Un referendum che riguarda l'umanita' intera. 7
La nonviolenza e' in cammino. 1054 - 15 settembre 2005
Lanfranco Mencaroni: Disarmo
[Ringraziamo Lanfranco Mencaroni per questo intervento. Lanfranco Mencaroni, medico, amico e collaboratore di Aldo Capitini, e' infaticabile prosecutore dell'opera comune, animatore dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: capitini@tiscalinet.it) e curatore del sito del "Cos in rete" che mette a disposizione anche una ricchissima messe di testi di e su Capitini, ed e' un fondamentale punto di riferimento per amici e studiosi della nonviolenza]
Al di la' dell'adesione generica che ogni amico della pace e della
nonviolenza esprime da secoli nei confronti dell'idea del disarmo, con
nessun successo e molte irrisioni, oggi a me sembra che l'idea cominci a
prendere un significato politico che potrebbe trasformarla in un buon
argomento.
Il fatto e' che nel mondo sono diventati molto piu' numerosi coloro che,
attraverso canali di comunicazione sempre piu' efficienti, sanno che per la
prima volta nella storia dell'umanita' ci sono i mezzi per garantire il
benessere fisico e culturale a tutti, sanno che l'ostacolo a questo fine e'
politico e risiede nella divisione dei popoli e nell'interesse dei ricchi,
sanno che le somme per consentire il benessere a tutti sono minori delle
somme che i ricchi spendono per costruire armi e organizzare guerre, sanno
che le offese alla natura portate dall'avidita' dei ricchi provoca
ritorsioni sempre piu' gravi sulla nostra salute e sull'ambiente che ci
ospita, ritorsioni da cui dobbiamo difenderci insieme e con urgenza.
Poiche' molti sanno che due piu' due fa quattro, oggi e' diffusa nel mondo
l'idea che vivendo in pace, togliendo ai ricchi il potere di fare le guerre,
organizzando il disarmo e spendendo per il benessere di tutti e
dell'ambiente le somme risparmiate, si potrebbe salvare la terra e costruire
una nuova societa', in cui l'educazione alla nonviolenza sostituita agli
esempi di violenza, potrebbe ridurre al minimo le nostre pulsioni omicide.
Nella storia, quando si sono create vaste aspettative di cambiamenti
possibili, si sono sempre trovate le forze politiche che hanno guidato la
svolta.
Usando la violenza hanno pero' collezionato sconfitte nella costruzione del
nuovo, anche se qualche passo avanti si e' fatto.
Io penso che il disarmo con le sue prospettive trovera' una sinistra
mondiale che sapra' realizzarlo.
E il disarmo mi sembra troppo legato a idee di nonviolenza, di convivenza
pacifica, di giustizia sociale, perche' una sua vittoria non possa
coincidere con un cambiamento piu' solido e duraturo nei rapporti umani e
nel rispetto della natura.
Osvaldo Caffianchi: Dalle parole ai fatti. Si' al referendum brasiliano per vietare il commercio delle armi
[Ringraziamo Osvaldo Caffianchi, collaboratore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, per questo intervento. Ricordiamo che per molte utilissime informazioni sul referendum brasiliano si puo' visitare l'ottimo sito www.referendosim.com.br; per promuovere iniziative in Italia per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano si puo' contattare Francesco Comina in Italia e padre Ermanno Allegri in Brasile (sito: www.adital.com.br)]
C'e' gente che di disarmo chiacchiera chiassosamente nei bar e nei salotti e nelle conferenze per la pace elegantissimi, interminabilmente. E questi sono i complici degli assassini. E poi c'e' gente che il disarmo lo fa. E questi salvano il mondo.
Amelia Alberti: Sì
[Ringraziamo Amelia Alberti per questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica, impegnata in iniziative di pace e di solidarieta']
Che dire sul referendum contro le armi in Brasile?
Al femminile ho scelto lo strumento dell'autobiografia, per affermare il mio
accordo totale e illimitato con quel popolo coraggioso, e quindi vi racconto
che, giunta la mia unica nipotina all'eta' di tredici anni, le mie due
figlie hanno deciso inaspettatamente di mettere al mondo altri due bambini,
che sono nati nel giro di due mesi: uno, Lorenzo, l'undici di luglio,
l'altro, Federico, e' nato oggi, giorno undici di settembre, mentre
ricorreva la data tragica e fatale delle torri gemelle.
E quale dono posso mai fare ai miei tre nipoti, se non quello di continuare
a spostare (come una formica obbediente al suo destino, qui ed ora, nella
realta' in cui vivo e con cui mi confronto) il peso che mi e' stato dato da
spostare contro la violenza e contro il terrore, contro la sopraffazione e
contro l'indifferenza?
