Un referendum che riguarda l'umanita' intera. 13
La nonviolenza e' in cammino. 1058 - 19 settembre 2005
Renato Solmi: dal Brasile un luminoso segnale
[Ringraziamo Renato Solmi per questo intervento. Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale]
Ho imparato molto dalle lettere che sono uscite finora sul notiziario di
adesione alla campagna per il divieto del commercio e dell'uso privato delle
armi in Brasile (dove il problema si poneva in termini particolarmente
drammatici; ma l'iniziativa ha un valore di stimolo e di modello esemplare
per tutti).
Anche la campagna per il disarmo deve cominciare dal basso, e cioo' dai
comportamenti individuali e privati, e dai regolamenti in proposito di ogni
singolo stato, se si vuole che possa avere qualche prospettiva di successo
anche al livello della politica internazionale e dei rapporti fra le potenze
grandi e piccole.
E' un passo avanti di straordinaria importanza (specie se, come tutti ci
auguriamo, sara' coronato da successo) sulla via della mobilitazione delle
grandi masse popolari e delle coscienze di tutti contro le tendenze
crescenti a una politica estera irresponsabile e all'impiego della forza a
titolo preventivo per la soluzione di questioni che dovrebbero essere
affrontate in modo completamente diverso (o addirittura per scopi che non
hanno niente a che fare con esse).
Il referendum brasiliano e' un luminoso segnale per tutti quelli che sono
persuasi del fatto che risultati importanti per la pacificazione del mondo
possono essere raggiunti per la via della nonviolenza e della progressiva
eliminazione o riduzione dei rischi che minacciano la vita e il benessere di
tutti gli abitanti del pianeta.
Franco Borghi: il 23 ottobre, Si'
[Ringraziamo Franco Borghi per questo intervento. Franco Borghi, amico della nonviolenza, e' intensamente impegnato nelle iniziative in difesa della Costituzione, per la pace e i diritti]
Una realta' drammatica
In un intervento di qualche tempo fa, il ministro brasiliano della cultura
Gilberto Gil diceva: "Abbiamo sempre avuto poverta' in Brasile. Ma non c'e'
mai stata tanta violenza come oggi. O il Brasile elimina la violenza o la
violenza eliminera' il Brasile". Si', il Brasile, al di la' dei fin troppo
facili cliche' (samba, carnevale, calcio, telenovelas) e' un continente
(almeno per le sue dimensioni) dolorosamente attraversato da una sanguinosa
violenza endemica. Che si traduce in qualcosa come 40.000 omicidi l'anno
(cui si dovra' aggiungere un numero quasi uguale di tentati omicidi), circa
due terzi dei quali causati da armi leggere. Di queste armi, poi, stando
alle statistiche, dispone almeno un cittadino su dieci.
Passi sulla via della pace
Il referendum sul disarmo del prossimo 23 ottobre e' solo uno dei passi che
la societa' brasiliana sta compiendo sulla strada della lotta contro la
violenza e per l'instaurazione di una cultura di pace. Un altro
significativo passo e' stato quello fatto, il 15 luglio dello scorso anno,
con l'avvio della Campagna per la consegna delle armi da fuoco. Tale
campagna e' stata giudicata dall'Unesco una delle migliori strategie di
promozione della pace portate avanti nel mondo, e gli e' valsa
l'assegnazione del Premio Unesco 2004, nella categoria "Diritti umani e
cultura di pace". Il risultato, per quanto apprezzabile, resta tuttavia
insufficiente, considerando che, ormai alle sue ultime battute, registra la
consegna di circa 400.000 armi leggere su oltre 15 milioni in mano alla
popolazione civile.
La reazione dei "signori delle armi"
Inutile dire che sul referendum si e' scatenata la reazione della lobby
dell'industria brasiliana delle armi, la Taurus in prima fila (basta dare un
occhiata al suo sito www.taurus.com.br), con la diffusione di previsioni
allarmistiche circa una societa' che la vittoria del si' lascerebbe
inevitabilmente in balia della delinquenza comune. I "signori delle armi",
troppo facilmente e interessatamente dimenticano che la maggior parte degli
omicidi non e' opera di manovali del crimine, ma e' frutto di liti o
aggressioni tra parenti e/o conoscenti, il piu' delle volte occasionate
dall'eccesso di alcool (altra piaga nazionale del Brasile). Di tutte le
morti dovute ad arma da fuoco, meno del 10% avviene in occasioni di furti e
rapine. Due terzi delle aggressioni nei confronti delle donne hanno per
soggetti i rispettivi mariti o conviventi. L'esito letale di queste, a
seconda delle fasce di eta', e' determinato, in percentuali variabili tra il
50 e il 60%, dall'uso di armi da fuoco.
