'abolizione del commercio delle armi da fuoco.
Naturalmente anch'io dico di si' e anch'io sono d'accordo con quanti
ritengono che la mobilitazione contro le armi debba avere alla base e
sviluppare progressivamente quell'attenzione per la vita, senza la quale
eliminare la guerra e' e restera' un'utopia.
Io credo, pero', che mobilitarsi per la vita comporti la piena
consapevolezza del fatto che le comunita' patricentriche non si organizzano
attorno alla vita e alla cura della specie. Il loro fine, non dichiarato ma
autoevidente, e' garantire agli uomini il dominio sulle donne e, all'interno
del genere maschile, assicurarlo ai piu' prepotenti.
Questo modello regge da millenni e tutti i tentativi di modificazione fin
qui agiti non hanno avuto successo, ne' potranno averlo in futuro se il
punto di vista che governa il mondo restera' quello del dominante. A me pare
che gli uomini, anche quelli che dedicano la loro vita alla nobile causa
della pace, non siano disposti a metterlo seriamente in discussione. Non mi
sembra, infatti, che figuri nell'agenda di qualche partito o movimento la
messa in discussione dello sfruttamento del lavoro di cura, praticato da
tutti gli stati, anche da quelli che si vogliono democratici e si ritengono
detentori di una "superiore civilta'"; ne' mi pare di scorgere un seppur
timido tentativo di ricercare nello strapotere maschile, di cui le comunita'
umane sono la diretta emanazione, la causa non dico di tutti, ma almeno di
alcuni mali che le affliggono, come ad esempio l'eccessiva conflittualita'.
Il fatto che ci sia un'indebita "occupazione" di tali comunita' da parte di
un genere che crede di avere il diritto di prelazione nel governo delle
stesse, senza dover coinvolgere o semplicemente rendere conto del proprio
operato a quel genere a cui la specie deve l'esistenza in vita, non appare
al maschio umano ingiusto e contraddittorio. D'altronde egli non considera
anomalo neanche il fatto che il suo genere, mentre pretende e di fatto
detiene tutto il potere, non sia disposto ad assumersi la relativa
responsabilita', neanche quando si parla della guerra che e', al di la' di
ogni ragionevole dubbio, il mestiere degli uomini e un parto della loro
mente.
Ora, fintantoche' il fuoco dei sistemi sociali sara' occupato dal dominio,
non dalla cura, non c'e' modo di realizzare la pace sulla terra.
Poiche' le donne producono la vita e il loro mestiere e' sostenerla, hanno
sviluppato per forza di cose categorie mentali favorevoli a questo scopo e
possono dare un contributo insostituibile all'organizzazione di comunita'
centrate sulla persona, percio' tutti gli espedienti volti ad impedire loro
la piena partecipazione politica sono profondamente irrazionali perche'
disfunzionali alla vita della specie.
Il silenzio degli uomini sullíemarginazione, sullo sfruttamento e sulle
persecuzioni a cui sottopongono le donne (basti pensare che la principale
causa di morte e di invalidita' per le donne dai 16 ai 44 anni nel mondo e'
la violenza domestica), vanifica ogni loro azione volta a mettere in atto la
pace e la giustizia. Se davvero essi vogliono mobilitarsi per la vita, la
prima guerra su cui devono interrogarsi e' quella di genere, perche'
condurre una guerra contro le madri della specie significa fare tout court
la guerra alla vita.
Giannozzo Pucci: Sì
[Ringraziamo Giannozzo Pucci per questo intervento. Giannozzo Pucci, amico della nonviolenza, saggista, tra i fondatori in Italia del movimento ambientalista ed antinucleare e del movimento per l'agricoltura organica, ha fondato ed e' presidente dell'Associazione di solidarieta' per la campagna italiana, ha promosso l'esperienza della Fierucola, e' presidente dell'Associazione internazionale "Fioretta Mazzei". Consigliere comunale di Firenze dal 1990, e' stato per sei anni presidente della Commissione urbanistica; ha collaborato a vari giornali e riviste; cura la collana editoriale dei "Quaderni d'Ontignano", ed anima attualmente la Libreria Editrice Fiorentina, la prestigiosa casa editrice che ha pubblicato le opere di Giorgio La Pira e Lorenzo Milani]
Poter votare per la prima volta al mondo per vietare la produzione e il commercio delle armi, sembra una grandissima cosa e la tentazione di applaudire irresistibile.