Paolo Bertagnolli: Sì
[Ringraziamo Paolo Bertagnolli per questo intervento. Paolo Bertagnolli, insegnante, laureato in sociologia a Trento, impegnato nel movimento di Pax Christi a Bolzano e in molte iniziative di pace, solidarieta' e nonviolenza, e' coautore del libro Lontani da me, che raccoglie le conclusioni del progetto interculturale "Star bene insieme, illogicita' del razzismo"]
Mi sento personalmente coinvolto nel sostenere, dall'Italia, il referendum
brasiliano del 23 ottobre sulla proibizione del commercio di armi e
munizioni.
Sono coinvolto in quanto convinto dell'assurdita' dell'uso della violenza, e
le armi ne sono l'espressione piu' forte; perche' amo il popolo brasiliano
che ho conosciuto in passato; perche' questo referendum e' il primo che si
svolge in quel paese e puo' essere un modo per far emergere il valore del
Brasile nel Sud America e non solo, in modo positivo: se vincera' il si',
questo desiderio di pacificazione potrebbe espandersi a macchia d'olio in
tutto il continente e, forse, anche nel resto del mondo; la proposta di
referendum ha fatto si' che tutte le chiese, anche quelle che vengono
definite "sette", si siano unite in modo realmente ecumenico, per la prima
volta, per appoggiare la vittoria del si'.
Ma, come italiano, vorrei appoggiare il si' anche in quanto sono cosciente,
e me ne vergogno, che l'Italia e' il quarto produttore di armi al modo ed il
secondo esportatore, non produciamo piu' mine antiuomo, e' vero, ma quelle
che abbiamo prodotto e venduto, ancora oggi fanno vittime in tanti paesi del
mondo che diciamo pacificati, e continuiamo a produrre mine anticarro e
pistole (Beretta) ed altre armi o elementi legati alle armi (vi ricordate
come e' stata stravolta la 195/90 per il "diritto al commercio" dei nostri
arsenali?).
Tra il 1999 e il 2003 l'Italia ha esportato armi da fuoco e munizioni nel
solo Brasile per un valore di 10,63 milioni di dollari (fonte: Centro studi
internazionale "Archivio Disarmo", database basati su dati Istat).
Vorrei che qualche persona potesse dimostrarmi che la produzione e vendita
di armi non e' volta al suo uso! Se fabbrico o vendo qualche cosa, o se la
compero, e' perche' venga usata e, quindi consumata per poterne produrre di
nuovo.
Sotto il governo Lula si e' avuto lo Statuto per il disarmo (primo luglio
2004); la campagna per il disarmo volontario (15 luglio 2004) ed ora il
referendum (approvato il 6 luglio 2005), eppure sulla stampa anche italiana
di Lula si preferisce parlare sottolineando gli scandali che hanno colpito
il suo governo e non queste proposte altamente civili anche se non condivise
da certi gruppi dominanti dei paesi "esportatori di democrazia".
Ancora oggi, mentre scrivo, dopo che su tanti siti a favore della
nonviolenza si e' cominciato a parlare del referendum per la messa al bando
delle armi, la stampa, e non solo quella vicina agli armieri, non parla di
quanto i brasiliani saranno chiamati a votare il 23 ottobre: non i giornali
vicini alla sinistra, non quelli che si vogliono presentare come distanti
dai partiti (sembra molto piu' degno di cronaca il comportamento delle
famiglie reali o le vicende familiari di qualche politico francese o di
qualche attore), ma nemmeno, e questo mi meraviglia molto, quelli di area
cattolica (se mi fossero sfuggiti articoli gia' pubblicati chiedo fin d'ora
scusa alle redazioni).
Propongo di scrivere alle varie testate giornalistiche perche' comincino a
parlarne: se il popolo brasiliano si accorge che quanto si svolgera' nel
loro paese interessa anche il resto del mondo, sono certo che si sentirebbe
ancor piu' motivato ad andare a votare a favore del si'.
Per finire: un'inchiesta d'opinione sugli orientamenti di voto per il
referendum pubblicata dalla "Folha" di San Paolo il 21 luglio 2005,
realizzata dalla "Data Folha" in 134 Municipi, ascoltando 2.110 persone, ha
dato i seguenti risultati: l'80% dei brasiliani ha risposto si'alla
proibizione del commercio delle armi; il 17% ha risposto no; il 3% non ha
risposto; il 24% non sapevano del referendum.
E' necessario che tutti siano informati, e che le lobby armiere non possano,
con la loro forza economica, sovvertire e negare il diritto alla vita di
tutti i cittadini.
Norma Bertullacelli: Sì
[Ringraziamo Norma Bertullacelli per questo intervento. Norma Bertullacelli, insegnante, amica della nonviolenza, collaboratrice di questo foglio, e' impegnata nella "Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" di Genova]
"E i posti di lavoro?" Temo che sentiremmo questa obiezione se riuscissimo a
discutere anche qui del referendum brasiliano sulla proibizione del
commercio delle armi.