Cosa comportera' la vittoria del referendum
Con la vittoria del si' al Referendum, la vendita delle armi sara'
consentita esclusivamente alle Forze Armate, alle polizie federali e
statali, alle guardie municipali, alla Presidenza della Repubblica
(l'agenzia preposta ai servizi segreti e alla sicurezza istituzionale), alla
polizia penitenziaria, alle guardie portuali, alle imprese di sicurezza e di
trasporto di valori, oltre alle associazioni sportive di tiro legalmente
costituite.
I primi risultati della nuova cultura di pace
E' dimostrato che le leggi per il controllo della vendita di armi
contribuiscono a diminuire i rischi per tutti. Uno studio dell'Unesco,
pubblicato quest'anno, rileva che Australia, Inghilterra e Giappone, dove e'
stato proibito il commercio di armi, sono tra i paesi del mondo in cui meno
si uccide. Ma, anche qui, in Brasile, la Campagna nazionale per il disarmo
comincia a mostrare i suoi primi effetti positivi. Rilevamenti effettuati
dal Ministero della Giustizia e della Sanita' mostrano che nei primi sette
mesi della Campagna (messi a confronto con i primi sette mesi del 2004) i
ricoveri ospedalieri per ferite da armi da fuoco sono diminuiti del 10%,
nella Baixada Fluminense (una regione tra le piu' violente del Paese) e del
7% a Sao Paulo. E' ancora poco, pochissimo, naturalmente. Ma e' gia'
qualcosa, dato che la legge non e' stata ancora approvata.
E' necessaria una rivoluzione culturale
La legge sul disarmo potra' aiutare a raggiungere obiettivi rilevanti, solo
se accompagnata da una riflessione seria e di piu' ampio respiro, capace di
tradursi in coscienza nuova e in legislazione e pratiche sociali che
modifichino in profondita' gli squilibri esistenti a livello economico, in
primo luogo, ma anche razziale (il che puo' sembrare paradossale per una
popolazione in grande misura meticcia come quella brasiliana), e di genere
(il machismo e la sua violenza). Tutte le istituzioni e le agenzie educative
(scuole, chiese, religioni, e il variegato mondo dell'associazionismo) sono
chiamate a collaborare per rispondere alla sfida che pone la costruzione di
una societa' giusta e solidale, dove ci sia posto per tutti. E una vita
degna di essere vissuta.
I comandamenti della Pace solidale
Sono quelli suggeriti dalla Campagna della fraternita' di quest'anno e che
intendono favorire questo cambiamento di mentalita' e di societa'
all'insegna della nonviolenza e della pace:
- sapersi mettere al posto dell'altro;
- non rispondere alla violenza con la violenza;
- promuovere il dialogo;
- interessarsi alla comunita';
- scoprire e valorizzare cio' che di positivo c'e' nelle persone;
- associarsi, unire le forze;
- preoccuparsi delle cause dei problemi;
- conoscere e usare i mezzi legali;
- non tacere di fronte all'ingiustizia.
Il 23 ottobre si' alla legge brasiliana sul disarmo.
Paolo Bergamaschi: Si'
[Ringraziamo Paolo Bergamaschi per questo intervento. Paolo Bergamaschi e' impegnato nel Movimento Nonviolento, esperto di politiche della difesa, e' consigliere della Commissione affari esteri del Parlamento europeo]
Il dialogo fra americani ed europei sulla sicurezza da tempo incontra molti
ostacoli. Questo e' vero a tutti i livelli perche' la concezione dei primi
su questo tema si scontra con quella degli altri. D'altronde, se cosi' con
fosse, non si spiegherebbe la scelta europea di produrre una propria
strategia di sicurezza per marcare le differenze con la dottrina di
sicurezza dell'amministrazione Bush.
Il disarmo e' ancora un obiettivo strategico dei paesi europei ma non lo e'
per gli americani che includono le forniture militari nel pacchetto generale
degli aiuti e dell'assistenza ai paesi terzi.