Le obiezioni
Ma il referendum in generale non e' uno strumento di democrazia diretta,
specialmente in una societa' di massa e utilizzato su larga scala in un
paese intero. Salvo rarissimi casi, la politica vince sempre sul referendum.
Vale a dire che se il risultato del voto sara' si' alla proibizione della
produzione e commercio delle armi, c'e' da temere che gli industriali e i
commercianti troveranno il modo di aggirare l'ostacolo; peggio ancora se il
risultato dovesse essere il contrario.
Quello che conta
Non esiste democrazia diretta separata da una cultura, una politica,
un'economia e una comunita' vitale, dove gli argomenti su cui decidere fanno
parte di una riflessione comune fra vecchi e giovani, uomini e donne, gente
di ogni strato sociale, con un'unanimita' comunitaria e culturale di fondo e
tempi lunghi per decidere.
Perche' si'
Cio' non toglie che in questo caso particolare c'e' la possibilita' che se
vince il fronte del si' al divieto delle armi questa specifica espressione
possa rappresentare una presa del potere sull'identita' del Brasile da parte
della grandi masse dei poveri e questo potrebbe farne uno di quei rarissimi
casi di referendum che vince, almeno a livello di bandiera culturale, sulla
politica.
Claudio Tugnoli: Sì
[Ringraziamo Claudio Tugnoli per questo intervento. Claudio Tugnoli e' studioso di filosofia, educatore e saggista, particolarmente attento ai temi epistemologici, religiosi, morali; impegnato per la pace e i diritti umani, ha dato un grande contributo alla promozione di una cultura della nonviolenza. Opere di Claudio Tugnoli: La dialettica dell'esistenza. L'hegelismo eretico di John McTaggart, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Tra il dire e il fare. L'educazione alla prassi dei diritti umani, Angeli, Milano 2000; AA.VV. (a cura di), Diacronia e sincronia. Saggi sulla misura del tempo, Angeli, Milano 2000; AA. VV. (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000; Girard. Dal mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001]
Da piu' parti e da tempo si chiede che l'atto di nascita dell'unita' europea sia accompagnato dal riconoscimento esplicito dell'identita' cristiana dell'Europa. Senza affrontare la questione di un'identita' europea non solo multipla (greca, romana, giudaica, islamica, illuminista; per altri celtica, etrusca, longobarda, bizantina o normanna), ma anche in evoluzione nel corso dei secoli (nessuna identita', individuale o collettiva, e' semplice e immobile: cio' che vale per il passato perche' non dovrebbe valere anche per il futuro?), mi limito a osservare che il contenuto piu' universale dell'identita' cristiana e' la difesa delle vittime della violenza, dell'ingiustizia e di ogni forma di oppressione. L'identita' cristiana, in questo senso, e' l'identita' del mondo intero, non solo dell'Europa. Se l'affermazione dell'identita' cristiana dell'Europa deve diventare la premessa ideologica per costruire un'identita' "vittimaria" che ripete il rito sacrificale del tutti contro uno, se si vuole un'identita' prestabilita come collante della federazione in modo che l'esclusione rafforzi l'armonia a spese di qualche terzo, allora bisogna riconoscere che questo sarebbe il modo migliore per tradire l'essenza del cristianesimo e il senso profondo della rivoluzione dei vangeli. L'identita' cristiana dell'Europa puo' dispiegarsi in tutte le sue conseguenze solo universalizzando il contenuto autentico dei vangeli e facendo proprio il riconoscimento dell'innocenza della vittima. Questo soltanto puo' diventare il veicolo di un dialogo proficuo tra le diverse religioni, identita' e culture, sia in Europa che nel mondo.
Ovunque nel mondo, si puo' dire, si parla, si scrive e ci si atteggia in
nome della necessita' ineludibile di prendere la difesa delle vittime.