L'abbiamo sentita decine di volte: durante le contestazione della mostra
navale bellica, durante la marcia da Genova a La Spezia, a Brescia in
occasione di Exa: "E i posti di lavoro?". E anche piu' recentemente, quando
il neoeletto presidente della Regione Liguria Burlando ha ottenuto come
primo atto del suo governo regionale il finanziamento di dieci corvette da
costruire nei cantieri navali liguri, chi protestava per questo pessimo
esordio si e' sentito dire: "E i posti di lavoro?".
Personalmente ho un lavoro bello e sicuro, e non ho il diritto di
sottovalutare questo problema.
Ma non posso fare a meno di notare che dietro questa obiezione c'e' spesso
un grave equivoco. Anche scuole decenti, ospedali decenti, trasporti decenti
creerebbero posti di lavoro. Anzi, ne creerebbero di piu', almeno secondo
l'Onu. Forse produrrebbero meno profitti. Ma si tratta di un'altra cosa; e
non si puo' fingere di ignorarlo, soprattutto se si esercita il mestiere di
sindacalista o di politico.
Non so se si possa intervistare il Presidente della Repubblica come se fosse
un qualsiasi cittadino. Ma mi piacerebbe farlo, e chiedergli che cosa ne
pensa del referendum brasiliano. E se la sua risposta fosse un deciso
sostegno a favore del si', mi piacerebbe chiedergli perche' mai, il 6
dicembre 2004, abbia dichiarato a Pechino: che "L'Italia guarda con favore
all'abolizione dell'embargo sulle esportazioni delle armi e lavora
attivamente per renderla possibile".
Auguri di cuore agli amici ed amiche brasiliani; e speriamo che la vittoria,
o anche la semplice apertura di un dibattito, faccia riflettere un po' di
gente anche qui da noi.
6. Giancarla Codrignani: Sì
[Ringraziamo Giancarla Codrignani per questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]
Come si fa a non essere tutti insieme in solidarieta' con i bravi brasiliani
che inaugurano con questo tema la pratica del referendum?
Come italiani abbiamo la vergogna di essere nel mercato delle armi con un
piazzamento in crescita negli ultimi anni, nonostante sia sotto gli occhi di
tutti dove vanno a finire la armi, come vanno a finire i quattrini delle
nostre tasse, compresi quelli dell'otto per mille dati allo stato ed usati
per attivita' militari.
Come italiani, tuttavia, abbiamo la fortuna di non imbatterci ogni giorno in
cadaveri di gente, di bambini sparati. E non abbiamo la cultura
dell'"autodifesa" che fa degli americani dei pericoli pubblici, forniti di
armi "difensive" private, che fanno vittime come le guerre, anche contro gli
amici. Per questo sarebbe bene davvero eliminare le armi anche dalla mente,
che le registra anche nei piu' piccoli attraverso i videogames come arnesi
che servono a difendere dai "nemici".
Spero che tutti i brasiliani, vittime dei tanti guai che capitano a un paese
ricco, ma reso dipendente e impoverito, comprendano perche' in Italia c'e'
chi gli manda la propria solidarieta'.
Credo di conoscere abbastanza i problemi degli armamenti, anche perche' anni
fa c'era un bel movimento su questi problemi e, mentre sono qui a pensare al
referendum brasiliano, mi domando che cosa faccia ciascuno di noi in Italia
dove la deregulation nel settore regna sovrana, la Maddalena e'
nuclearizzata, abbiamo la spesa inutile delle Frecce Tricolori e c'e' un
partito che darebbe la licenza di sparare anche ai bambini.
Secondo me dovremmo parlare di piu' di questo referendum brasiliano,
guardandoci allo specchio...
Fausto Concer: Sì
[Ringraziamo Fausto Concer per questo intervento. Fausto Concer e' impegnato in varie esperienze, particolarmente a Bolzano e a Bologna, per la pace, i diritti dei popoli, la difesa della Costituzione, un'economia di giustizia e di solidarieta']
Ribellarsi e' giusto. Questo slogan ha affascinato la mia adolescenza
(benche' questa si sia dipanata nei deprimenti anni ottanta, e nella seconda
meta' per di piu', e non nei settanta, definiti da qualcuno magnifici), e
ancor oggi accompagna la mia vita, il mio impegno, le mie lotte. Ma
ribellarsi a cosa? E ribellarsi come? Anzitutto allo sfruttamento "dell'uomo
sull'uomo", degli uomini sulle donne - condizione antichissima da parer
quasi connaturata -, dei popoli, delle nazioni; ribellarsi al capitalismo
che e' guerra e fame, morte sul lavoro, per malattie curabili; ribellarsi
all'alienazione degli individui, che e' precarieta' di vita ancor prima che
di lavoro, estraneita' ostile all'Altro, ridotto a "razza", "religione",
persino "tifo calcistico"; ribellarsi alla mercificazione totalizzante delle
nostre vite, delle nostre intelligenze e pure delle nostre passioni.
Ribellarsi alla violenza strutturale che abita le nostre esistenze, il
nostro immaginario, la nostra (pre)storia e la nostra quotidianita'.