Sono, ancora, gli americani che si oppongono ad un trattato internazionale
sul commercio delle armi leggere. Per la cultura di quel paese vige il motto
"piu' armi piu' sicurezza", sia nelle relazioni internazionali che in quelle
interpersonali. Il cittadino americano ritiene un diritto costituzionale la
detenzione di armi da fuoco. Negli Stati Uniti ne circolano quasi 300
milioni, all'incirca una per abitante. Con i risultati che tutti hanno
davanti agli occhi messi spietatamente a nudo dal film di Michael Moore
"Bowling for Colombine". Questo modello, figlio della cultura della
frontiera conquistata e presidiata palmo a palmo, e' stato esportato e si e'
affermato anche negli altri paesi del continente americano. Ma da allora i
tempi sono cambiati e per gli europei questo modello e' anacronistico e
pericoloso.
Un mondo civile non ha bisogno di armi. Ma intanto il disarmo e' scomparso
dall'agenda internazionale...
Anche per questo e' cosi' importante l'iniziativa brasiliana.
Gabriele De Veris: Si'
[Ringraziamo Gabriele De Veris per questo intervento. Gabriele De Veris e' una delle figure piu' conosciute e stimate dell'impegno per la pace e la nonviolenza in Italia; vive e lavora a Perugia come bibliotecario; capo scout, obiettore di coscienza, si occupa da molti anni di educazione alla pace e nonviolenza; collabora con varie associazioni, e in particolare con la Tavola della pace per l'organizzazione della marcia Perugia-Assisi; attualmente sta anche organizzando un centro di documentazione su pace e nonviolenza]
Bloccare la vendita di armi e' un atto di follia politica o di sana concretezza? Scelgo la concretezza che guarda alla vita e alle innumerevoli morti causate dalle armi; e mi auguro che anche in Europa si scelga il coraggio concreto di riempire i granai e vuotare gli arsenali.
Alessandro Pizzi: Si'
[Ringraziamo Alessandro Pizzi per questo intervento. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna)]
Voglio esprimere la mia solidarieta' alle sorelle e ai fratelli brasiliani
che hanno indetto il referendum impegnandomi a far conoscere l'iniziativa in
tutte le occasioni pubbliche in cui saro' impegnato. Ho gia' annunciato
l'iniziativa in occasione di un incontro pubblico tenuto a Soriano nel
Cimino sabato scorso.
Mi auguro che anche in Italia venga avviata una riflessione con il
coinvolgimento dei cittadini sulla produzione e sul commercio delle armi.
Ho ancora in mente l'accorato appello alla riconversione dell'industria
bellica che un esponente della Societa' Civile di Butembo rivolse a noi
occidentali partecipanti all'iniziativa dei Beati i costruttori di pace
nella Repubblica democratica del Congo nel 2001.
Sosteniamo il si' che salva le vite
Ricordiamo ancora che per promuovere iniziative in Italia per sostenere la
campagna per il "si'" al referendum brasiliano si puo' contattare Francesco
Comina in Italia e padre Ermanno Allegri in
Brasile (sito: www.adital.com.br).
Utilissime informazioni sul referendum brasiliano sono nel fondamentale sito
www.referendosim.com.br (in lingua portoghese-brasiliana).
Tutti gli interventi a sostegno del si' al referendum brasiliano per
proibire il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni ospitati su
questo foglio compaiono anche in una apposita pagina web del sito di
PeaceLink, curata da Giacomo Alessandroni:
italy.peacelink.org/pace/articles/art_12631.html
Nel sito di Peacelink e' anche possibile consultare tutti i fascicoli di
questo foglio a partire dal dicembre 2004 alla pagina web:
lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html
Invitiamo nuovamente tutte le persone che ci leggono sia ad inviarci
interventi a sostegno del si' al referendum brasiliano per abolire il
commercio delle armi, sia a scrivere a giornali, riviste, siti, mass-media,
a istituzioni, movimenti, associazioni, a persone amiche, per diffondere
l'informazione e la sensibilizzazione sul referendum brasiliano, e chiamare
tutte le persone di volonta' buona ad esprimere sostegno alle sorelle e ai
fratelli che in Brasile sono impegnati a far vincere il si' al diritto a
vivere, il si' al disarmo, il si' alla civilta' umana, il si' alla gestione
nonviolenta dei conflitti, il si' alla pace fra tutti gli esseri umani, il
si' alla convivenza di tutte e tutti sull'unica terra che abbiamo.