Tuttavia, nonostante il disvelamento irreversibile del meccanismo espiatorio
giunto a compimento nella tradizione evangelica, le persecuzioni e le
violenze piu' arbitrarie si commettono in nome della verita' dell'innocenza
della vittima, tradendo in tal modo l'insegnamento unico e irripetibile
della rivelazione cristiana. In nome di Dio, anche del Dio cristiano, in
nome dell'identita' e nella persuasione di operare in difesa di vittime
inermi, si sono commessi e si commettono crimini e genocidi. Si assiste
quindi alla piu' plateale incongruenza tra la coscienza della verita'
riguardo la vittima e il comportamento che di fatto si adotta nei confronti
del prossimo. La previsione di un mondo conflittuale nel quale l'unica
salvezza possibile e' quella che passa attraverso la difesa preventiva ha
come logica conseguenza la produzione e il commercio di armi sempre piu'
sofisticate e sempre piu' micidiali.
La diffusione e l'uso delle armi sono insieme causa ed effetto del male che
un numero crescente di persone nel mondo si illude di combattere: la
violenza distruttiva. Anche la natura puo' scatenare forze distruttive, come
dimostrano terremoti, tsunami e uragani. E alla fine dobbiamo tutti morire.
Ma chi usa questi argomenti ha una visione naturalistica dell'uomo, non
comprende il significato della responsabilita' morale; non capisce che
l'uomo e' si' parte della natura come qualsiasi vivente di ogni altra
specie, ma al tempo stesso puo' rivendicare una differenza qualitativa nel
fatto di poter evolvere non solo come specie ma anche come individuo. Il
commercio delle armi, dalla produzione all'acquisto, mantiene la convivenza
civile a un livello naturalistico perche' la tranquillita' che assicura e'
quella determinata dall'equilibrio del terrore reciproco e della minaccia
incrociata.
La rinuncia alle armi, conseguente al risveglio spirituale che i vangeli
hanno inaugurato e la Chiesa si sforza di mantenere vivo nel mondo, e' il
solo comportamento davvero significativo sul piano morale e religioso. La
sola decisione che istituisce una concordanza perfetta tra cio' che gli
uomini pensano e ci' che fanno, tra coscienza e comportamento esteriore, tra
il mezzo e il fine.
E' dimostrato che il possesso delle armi e' concausa dei conflitti e della loro escalation. Lo scontro armato non risolve le contese tra stati o tra individui, che sono il vero problema, ma li salta e li esalta. Il mezzo, l'uso delle armi, e' in contraddizione rispetto al fine che si intende perseguire. Cosi' un uomo che soffre di solitudine puo' illudersi di venire a capo del proprio isolamento attraverso la pratica dell'edonismo sessuale o moltiplicando le sue immersioni in folle anonime dove, come nelle tifoserie calcistiche, l'individuo e' azzerato (in senso purtroppo anche fisico) dall'obbligatoria appartenenza a un club, dall'identificazione con una squadra che deve battere (anche in questo caso fisicamente) la squadra avversaria. Tale comportamento si rivela inadeguato rispetto allo scopo (il superamento della solitudine) e persino all'origine di un esito opposto. Manca quindi una cultura della riflessione, che permetta di individuare il vero problema - il conflitto, la solitudine o altro - al fine di risolverlo in modo davvero radicale. L'uso delle armi in generale e di quelle da fuoco in particolare (che, dopo il bando dagli schermi cinematografici delle sigarette e dell'alcol, sono diventate spesso i soli protagonisti che "dialogano" e fanno accadere qualcosa) presuppone che l'obiettivo sia quello di eliminare i contendenti e non la contesa. L'impegno a mettere al bando le armi da fuoco implica l'assunzione di responsabilita' rispetto al problema del conflitto, della competizione e, in generale, dell'armonia indispensabile tra individuo e collettivita' quale condizione della dignita' morale dei singoli e del senso della vita associata.
Attivo dagli anni '70 (dapprima con la denominazione "Comitato democratico contro l'emarginazione - Centro di ricerca per la pace"), nel 1987 ha coordinato per l'Italia la campagna di solidarietà con Nelson Mandela allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a "Primo Levi, testimone della dignità umana". Dal 1998 ha promosso una "campagna contro la schiavitù in Italia".
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