Questo "stato di cose presente" mette, di conseguenza, a tema il come; e la
risposta, primaria ed imprescindibile, la precondizione della faticosa
prassi e della sua immanente filosofia, e' l'assunzione del rifiuto della
violenza, il suo ripudio costituente. Rifiutare sin da subito la cifra, lo
strumento e, alfine, anche uno dei fini perversi del dominio - dominio di
classe e di genere in primo luogo -, rifiutare quindi la violenza, e' il
sentiero maestro per cominciare a percorrere il cammino della progettazione
e costruzione dell'altro mondo necessario.
Senza garanzie di riuscita, ma con la garanzia del preciso impegno del
ripudio radicale della dittatura della violenza; cercando di non ubriacarsi
in improbabili "osterie dell'avvenire", ma disintossicandosi dall'oppio
della violenza, qualsiasi forma pretenda: umanitaria, necessaria, dolorosa
ma inevitabile, purificatrice...
Affinche' eguaglianza e liberta' abbiano la possibilita' di veramente
affermarsi, e l'umanita' possa cominciare a costruire, concretamente, le
condizioni - economiche, sociali, culturali - della propria emancipazione,
la nonviolenza, teoricamente e quindi praticamente, deve divenire "senso
comune": buon senso collettivo della liberazione.
Il referendum brasiliano e' un tassello fondamentale di questa costruzione a
piu' mani e piu' menti. Vietare le armi cosiddette leggere (quasi che
l'aggettivo provasse a conferire levita' all'orrore e al sopruso), il loro
commercio che sancisce la possibilita' di comprare la vita e la morte
altrui, non significa solo impedire migliaia di morti ogni anno, che e' gia'
in se' "obiettivo massimo", significa pure bloccare uno di quegli elementi
concreti e quotidiani, cioe' la possibilita' di comprare e vendere armi, che
costituisce la materialissima base ideologica della societa' della violenza,
del dominio, dello sfruttamento. Mettere al bando le "armi leggere",
significa contrapporsi concretamente alla "cultura" della vendetta privata,
o, comunque, della possibilita', nei conflitti privati, di eliminare
l'Altro. Di ucciderlo.
Questa lotta parla di noi, si rivolge a noi, ci scuote e chiama in causa.
Non possiamo permetterci semplicemente di assistere e sperare, trepidare e
tifare. Lotta per la riconversione delle fabbriche di armi, movimenti contro
le basi militari statunitensi in casa nostra, lotta per la riaffermazione
della 184 nel nostro paese... Il Brasile e' qui.
Doriana Goracci: Sì
[Ringraziamo Doriana Goracci per questo intervento. Doriana Goracci e' impegnata nel movimento delle Donne in nero e in molte altre esperienze di pace e di solidarieta']
Ci furono molti dibattiti all'indomani del referendum sulla pma. Il
risveglio era stato doloroso, non tanto per il risultato ma per
l'indifferenza con cui donne e uomini avevano affrontato un tema difficile
ma che parlava di "vita": chi non si sentiva direttamente coinvolto ha
ritenuto di astenersi e poi quanti referendum avevano sottratto tempo e
soldi agli italiani? Il silenzio seguito sembrava l'unica strada
possibile...
Oggi apprendiamo che tra poco piu' di un mese ci sara' un grande
meraviglioso referendum in Brasile che parla di vita, di un mondo disarmato,
di un mondo migliore, di uomini e donne consapevoli, uguali nella pratica
della nonviolenza, nel riscatto da morti annunciate, temute, deflagranti,
striscianti, di corpi che si riappropriano della loro dignita'.
Sostenere, diffondere la notizia di questo referendum mi sembra un dovere
della societa' civile del mondo. Non e' un sogno sperare in un paese dove
non sono le armi a parlare, non sono le armi ad essere vendute, dove le
donne e gli uomini risolvono i conflitti senza le armi.
Con umilta' e profondo rispetto impegnamoci veramente a seguire questa
lanterna che illumina la lunga e buia notte che stiamo attraversando. Mi
piace immaginare questa luce come la storia che cammina libera dalla guerra.
Alfonso Navarra: Sì
[Ringraziamo Alfonso Navarra per questo intervento. Alfonso Navarra, giornalista, attivista, operatore sociale, autorevole rappresentante della Lega per il disarmo unilaterale e di molte altre esperienze associative democratiche, e' una delle figure piu' note dei movimenti pacifisti, ambientalisti, nonviolenti, antiusura, per l'informazione e la comunicazione di base e alternativa]
Mi vede perfettamente d'accordo la campagna italiana a sostegno del si' al
referendum brasiliano che il 23 ottobre sottoporra' alla popolazione il
quesito: "Volete che il commercio delle armi da fuoco e munizioni venga
bandito in Brasile?".