Enrico Peyretti: le armi tradiscono, non difendono
[Ringraziamo Enrico Peyretti per averci
messo a disposizione questo testo scritto durante un convegno sulla
riconversione dell'industria armiera il 15 luglio 2005. Enrico Peyretti
(1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei
maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza;
ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e
diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora
regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno
Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e'
membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace
delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista
"Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn.
791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti:
www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]
Le armi tradiscono, non difendono
Se la difesa della vita e dei diritti umani si realizza in definitiva dando la morte a chi minaccia o si teme che minacci allora fabbricare armi, strumento della morte artificiale, e' un valore per la vita e per i diritti umani. Ma poiche' ogni guerra e ogni difesa armata - ormai e' storicamente provato - produce piu' offesa generale alla vita, che non difesa e vita, e "produce piu' malvagi di quanti ne toglie di mezzo" (Kant); e poiche' l'enorme produzione militare non solo non difende dal maggiore pericolo attuale - che e' la guerra privatizzata, personalizzata frutto ultimo del diritto alla guerra preteso dagli stati - ma provoca e rafforza l'arma invisibile e invincibile del terrorismo da qualunque parte venga e contro chiunque sia diretto, e inferocisce le relazioni sociali, ridotte dall'ideologia della sicurezza impaurita ad imitare e riprodurre i modi della delinquenza, allora la liberazione dalla guerra, oltre che primaria liberazione dallo spirito bellico, deve essere anche liberazione dalle armi; allora la premessa necessaria alla riconversione del lavoro umano dal produrre morte al produrre vita - che e' l'unico senso del lavoro - non sara' pensabile ne' realizzabile senza la mutazione culturale da una cultura della difesa bellica, armata, omicida, assurda, controproducente ad una cultura della difesa sociale, civile, non armata, nonviolenta positiva e attiva. Poiche' il complesso militar-industriale e' in realta' un complesso militar-industriale-scientifico-culturale-morale-filosofico allora, il lavoro storico, morale, filosofico, culturale, educativo e' la premessa indispensabile al mutamento politico-strategico, e' la premessa indispensabile alla conversione del lavoro umano dal crimine alla socialita' dalla vergogna alla dignita' dalla barbarie attuale alla civilta' in via di umanizzazione dal fallimento attuale alla fiducia e costruzione della possibilita' di convivenza umana. Il programma umano non e', come si fa oggi, produrre tanta morte con qualche ricaduta tecnica utile alla vita ma lavorare per la vita, nonostante i suoi limiti nella morte, limiti riducibili indefinitamente perche' la vita senza morte - che non sappiamo immaginare che la stoltezza cerca mediante la stessa morte ma che sapienze popolari e religioni da sempre attendono e sperano - comincia col non uccidere, col non fabbricare la morte.
Elisa Lagrasta: le armi leggere uccidono in tutto il mondo
[Da "Azione nonviolenta" n.8-9 di agosto-settembre 2005 (sito: www.nonviolenti.org). Elisa Lagrasta, master in educazione alla pace, cooperazione internazionale, diritti umani e politiche dell'Unione Europea, e' ricercatrice presso l'istituto di ricerche internazionali "Archivio Disarmo". Tra le opere di Elisa Lagrasta: Le armi del Belpaese. L'Italia e il commercio internazionale di armi leggere, Ediesse, Roma 2005]
Secondo una stima delle Nazioni Unite sono oggi in circolazione nel mondo
oltre 650 milioni di armi leggere e di piccolo calibro. Gli Stati Uniti ne
sono il principale esportatore (oltre 700 milioni di dollari nel 2001, in
base ai dati del Comtrade dell'Onu), l'Italia il secondo (circa 300 milioni
di dollari)(1). Il commercio mondiale di queste armi non e' sottoposto a
controllo e ogni anno muoiono 200.000 persone tra omicidi e suicidi; altre
subiscono le conseguenze della poverta' diffusa(2), dell'abuso dei diritti
umani, della violenza nei conflitti armati che provoca annualmente 300.000
vittime, il 90% delle quali civili.