E' venuta l'ora di dire finalmente si' alla messa al bando del commercio
delle armi. La scadenza referendaria brasiliana e' importante anche per le
campagne in corso in Italia in favore del disarmo e contro l'export delle
armi italiane. E' bene ricordare che il nostro paese e' il secondo al mondo
in fatto di export di armi leggere con interessi finanziari enormi, che
coinvolgono anche molte banche, comprese quelle che si definiscono
"cattoliche".
Ritengo che oggi il movimento contro le guerre, per il disarmo e la
nonviolenza, abbia bisogno di iniziative concrete del tipo di questa
iniziativa... e del tipo dell'obiezione di coscienza alle spese militari,
che va avanti per aprire spazi alla sperimentazione della difesa popolare
nonviolenta nel nostro paese.
Invece non ritengo di grande utilita' la riproposizione di iniziative
organizzate all'insegna di un pacifismo burocratico, capace solo di proporsi
con rivendicazioni mediatiche che lasciano il tempo che trovano (si pensi al
grande circo messo in piedi con alcune iniziative fondamentalmente
spettacolari, che difficilmente portera' qualche giovamento alla lotta
contro la poverta').
Al popolo della pace demoralizzato e disorientato proprio da appuntamenti
tanto "oceanici" quanto retorici (non si fermano le guerre con le sfilate
una tantum) vanno invece proposti - e' la mia ferma convinzione - percorsi
concreti di pratica di obiettivi costruttivi, efficacemente mirati, basati
sull'impegno e la responsabilita' personale di ciascuno e di tutti: la
situazione generale e' molto grave e ritengo non ci sia piu' tempo per
giocare con chi, invece della pace, ha in testa equilibri politico-partitici
ad essa estranei.
La campagna brasiliana, e altre iniziative che ho citato (e che non ho citato), le sottoporrei all'attenzione di tutte e tutti: amici, se non vogliamo finire travolti dall'ingiustizia e dalla violenza, e' arrivato il momento di darsi veramente da fare, di essere seriamente disposti a "pagare" qualcosa, piu' di qualcosa, per la pace anziche' per la guerra.
Nanni Salio: Sì
[Ringraziamo Nanni Salio per questo intervento. Giovanni (Nanni) Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore nella facolta' di Fisica dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della cultura nonviolenta in Italia; e' il fondatore e presidente del Centro studi "Domenico Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed emeroteca specializzate su pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824 - 011549005, fax: 0115158000, e-mail: regis@arpnet.it). Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione riveduta, Perugia 1983; Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago, Scienza e guerra: i fisici contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Ipri (introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la pace, vol. I. Le ragioni e il futuro, vol. II. Gli attori principali, vol. III. Una prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991; con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G. Martignetti, S. Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001]
L'iniziativa del referendum brasiliano e' lodevole e dovrebbe essere
proposta in ogni paese. Potrebbero essere le stesse Nazioni Unite a farsene
carico su larga scala.
E insieme a questo primo passo, disarmare le mani, abolire il possesso
privato di armi da fuoco (il porto d'armi) occorre promuovere,
parallelamente, altre iniziative. Dobbiamo avviare un processo di
conversione di un'intera cultura di morte, che viene diffusa e sostenuta
ampiamente nei film, nella tv, nei fumetti, nella letteratura e porta a
interiorizzare un immaginario di violenza di cui raramente siamo
consapevoli. La cultura dominante semina messaggi di violenza e di morte,
abbondantemente assorbiti da bambini e bambine oltre che da giovani e
adulti, e di conseguenza ne raccoglie i frutti malati.
Secondo i dati dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanita') e
contrariamente a quanto si e' portati a pensare comunemente, in tempi
"normali" (assenza di guerre mondiali su larghissima scala) il numero di
omicidi (provocati prevalentemente, anche se non esclusivamente, da armi da
fuoco) e' secondo solo ai suicidi e piu' alto delle vittime dirette di tutte
le guerre in corso. (Si veda il rapporto originale: World Report on Violence
and Health, e gli altri lavori ivi segnalati sulla prevenzione della violenza) Questo
stillicidio di morti viene scioccamente tollerato nella vita quotidiana
considerandolo "fisiologico" e determinato da una sorta di perversa
attitudine della natura umana. Ma non c'e' nulla di fisiologico ne' di
deterministico. Le cause sono prevalentemente culturali e pertanto possono
essere rimosse (a tale proposito si veda il bellissimo contributo di Frans
De Waal, Perche' non possiamo non dirci bonobo, in "Micromega. Almanacco di
filosofia", n. 4/2005).
Una cultura di pace non si crea soltanto con interventi occasionali e
reattivi, ma con un capillare lavoro condotto giorno per giorno, dentro e
fuori di noi, sfidando e sfatando luoghi comuni e pigrizie mentali e
materiali. I frutti verranno, ma non si possono raccogliere se prima non si
semina e non si annaffiano con cura i teneri germogli.
Oltre al disarmo materiale occorre un disarmo culturale (Raimundo Panikkar,
Pace e disarmo culturale, Rizzoli, Milano 2003) delle menti e dei cuori.
Esso contribuira' anche a quel piu' ampio disarmo del "bullismo
internazionale" degli stati e delle potenze e superpotenze guidate al
disastro dai vari Bulli capi di stato e di governo.
Brunetto Salvarani: Sì
[Ringraziamo Brunetto Salvarani per questo intervento. Brunetto Salvarani, teologo ed educatore, da tempo si occupa di dialogo ecumenico e interreligioso, avendo fondato nel 1985 la rivista di studi ebraico-cristiani "Qol"; ha diretto dal 1987 al 1995 il Centro studi religiosi della Fondazione San Carlo di Modena; saggista, scrittore e giornalista pubblicista, collabora con varie testate, dirige "Cem-Mondialita'", fa parte del Comitato "Bibbia cultura scuola", che si propone di favorire la presenza del testo sacro alla tradizione ebraico-cristiana nel curriculum delle nostre istituzioni scolastiche; e' direttore della "Fondazione ex campo Fossoli", vicepresidente dell'Associazione italiana degli "Amici di Neve' Shalom - Waahat as-Salaam", il "villaggio della pace" fondato in Israele da padre Bruno Hussar; e' tra i promotori dell'appello per la giornata del dialogo cristiano-islamico. Ha pubblicato vari libri presso gli editori Morcelliana, Emi, Tempi di Fraternita', Marietti, Paoline]
Il vostro parlare sia si', si' e no, no. Per quanti amano davvero la vita, e cercano faticosamente di seguire la via di Gesu', per ogni donna e ogni uomo che Dio ama, non c'e' alternativa: chiedere e dare informazione sul si' al referendum brasiliano sul commercio delle armi da fuoco. Con la speranza sincera che "il paese piu' cattolico del mondo" sappia rispondere secondo il vangelo, e non secondo la strada degli idoli.
Giulio Vittorangeli: Sì
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]
Da tempo e' in atto uno scontro tra Nord e Sud del mondo, che rappresenta,
rafforzandola, una crisi globale di civilta', il cui nucleo propulsivo e' il
modello di crescita economica dei paesi industrializzati e
postindustrializzati capitalisti, con la loro tendenza all'assolutizzazione
del mercato come istituzione in cui si costituisce e risolve la natura
umana.
Gli effetti piu' palpabili di questa crisi di civilta' si manifestano negli
irreversibili processi di degrado ambientale, l'ultimo in ordine di tempo il
disastro di News Orleans, legati al modello economico e ai suoi
prolungamenti nella configurazione sociale e nelle relazioni tra ritmi di
crescita della popolazione e disponibilita' delle risorse naturali.
Sui termini Nord e Sud bisogna pero' fare delle distinzioni.
Esiste un nord nel sud del mondo, rappresentato dalle elite che lo
governano.
Ed esiste un sud nel nord del mondo, fatto di poveri, emarginati, "esuberi",
di gente che sopravvive delle briciole della ricchezza nazionale detenuta da
un ristrettissimo numero di persone.
Questo perche' le societa' "avanzate" non riescono a includere tutti e
mettono in conto la progressiva emarginazione di larghi strati della
popolazione.
Quindi il Sud del mondo designa geograficamente i popoli impoveriti
dell'America Latina, Africa e Asia, pero' indica simbolicamente anche tutti
i poveri ed esclusi dei paesi ricchi del mondo intero.
Il Nord rappresenta i centri di potere che sono essenzialmente nei paesi
ricchi ed industrializzati ed anche tutti i ricchi e potenti che sostengono,
sfruttano e si servono di questi centri di potere.
Noi, che siamo contro la globalizzazione capitalistica e per la pace,
abitiamo pero' questa parte del mondo che traduce la globalizzazione in
feroce difesa del diritto incondizionato di arricchimento insieme a una
assurda tendenza all'esportazione coatta, a suon di bombe e di eserciti, dei
nostri modi di intendere la democrazia e persino la liberazione delle donne,
come nel caso della guerra in Afghanistan.
E dunque noi, della nostra storia e del nostro presente dobbiamo rispondere.
Perche' e' da noi, nel primo mondo, che si producono le armi con le quali si
combattono tutte le guerre, da quelle che occupano le prime pagine, come in
Iraq, a quelle dimenticate con la loro odissea quotidiana, come in Uganda,
dove le armi leggere utilizzate sono le pistole italiane Beretta.
Ma da noi non c'e' nessun referendum per proibire il commercio delle armi da
fuoco; in Brasile si', il prossimo 23 ottobre.
Da noi si e' dimessa anche la lotta, iniziata con il pacifismo degli anni
'80, per la riconversione delle fabbriche che producono armi in fabbriche di
pace.
Intanto, davanti al senso di impotenza e di riflusso dei movimenti per la
pace, le guerre continuano ad annientare vite umane e bruciare ingenti
risorse economiche.