Dal 1990 in Italia e' in vigore la legge 185 che regola i trasferimenti di
armi militari e, nonostante successive modifiche che ne hanno in parte
limitato l'iniziale rigidita', inserisce criteri precisi in base ai quali
effettuare le esportazioni. Viene infatti vietata la vendita di armi
militari a paesi in stato di conflitto armato, a paesi sottoposti a embargo
dell'Onu, dell'Unione Europea o dell'Osce(3), a paesi i cui governi sono
colpevoli di accertate gravi violazioni dei diritti umani o paesi che,
ricevendo aiuti economici dall'Italia - in base alla legge 49 del 1987 -
destinano al bilancio militare risorse eccedenti le proprie esigenze di
difesa. Questi limiti imposti dalla normativa e la prevista relazione
annuale tenuta dal Presidente del Consiglio in Parlamento sottopongono le
armi leggere ad uso militare (pistole mitragliatrici, mitragliatori, fucili
d'assalto, mortai, lanciarazzi, lanciamissili...) ad un buon regime di
controllo, sia pur compromesso dalla costante pressione dei produttori di
armi.
Le piccole armi ad uso civile invece (pistole, revolver, fucili, carabine e
materiale esplosivo) non sono sottoposte ad una normativa altrettanto
rigorosa. Concepite per la caccia, lo sport e la difesa personale godono di
una ben maggiore liberta' di movimento: se infatti all'interno del
territorio italiano la loro vendita, detenzione ed uso sono severamente
regolamentati dalla legge 110 del 1975, la stessa normativa si rivela
drammaticamente inefficiente per quanto riguarda le esportazioni. Le armi
civili possono circolare liberamente e raggiungere senza troppe difficolta'
anche teatri di guerra e di violenza diffusa.
Le armi leggere e di piccolo calibro sono le armi piu' utilizzate negli
odierni conflitti intra-statali, dove in genere non si scontrano eserciti
nazionali ma gruppi armati, truppe ribelli, paramilitari.
Nell'impossibilita' economica di accedere ai grandi sistemi d'arma, questi
militanti - spesso attraverso la vendita sul mercato nero delle ricchezze
naturali del territorio da essi controllato (legname, diamanti, metalli
preziosi) - ripiegano sulle armi piccole e leggere: economiche, durature, di
facile utilizzo e manutenzione anche da parte dei bambini soldato, diventano
cosi' le macchine di morte ideali nella guerriglia tra fazioni. Inoltre note
pistole di produzione italiana vengono date in dotazione a diverse forze di
polizia nel mondo, le quali spesso non eccellono per conformita' ai principi
in materia di diritti umani e abusano del potere loro concesso.
In base ai dati dell'Istat(4), dal 1999 al 2003 l'Italia ha esportato 1
miliardo e 568 milioni di euro di armi ad uso civile (armi comuni da sparo,
relative parti e munizioni, esplosivi) con una vendita annua che oscilla tra
i 280 milioni di euro del 1999 e i 355 milioni del 2001. Se si esaminano
anche tutte le esportazioni di armi ad uso militare sottoposte alla legge
185/90 (il cui ammontare nei cinque anni di riferimento e' di 3,1 miliardi
di euro)(5) risulta che i trasferimenti di armi civili rappresentano il 33%
del valore di tutte le esportazioni di armi effettuate dall'Italia nel
quinquennio.
Le esportazioni di armi civili di produzione italiana effettuate dal 1999 al
2003 sono costituite da pistole, fucili e relativi accessori per oltre 1
miliardo di euro, da munizioni per circa 480 milioni e da esplosivi per
quasi 50 milioni. I principali importatori sono gli Stati Uniti (verso cui
si e' diretto il 38% di tutte le esportazioni) e i paesi dell'Unione Europea
(che insieme raggiungono un altro 38%), seguiti dal gruppo dei paesi europei
non appartenenti all'Unione (6,5% dei trasferimenti), dall'Africa
Settentrionale e Medio Oriente (5,5%) e dall'Asia (5%). Mercati minori sono
rappresentati dall'America centro-meridionale (che detiene un 3,5% delle
esportazioni), dall'Oceania (1,5%) e infine dall'Africa centro-meridionale
(1%).