Puo' sembrare banale e retorico soffermarsi ad elencare come potrebbero
essere spesi l'enorme quantita' di soldi stanziati per le guerre, ad
iniziare da quella in Iraq:
- cibo per i poveri del mondo;
- trattamenti preventivi globali dell'aids;
- acqua pulita e servizi igienici nelle zone sottosviluppate del mondo;
- vaccinazioni per tutti i bambini dei paesi impoveriti;
e tanto altro ancora.
In questo contesto il prossimo referendum brasiliano rivela tutta la sua
importanza e centralita'.
Spetta a tutti noi sostenerlo, promuoverlo, fare in modo che una vittoria
del si' apra finalmente la strada a un mondo diverso. Rappresenterebbe per
l'intera umanita' il famoso "effetto farfalla" (definizione data dal
meteorologo Edward Lorenz, durante un convegno del 1979), perche' il battito
delle ali di una farfalla in Brasile puo' avere conseguenze dirompenti anche
da noi.
Riccardo Troisi: La campagna "Control arms" in Italia
[Ringraziamo Riccardo Troisi per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso su "Anzione nonviolenta" n. 8-9 di agosto-settembre 2005. Riccardo Troisi e' impegnato nella Campagna Control Arms, nella rete Lilliput e in molte iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza]
La Rete Italiana per il disarmo ha rilanciato ufficialmente lo scorso marzo
in Italia la campagna "Control Arms", promossa a livello internazionale da
Amnesty International, Oxfam e Iansa (International action network on small
arms - di cui anche ControllArmi fa parte).
Questa campagna parte dalla constatazione che oggi la diffusione
incontrollata degli armamenti, soprattutto di quelli leggeri (vere e proprie
armi di distruzione di massa), e' pericolosa per la sicurezza nel mondo.
Infatti ogni giorno, milioni di donne, di uomini e di bambini vivono nel
terrore della violenza armata: ogni minuto, uno di loro resta ucciso. Le
armi proliferano purtroppo liberamente in molte zone del mondo, in
particolare quelle segnate dai conflitti. Si calcola che ogni anno circa
500.000 persone vengono uccise a causa dell'utilizzo diretto o indiretto di
armi. Ogni anno, in Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina si spendono
in media 22 miliardi di dollari per l'acquisto di armi: una somma che
avrebbe permesso a tutti i paesi di questi continenti di mettersi in linea
con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, di eliminare l'analfabetismo
(cifra stimata: 10 miliardi di dollari l'anno) e di ridurre la mortalita'
infantile e materna (cifra stimata: 12 miliardi di dollari l'anno). Sono
circa 639 milioni le armi leggere in giro per il mondo oggi, e 8 milioni
sono le nuove armi prodotte ogni anno. Il totale delle spese militari
mondiali in un anno e' di 1.035 miliardi di dollari, mentre la spesa
complessiva (in 11 anni) per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio sarebbe di 760 miliardi... che si potrebbero raggiungere spendendo
solo il 10% in meno in spese militari all'anno. Se si volesse davvero
"consegnare la poverta' alla storia", come recitava lo slogan dei
megaconcerti, basterebbe ridurre le spese militari e convogliarle verso i
fondi per lo sviluppo.
Dal dire al fare
Da queste considerazioni devono discendere scelte, mobilitazioni, politiche
che possano favorire l'adozioni di strumenti adeguati a livello
internazionale e locale per un controllo e una regolamentazione efficaci
degli armamenti, capace di interrompere questo circolo vizioso di morte e
insicurezza a cui stiamo assistendo ogni giorno.
La Campagna Control Arms in Italia si dispieghera' su diversi piani
d'azione.
A livello internazionale, si cerchera' di contribuire alla promulgazione di
un Trattato internazionale sul commercio degli armamenti (Att).
A livello europeo l'intenzione e' di agire, di concerto con una rete europea
di organismi attivi su questi temi, per una revisione del Codice di Condotta
Europeo sull'export di armamenti, tenendo alto il livello di monitoraggio e
di analisi dei dati che vengono comunque forniti. A oggi, il Codice non e'
vincolante e risulta piuttosto debole sotto molti aspetti.
A livello nazionale, infine, la Campagna si propone un'azione di
sensibilizzazione diffusa sul tema delle armi, a partire dalle armi leggere.
Una Campagna sul controllo degli armamenti deve naturalmente legarsi alla
difesa della legge 185/90 a al monitoraggio dell'export italiano in base
alla Relazione pubblicata ogni anno proprio grazie a questo strumento
normativo. Un aspetto cruciale in tale contesto sono le coproduzioni e gli
accordi di cooperazione militare tra Stati. L'internazionalizzazione del
commercio di armi e i problemi che comporta sul controllo delle armi possono
trovare soluzione solo attraverso un'azione coordinata a livello nazionale e
internazionale.
Si intende poi far partire un percorso di lavoro per l'introduzione di una
legislazione nazionale sugli intermediatori di armi (brokers), vista anche
la Common Position dell'Unione Europea in tal senso adottata nel luglio
2003.