Dietro a queste percentuali si nascondono casi di violazioni dei diritti
umani e delle liberta' fondamentali, conflitti armati, violenza diffusa,
embarghi d'armi. Tra gli esempi piu' eclatanti c'e' la Federazione Russa, il
cui governo e' in aperto conflitto con i separatisti ceceni ed e' stato
ripetutamente richiamato dal Consiglio Europeo per l'asprezza dei metodi di
repressione utilizzati, e tuttavia ha potuto importare dall'Italia oltre 14
milioni di euro di armi di piccolo calibro. Israele, colpevole di gravi
violazioni dei diritti umani nei territori occupati, ne ha importate poco
meno di 8 milioni di euro, di cui 6 milioni di euro di pistole e fucili tra
il 1999 e il 2001 e 1 milione di esplosivi nel corso del solo 2003. Algeria,
Colombia, Filippine, India che da anni cercano di reprimere con la forza la
conflittualita' interna ai loro territori generata da fazioni rivali e da
gruppi armati che non riconoscono il governo centrale, hanno importato
dall'Italia rispettivamente 3,8, 2,6, 4,4 e 3,7 milioni di euro di pistole,
fucili e munizioni. Armenia, Azerbaijan, Etiopia, Angola, Sierra Leone,
Cina, Afghanistan(6) sottoposti a embargo dall'Onu o dall'Unione Europea
hanno potuto importare diversi quantitativi di armi civili(7), senza che si
possa stabilire con certezza a chi siano state destinate e che uso ne venga
fatto(8). A questi si aggiungono i 30 milioni di euro di munizioni vendute
alla Malaysia, segnalata nei rapporti annuali sui diritti umani del
Consiglio Europeo(9) per l'eccessivo uso della forza da parte della polizia
locale. Difficile la situazione in materia di diritti umani anche in
Indonesia, Sri Lanka, Pakistan, Congo, Sudafrica, e ancora in Brasile,
Argentina, Messico, Ecuador, come pure in Turchia, Bosnia-Erzegovina, Cipro,
Ucraina, tutti importatori medio-grandi di armi leggere italiane(10).
La proliferazione incontrollata delle armi e' un problema globale, che
riguarda tutti e richiede un coinvolgimento internazionale. Servono maggiori
controlli, normative rigide e giuridicamente vincolanti, come quella
promossa recentemente da Amnesty International, Oxfam e Iansa e sostenuta da
numerose altre ong - anche italiane - per l'adozione in sede Onu di un
trattato internazionale sul commercio delle armi che inserisca precisi
limiti ai trasferimenti di armi. Occorre tutelare la sicurezza e la vita
umana: milioni di persone nel mondo devono essere liberate dall'incubo della
violenza armata.
Note
1. Si veda il sito unstats.un.org/unsd/comtrade.
2. Diversi governi, soprattutto nelle aree piu' arretrate del pianeta,
destinano risorse per la difesa sottraendo fondi allo sviluppo economico e
sociale del paese. Coloro che maggiormente subiscono le conseguenze di
queste scelte politico-strategiche sono le popolazioni civili.
3. Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
4. I dati sono disponibili sul sito www.coeweb.istat.it.
5. Si veda www.disarmonline.it.
6. Per Angola, Afghanistan e Sierra Leone l'embargo vincolante Onu e'
limitato ai gruppi armati ribelli (rispettivamente Unita, Talebani e Ruf).
Tuttavia e' impossibile conoscere l'esatta destinazione delle armi esportate
verso il paese e non si puo' escludere che, attraverso canali piu' o meno
illeciti, esse siano arrivate ai ribelli.
7. In particolare si segnalano i 26.000 euro di materiale esplosivo venduto
alla Sierra Leone nel 2001, i 600.000 euro di armi e munizioni vendute alla
Cina e i 947.000 euro di pistole esportate in Afghanistan nel corso del
2003.
8. L'impossibilita' di determinare con precisione la destinazione finale di
queste merci (nonche' la fabbrica produttrice) e' dovuta alla riservatezza
degli stessi dati dell'Istat: vengono infatti indicati soltanto il paese
importatore, il mese e l'anno di uscita dal territorio nazionale, e
l'importo totale in euro per categoria di merce.
9. Cfr. Council of the European Union, Eu Annual Report on Human Rights,
anni 2001 e 2002, disponibile sul sito ue.eu.int.
10. Cfr. Lagrasta E., Le armi del Belpaese. L'Italia e il commercio
internazionale di armi leggere, Ediesse, Roma 2005.
Attivo dagli anni '70 (dapprima con la denominazione "Comitato democratico contro l'emarginazione - Centro di ricerca per la pace"), nel 1987 ha coordinato per l'Italia la campagna di solidarietà con Nelson Mandela allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a "Primo Levi, testimone della dignità umana". Dal 1998 ha promosso una "campagna contro la schiavitù in Italia".
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