Infine, analogamente, si intende spingere per l'introduzione di una
legislazione italiana piu' rigida in materia di armi leggere, rafforzando i
vicoli alla commercializzazione e all'export, e aumentando gli standard di
trasparenza. L'export di armi piccole e leggere, infatti, gode in Italia di
una disciplina meno rigida e piu' lacunosa rispetto a quella prevista per
gli altri sistemi d'arma che riteniamo insufficiente in considerazione dei
costi umani derivanti dalle irresponsabili esportazioni di tali armi.
Una campagna
Lo strumento principale e innovativo per diffondere l'intera Campagna e' la
cosiddetta "Million faces petition" ossia una foto-petizione, che intende
raccogliere un milione di volti entro il luglio 2006. Una raccolta di firme
abbinata a una foto della persona che esprima la sua contrarieta' al
commercio delle armi, anche con il volto. Le foto raccolte saranno
presentate ai governi di tutto il mondo in occasione della seconda
Conferenza dell'Onu sui traffici illeciti di armi leggere, che si terra' a
New York nel luglio 2006. In questa occasione, le organizzaizoni non
governative chiederanno ai governi un impegno ufficiale che porti
all'adozione dell'Att.
La preparazione delle guerre inizia nelle fabbriche d'armi, nei trattati
militari, nei programmi politici dei partiti, nelle strategie delle
multinazionali e delle societa' finanziarie. Control Arms agisce
concretamente in direzione del disarmo internazionale, partendo da una
proposta di maggior controllo per giungere al superamento del commercio e
della produzione di armamenti, per poi proporre la riconversione
dell'industria bellica in industria civile.
E' importante che ogni associazione impegnata per la pace segnali la sua
intenzione di attivarsi su questa campagna, coinvolgendo le altre
organizzazioni sul territorio. Per ogni informazione ed per iniziare a
collaborare potete inviare una mail a: controlarms@disarmo.org e visitare il
sito Control Arms.
a) Business delle armi
- il "business" delle esportazioni mondiali autorizzate si aggira sui 28 miliardi di dollari all'anno;
- l'88% delle armi viene fornito dai paesi membri del Consiglio di Sicurezza: Usa, Russia, Cina, Francia e Regno Unito;
- nel 2001 gli Usa hanno venduto armi per un valore di quasi 10 miliardi di dollari; seguono il Regno Unito con 4 miliardi di dollari, la Russia con 3,6 miliardi di dollari, la Francia con 1 miliardo di dollari e la Cina con 6 miliardi di dollari;
- nello stesso anno, i paesi in via di sviluppo sono stati destinatari del 67,6% del valore di tutte le armi commercializzate: gli Usa sono i primi fornitori di armi a paesi di Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina (41,7% del totale, per un valore di 6 miliardi di dollari); seconda la Russia (23,6%, 3,4 miliardi di dollari), terzo il Regno Unito (22,9%, 3,3 miliardi di dollari);
- sono in circolazione 689 milioni di armi leggere, una ogni dieci persone, prodotte da oltre 1.100 aziende in 98 paesi;
- ogni anno muoiono per cause riconducibili all'uso delle armi, 500.000 persone, 1.300 al giorno, una al minuto;
- ogni anno vengono prodotti otto milioni di armi leggere e sedici milioni di munizioni;
- almeno il 60% delle armi finisce nelle mani di civili;
- 300.000 bambini e bambine soldato sono coinvolti in conflitti armati;
- secondo le Nazioni Unite, negli anni '90 la violenza delle armi convenzionali ha ucciso oltre cinque milioni di persone e ha costretto 50 milioni di persone a fuggire dalle proprie case;
- secondo le Nazioni Unite, negli ultimi dieci anni sono stati clamorosamente violati gli embarghi sulle armi nei confronti di Ruanda, Angola, Sierra Leone, Liberia, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo e Iraq.
b) Armi e poverta'
- un terzo dei paesi del mondo spende piu' in acquisto di armi che in programmi di assistenza socio-sanitaria;
- il 42% dei paesi con il piu' alto budget destinato alla difesa figurano in fondo alla classifica dell'indice di sviluppo umano;
- in Africa le perdite economiche causate dai conflitti sono stimate in 15 miliardi di dollari all'anno;
- nel 2001 le spese militari mondiali sono state di quasi 390 miliardi di dollari; nello stesso periodo di tempo 1,3 miliardi di persone sopravvivevano con meno di un dollaro al giorno;
- la meta' dei paesi del mondo spende piu' nella "difesa" che nella salute.
Attivo dagli anni '70 (dapprima con la denominazione "Comitato democratico contro l'emarginazione - Centro di ricerca per la pace"), nel 1987 ha coordinato per l'Italia la campagna di solidarietà con Nelson Mandela allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a "Primo Levi, testimone della dignità umana". Dal 1998 ha promosso una "campagna contro la schiavitù in Italia".
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